La Stoà e la resilienza ci salveranno

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Umanesimo e Management 5.0 per superare la crisi

La Stoà e la resilienza ci salveranno

di Giuseppe De Petra

Zenone di Cizio

    Zenone di Cizio

Zenone di Cizio, fondatore della Stoà nel III° secolo a.C, sosteneva che l’essere vivente ha come primo impulso la conservazione di sè stesso e non, contrariamente a quanto si pensi, il piacere, l’edonè. Di conseguenza, l’uomo respinge ciò che è dannoso e si avvicina a ciò che gli è proprio e familiare. Vivere secondo natura era per Zenone lo stesso che vivere secondo virtù. La virtù dell’uomo felice consiste quindi nel fatto che tutte le azioni siano svolte in armonia con il proprio dàimon, il demone presente in ciascuno di noi.

Dunque, eccolo qui il nostro demone. Lo scenario che abbiamo sotto gli occhi in queste settimane si sta trasformando ad una velocità centrifuga e presto potrebbe sovvertire i nostri canoni di vita e soprattutto manageriali, quelli vissuti fino a soltanto qualche settimana fa.

Cosa dovremmo fare, quindi? Tanto per cominciare, dovremo affrontare questa crisi ricominciando da noi stessi, riformulando le nostre priorità, discernendo ciò che è davvero importante da ciò che non lo è e non lo sarà più. Dovremo guardare questa contingenza da una prospettiva altra, diversa dai soliti schemi e con un approccio mentale del tutto rinnovato, in particolar modo sul versante organizzativo e lavorativo.

La crisi come un’opportunità

Cosa mai potrà avere di buono questa situazione? Cosa ci avrà insegnato, quando tutto sarà finito?

Quest’emergenza ci ha sbattuto in faccia la realtà. Anzi, la realtà ci è esplosa in faccia. Una realtà che da troppi anni abbiamo mascherato e mistificato per comodità e ipocrisie. Una realtà che oggi si sta riprendendo tutto quello che le abbiamo sottratto.

Abbiamo smesso di essere manager, professionisti e lavoratori, perché abbiamo scelto di recitarne soltanto la parte, con una pessima sceneggiatura e per di più abborracciata. Abbiamo smesso di essere prima di tutto uomini, di essere noi stessi e abbiamo perduto la capacità di guardarci in faccia per quello che siamo davvero.

Ora la campana è suonata. La vita ci stanno tirando per i capelli, parafrasando Nietzsche. Col tempo siamo riusciti a diventare solo degli ossessi. Il rantolo del fatturato ci ha elevati al rango di scimmie e la bava del consenso ci ha resi epilettici.

Fatto salvo quello che ancora c’è di buono, sul piano relazionale e in particolar modo su quello lavorativo, siamo diventati via via un ricettacolo di insoddisfazioni, di demotivazioni, di livori, di acredini, di inquietudini, di nervosismi, ma soprattutto di ipocrisie. Il principio di prestazione teorizzato da Marcuse non è mai stato così drammatico e attuale come adesso.

Ci siamo consacrati all’altare della performance. Per chi? Per che cosa? Oggi tutti ci si sta ritorcendo contro.

Non vedo altro rimedio, allora, che il contegno degli Stoici. Mai, come in questo momento, può venire in nostro soccorso.

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Da Zenone di Cizio fino a Marco Aurelio, il precetto dell’etica stoica si potrebbe sintetizzare con il saper vivere e saper accettare la vita per quello che è e per quello che naturalmente ci offre. Domani sarà essenziale per ognuno di noi apprendere l’arte impagabile della fortificazione di sé, dell’autoregolamentazione, quindi dell’adattabilità e della resilienza, termine di cui abbiamo abusato senza troppi complimenti lessicali e contestuali negli ultimi anni, soprattutto nell’ambito manageriale e consulenziale.

Nell’ingegneria meccanica, ad esempio, l’adattabilità è la capacità del materiale di “plasticizzarsi” e resistere tra lo snervamento e la rottura. Nel management e nelle risorse umane, l’adattabilità presenta le medesime caratteristiche. Non che le persone siano materiali, ci mancherebbe altro, ma per analogia, presentano gradazioni emotive differenti di robustezza e di resilienza.

Ecco allora che lo stoicismo ci raccomanda di vivere secondo la nostra natura, quindi secondo il nostro “dovere”. Tutto ciò ci consentirà oggi di acquisire quella plasticità interiore che sarà per noi, in futuro, sempre più determinante. In questi tempi così globalizzati e vorticosi, sarà proprio questo lo sforzo che dovremo compiere se vorremo superare questa crisi.

Si badi: essere stoici, in questa situazione, non significa stare immobili o adottare un contegno distaccato. Tutt’altro. Vuol dire concentrarsi di più, migliorarsi di più, darsi di più, coltivarsi di più.

Per sopravvivere dovremo alzare il livello di tutto, dalla nostra forma mentis alla qualità del lavoro, dalle competenze alle relazioni. Dovremo imparare perciò a governare e superare le nostre debolezze, in particolare quelle che ci fanno propendere sempre per le soluzioni comode o furbesche o che ci rendono miopi di fronte ai problemi e alle criticità. Dovremo imparare a soverchiare i nostri vizi atavici che per gli antichi erano, tra gli altri, l’incontinenza, l’ottusità e il cattivo consiglio e i loro esiti tragici, quali lo scoraggiamento, l’affanno e la disperazione. Quegli stessi vizi indicatoci dagli stoici tre secoli prima di Cristo sono le stesse criticità del management oggi.

Le frenesie o la disperazione non sono e non saranno le soluzioni. Anzi, oggi sarebbero la scelta migliore per lanciarsi dritti nel baratro. Ma dovremo accettare l’impossibilità di tornare alla condizione antecedente a questo disastro di portata globale. Sarà possibile immaginare e realizzare un nuovo scenario organizzativo e manageriale solo se ognuno di noi, a cominciare dai leader, saprà mettere al centro delle politiche e delle scelte manageriali un umanesimo rinnovato e soprattutto veridico.

La virtù è altresì una disposizione a vivere secondo coerenza. Ebbene, la coerenza è una virtù degna di essere scelta per sé stessa, non a motivo di qualche inquietudine e tremore, o di qualche speranza legata alla contingenza, ma unicamente all’etica del “dovere”.

L’intelligenza stoica sarà per noi salvifica e per mezzo di essa eviteremo di farci travolgere dalle emozioni negative.  Dunque, per gli Stoici, la vera felicità consiste in un’anima disposta alla coerenza di tutta una vita.  Domani, il dovere dei manager saranno tutte quelle azioni che comporteranno una giustificazione ragionevole del loro esercizio.

Per governare e superare il day after incipiente, il nuovo management dovrà essere in grado di guardare oltre e di non vivere più solo nel presente, ma innescando e promuovendo una nuova cultura organizzativa che abbia l’impronta e un carattere umano e trasversale, determinante per la sopravvivenza delle nostre aziende e per la sopravvivenza del concetto stesso di lavoro.

Soltanto la leadership stoica, da domani, sarà funzionale alle risorse umane e sarà in grado di sopravvivere all’incertezza.

Questo pianto ci farà più uomini.

Bibliografia consigliata:

Giuseppe De Petra “I tre apprendimenti circolari per il management 5.0. Il modello della leadership generativa tra change management ed engagement organizzativo” Morlacchi Editore U.P.

Questo articolo è offerto da:

Giuseppe De Petra
Consulenza & Formazione Manageriale e HR
Giuseppe De Petra è docente libero professionista e senior consultant nell’ambito della formazione e della consulenza manageriale per lo Sviluppo Organizzativo e l’HR Management. È autore del libro “I tre apprendimenti circolari per il management 5.0 – Il modello della Leadership Generativa tra Change Management ed Engagement Organizzativo". Dal 2003 realizza progetti e attività di sviluppo organizzativo per le piccole, medie e grandi realtà imprenditoriali del territorio italiano. Collabora con le più importanti società di consulenza e di training. Scrive articoli su questo blog in tema di Management, HR, Leadership e Comunicazione organizzativa.

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