Sbaragliare gli smartphone con lo Starbucks della formazione
di Liana Astrologo – Bemymentor
Chi non si è trovato di fronte a file intere di persone, teoricamente in formazione con gli occhi fissi sullo smartphone? Il training non è stato abbastanza sexy? Interattivo? Attivo? Social?
Più semplicemente, contro la vita non possiamo vincere.
Lavoro, famiglia, amici, intrattenimento: è tutto nello smartphone, dove pubblico e privato convivono. Tutto ciò che non tiene conto di questa ibridazione è simulazione: non tocca le corde profonde che motivano e attivano le persone.
Serve alla formazione una trasfusione di vita. Come? Con l’unico metodo che fonde relazioni, aspettative, aspirazioni personali e professionali. Sviluppo personale e organizzativo.
Parlo del mentoring organizzativo.
ll mentoring nasce dai seguenti presupposti:
- parti dall’esperienza personale, altrimenti l’apprendimento rimane in superficie se non accantonato.
- impara facendo, dentro e durante il lavoro: solo così si abbattono gli ostacoli che solo nella pratica quotidiana emergono
In caso contrario, il risultato della formazione è come un corpo senza testa o senza gambe.
Per questo i mentori (persone scelte all’interno dell’azienda e opportunamente formate) sono formati per:
- dare un taglio “operativo” agli incontri con i mentee
- saper modulare obiettivi aziendali con opportunità e aree di miglioramento personali del mentee
Perché funziona? Perché si regge su una forte percezione di vantaggio reciproco e opportunità di sviluppo.
Esempio: un neoassunto affiancato a un junior manager che si occupa della sua induction. Il Junior manager fungerà da chiave di ingresso nel mondo aziendale: organizza incontri per integrare il giovane nel tessuto aziendale, si farà affiancare in riunioni, lo coinvolgerà in presentazioni, farà domande opportune, lo metterà in concreto alla prova… Poca chiacchiera, vita vera. Si fa tutto lavorando.
Il mentore aumenta le capacità di leadership. Un consiglio: assegnare nel piano di valutazione almeno un 15% alla voce “saper sviluppare gli altri”
VANTAGGI DELL’AZIENDA
- Raggiungimento obiettivi predefiniti nel progetto (nel caso specifico, incremento produttività dei neoassunti nel breve).
- Upskilling
- Miglioramento del clima aziendale e team di lavoro più produttivi e inclini alla cooperazione
- ROI: le grandi aziende che utilizzano il mentoring in pianta stabile su ampi numeri di persone ( General Electric, Intel, Google, Bain & Co…) comunicano ROI dei loro progetti tra il 120 e il 150%.
Esempio a parte, le aree su cui costruire progetti di mentoring spaziano dalla leadership, all’innovation, change management, internazionalizzazione, upskilling specifici…
Sembra efficace, semplice ed intuitivo, ma ci sono condizioni: perché un progetto di mentoring funzioni davvero serve:
- commitment da parte del top management
- una seria società di mentoring dotata di project manager, formatori e tutor qualificati
- un software che renda comunicazione, organizzazione, raccolta informazioni e monitoraggio dei percorsi istantanei. E che consenta di gestire progetti numericamente ampi, per generare più impatto, dopo la fase di test.
Quando si lascia tutto al caso, il rischio di fallimento è alto: gli incontri si trasformano in chiacchierate improduttive, la motivazione cala, le persone si disperdono fino a cessare di incontrarsi.
E Starbucks che c’entra? Rispondo con le parole di Kim WISE, pioniera del mentoring americano, AD di una delle più importanti società di software di mentoring, mia mentore: “Il mentoring organizzativo nasce in italia, dal modello della Scuola Bottega: fare insieme e nel mentre porsi domande e risposte, role modeling, trovare soluzioni e crescere professionalmente insieme. Noi Americani ci siamo limitati a organizzarlo in modo da renderlo adatto anche a grandi organizzazioni e ad adattarlo progressivamente alle esigenze del lavoro moderno.” Il paradosso del mentoring: essere lo Starbucks della formazione*. Perché anche noi non innoviamo la formazione, partendo da metodi che ci sono stati copiati e riadattati in molte parti del mondo?
Lo storico fondatore di Starbucks, Howard Schultz, nel corso di un viaggio a Milano, rimase affascinato dall’atmosfera magica che, ogni giorno, per qualche minuto, si respira intorno ad una minuscola tazzina di caffè. Ed è allora che decise, non di importare negli Stati Uniti l’espresso come prodotto, ma la sua vera e propria cultura, adattandola ovviamente al contesto americano.
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