Uso e funzioni dei test nella selezione e valutazione del personale

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Uso e funzioni dei test nella selezione e valutazione del personale

Utilizzati sin dalle Guerre Mondiali per reclutare soldati, i test sono ancora uno strumento ampiamente utilizzato per la selezione e valutazione del personale. Associati ad altri metodi possono contribuire sia all’ inserimento in azienda di un candidato, sia alla valutazione del potenziale di chi già fa parte dell’organizzazione. Ma quando si usano i test?

di Martina Ragusa

Etimologia e struttura base del Test tra scopo finale e desiderabilità sociale

Partiamo dall’origine della parola : TEST può derivare dal latino testor- testarissottoporre a verifica; oppure sempre dal latino testa – “coccio” , facendo riferimento agli alchimisti del Medioevo che per verificare se i loro esperimenti avessero come prodotto l’oro dovevano necessariamente fare le reazioni dentro i vasi di coccio. Da qui anche il termine “reactiv”, utilizzato in Francia nell’800, si riferiva non solo alle reazioni chimiche, ma anche a tutto ciò che riguardava la psicologia umana compreso di comportamenti specifici dell’uomo. Anche nel mondo anglosassone intorno al 1890 fu introdotto da J.Cattel il  mental test per poter misurare la memoria e la distrazione dell’uomo  tramite calcoli aritmetici.

Un test, in linea di massima, è composto da uno stimolo (uguale per tutti), una reazione (diversa tra le singole persone) e una valutazione realizzata con gli stessi metodi e strumenti. Tra le molteplici varietà di test che si possono utilizzare in più ambiti, distinguiamo due macro categorie che possono essere sottoposte individualmente e collettivamente:

test cognitivi (o di massima prestazione), che valutano competenze di tipo cognitivo e prevedono una sola   risposta corretta ;

test non cognitivi (o di tipica prestazione), che valutano aspetti personologici e non c’è una risposta corretta, ma la sola risposta che l’individuo sente di dare;

 Per la somministrazione dei test è necessario chiedersi prima di tutto cosa vogliamo ricercare nelle persone a cui lo somministriamo e quale sia il nostro scopo. Successivamente, dopo aver consultato il management aziendale, possiamo affidare l’incarico a una persona qualificata ( se non è già interna all’azienda) che tecnicamente andrà a scegliere il materiale più idoneo.

Numerosi studi hanno confermato che sulla base dello schema di risposte date dal soggetto sottoposto al test, può verificarsi una vera e propria falsificazione dei dati. Questo avviene perché la tendenza dell’individuo, soprattutto nei test non cognitivi durante una selezione o valutazione del personale, è quella di “compiacere”, ovvero attribuire a se stesso caratteristiche che pensa essere gradite all’azienda (desiderabilità sociale). In altri casi, invece, possono presentarsi risposte acquiescenti, evasive e incoerenti se il soggetto non è particolarmente motivato o subisce l’effetto di” distrattori” derivanti sia dal setting di somministrazione ,che deve essere preventivamente controllato dal somministratore, sia da chi/cosa lo circonda. 

Nel settore Risorse Umane, per esempio, tra gli obiettivi finali dei test può esserci quello di prevedere il rendimento professionale (fatto di hard e soft skills) della persona che si vuole assumere (funzione predittiva) e quello di valutare chi è pronto per un avanzamento di carriera o un role change. In entrambi i casi possono esserci quesiti per testare la motivazione e conoscere gli interessi individuali.

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Si deve comunicare l’esito di un Test a una persona? Se si, come si fa?

Non è obbligatorio farlo, anche se un movimento nato intorno agli anni ’80 del secolo scorso negli Stati Uniti con il nome di “Truth in testing” sostiene che comunicare l’esito di un test è l’occasione per permettere all’individuo di confrontarsi con il valutatore e con se stesso. Infatti, esporre le proprie emozioni e riflessioni sulle risposte date agli stimoli permette di acquisire consapevolezza sui propri punti forti e punti deboli. In questo modo si dà la possibilità alla persona di scegliere dove e come intervenire per raggiungere obiettivi personali e lavorativi, considerando anche la scelta di chiedere un supporto professionale.

Se comunicare o no l’esito di un test è una scelta, attenersi alle linee guida deontologiche per le attività psicologiche di valutazione e selezione del personale redatte dall’Ordine degli Psicologi nel 2005, è sicuramente un obbligo, anche per evitare errori difficilmente rimediabili. Questo riguarda sia i test individuali che quelli collettivi, dai cui si spera di ottenere un profilo psicologico parziale che diventa totale tramite l’uso di altri strumenti di misura.

ATTENZIONE! Alcuni di questi test richiedono un’alta formazione per essere sottoposti e interpretati, ovvero quella di uno psicologo abilitato. Per conoscere quali tipi di test poter utilizzare in ambito di selezione e valutazione del personale, se non siete psicologi, è consigliabile fare ricerche online e consultare professionisti e manuali. Riporto di seguito la classificazione fatta dall’ APA ( American Psychologichal Association) nel 1953:

  • livello A, test di profitto e competenze professionali-  è necessario un livello minimo di formazione per l’utilizzo;
  • livello B, mix di test cognitivi e non- è necessaria una preparazione più approfondita del somministratore;
  • livello C, test principalmente cognitivi che hanno bisogno di corsi mirati post-laurea.

I Test quando si usano quando …

Per rispondere alla domanda inziale, quindi, si può semplicemente dire che i test  (necessariamente standardizzati nella somministrazione e interpretazione dei risultati) vengono utilizzati quando si vuole  misurare la variabile psicologica di nostro interesse, non influenzabile dalla personalità del somministratore durante: 

  • la selezione del personale, 
  • il counseling (processo di consapevolezza delle proprie caratteristiche), 
  • la formazione (prima per capire da quale punto si parte e dopo per conoscere se e quanto si è appreso),  
  • l’orientamento professionale (il lavoro giusto per ogni persona), 
  • la gestione della carriera (per capire nel corso del tempo miglioramenti o no sulle competenze o profitto lavorativo ). 

Non dimentichiamo anche che è un valido strumento per evitare il rischio di attribuzione, ovvero quel processo su cui si costruisce una scala di valutazione intuitiva e soggettiva sul comportamento altrui. 

 Chi lavora in questo settore lo fa con e per le persone che NON sono solo il risultato di un test. Comunicare, informarsi e formarsi è alla base per poter aiutare aziende e candidati a incontrarsi, piacersi e tenersi!

Questo articolo è offerto da:

Martina Ragusa
Hr Junior | Formazione | Gestione e Sviluppo del personale
Quando ho scelto di conoscere il settore delle Risorse Umane non avrei immaginato che fosse un mondo così ricco di sfaccettature in costante evoluzione. Laurea in Lingue, due Master di I livello in Management per la Selezione e Gestione delle Risorse Umane, una laurea specialistica in Psicologia del lavoro in corso e sempre tanta voglia di imparare. Non bastano gli studi accademici, siate curiosi!

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