riunioni e team

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Le riunioni e il team

“Se credete di avere dieci collaboratori, non scordate l’undicesimo”.

di Roberto Rigati

La riunione si concluse in orario, per cui a metà pomeriggio potei riprendere con Andrea il discorso da dove l’avevamo lasciato. 

«Oggi”, esordii, “dobbiamo parlare dei collaboratori intesi come gruppo. Per cominciare, in quali occasioni il capo si relaziona con il gruppo dei suoi collaboratori, e non con i singoli?».

«Bah, un po’ tutti i giorni, ma direi tipicamente in riunione».

«Già: secondo te quali differenze esistono tra la situazione gruppale della riunione e quella individuale del colloquio?».

«Nella riunione non ci si rivolge a un collaboratore in particolare, ma un po’ a tutti».

«Esatto. La riunione somiglia a un colloquio individuale, salvo che il capo si rivolgerà a un individuo un po’ strano: il gruppo dei collaboratori – e non i singoli. La differenza è quindi tutta nelle caratteristiche del gruppo».

«In che senso?».

«Il gruppo ha una psicologia propria, segue regole e meccanismi particolari: non è la semplice sommatoria delle personalità dei suoi membri, ma qualcosa di un po’ diverso. Infatti, se faccio una riunione con tre persone, ho ancora tre individui. Ma se mi rivolgo a una platea di un centinaio di dipendenti, ho davanti una massa che si comporta diversamente. 

Se un capo che ha dieci collaboratori, è come se ne avesse un undicesimo, il gruppo: meno evidente ma importantissimo.

Il gruppo è capace di vivere emozioni molto più forti del singolo, e ha reazioni più immediate, meno ragionate. Più infantili, se vuoi. I demagoghi questo lo sanno benissimo, e non per niente preferiscono di gran lunga rivolgersi al popolo dal piedistallo, sia esso reale come in un teatro o in uno stadio, oppure – nel caso di una apparizione televisiva – virtuale, mediatico».

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«Detto così, parrebbe che il gruppo sia un po’ stupido».

«No, è solo più emotivo. Del resto, ha anche altre caratteristiche. Ad esempio, ha un naso formidabile per captare l’insincerità di chi gli si rivolge. Tende a impiegare più tempo per analizzare un problema, ma spesso perviene a diagnosi più corrette e a soluzioni migliori, rispetto all’individuo medio».

«Quindi ci sono anche risvolti economici, nelle riunioni. Sento spesso dei manager che si lamentano del loro costo».

«Ed è vero. Pensa di riunire dieci impiegati che abbiano un costo aziendale orario di 33 euro circa. Se la riunione dura due ore, fanno 660 euro, cui bisogna aggiungere il costo del manager che la dirige, poniamo 80 euro l’ora. Totale, 820 euro. Ciò malgrado, l’alternativa quale sarebbe? Il manager dovrebbe fare dieci colloqui individuali, supponiamo che gli basterebbe un’ora a testa. Farebbe 330 euro, più dieci ore di tempo del manager. Totale, 1.130 euro. Come vedi, le riunioni costano, ma possono essere lo stesso un buon affare. Il punto semmai è un altro».

«Quale?».

«Le ragioni dell’inefficienza di un’intera struttura possono annidarsi proprio lì: nelle riunioni. Riunioni alle quali le persone arrivano senza le informazioni necessarie; riunioni che si risolvono in una replica inconcludente delle assemblee di condominio; in altre, l’unico obiettivo è aggiornarsi l’un l’altro dello stato dei lavori nei più piccoli dettagli, sicché dopo una giornata di meeting, le persone, annoiate e stravolte, hanno ascoltato sì e no un terzo di quanto si è detto; riunioni che si concludono senza alcuna decisione, né alcuna azione che sia stata definita per dar seguito alla riunione stessa: sono tutti esempi di inefficienza. 

Diciamoci la verità: il difetto, di solito, è nel manico.

Voglio dire: se le persone arrivano impreparate, chi le ha convocate ne accetta l’impreparazione – o non ha chiarito bene gli obiettivi della riunione stessa.

Se il dibattito è una discussione infinita su “chi ha ragione”, la responsabilità è di chi dovrebbe moderarlo: cioè in ultima analisi di chi ha indetto la riunione.

Riunioni di dodici ore con un ordine del giorno chilometrico (e per finire le famigerate “varie ed eventuali”, che rischiano d’allungare il meeting di un’ora come minimo) sono una condanna per chi vi partecipa, ma un errore per chi le ha concepite e le conduce in questo modo dissennato.
E se una riunione finisce senza costrutto, è perché chi doveva guidarla a una conclusione utile non lo ha fatto. Come ho già avuto modo di dire: dipende dal manager, se la sua squadra non sa lavorare in riunione. Dipende da lui, se le riunioni finiscono senza risultati. Dipende da lui, avere un Team o un gregge.”

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Roberto Rigati
Executive Coach
Executive Coach dal 2007, Mentor Coach con credenziale PCC (Professional Certified Coach) dell’International Coaching Federation, ha fondato l’Accademia del Coaching Prossemico©, metodo creato dopo anni di sperimentazione all’interno della scuola stessa. Autore di saggi (Si fa presto a dire manager e L’Eroe 6 Tu), relatore a convegni, trainer a centinaia di seminari sullo sviluppo manageriale.

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