Risorse Umane: colazione, confessioni e retention
di Valentina Cocozza
Vi starete probabilmente domandando cosa c’entra la colazione con le risorse umane.
La colazione è, lo si sa, il pasto più importante del giorno. Ma non solo da un punto di vista nutrizionale. La colazione è quel sacro più o meno rapido tempo in cui il lavoratore riflette su di sè, su cosa lo attenderà durante il giorno, sul suo grado di motivazione nel dare avvio alla giornata.
A colazione, svuotati dalle ore di digiuno notturne, si fanno i conti con la propria pancia, con il proprio sentire e con le proprie aspirazioni giornaliere.
I lenti e assopiti movimenti, – come se all’improvviso e per una breve parentesi di tempo decidessimo di sperimentare le vaghe remote nozioni di mindfullness e di consapevolezza dei gesti apprese in momenti non sospetti -, una sensazione di noia rassegnata e di inesorabilità, la speranza che il tempo passerà veloce, la pianificazione ansiosa e strozzata della giornata dalle sette del pomeriggio in poi, descrivono solo in minima parte il quotidiano flusso di pensieri mattutini, riflessi opacamente nella tazza di caffé.
Appagati o meno dalla propria attività lavorativa, il lavoro inevitabilmente crea stanchezza, fame di evasione, voglia di inventare modi per renderlo più leggero, meno totalizzante, meno estenuante, perché l’idea di arrivare a casa stravolti, sul più bello che la giornata si sveste di obblighi e si orna di libertà, diciamocelo, crea un qualche fastidio.
La Costituzione italiana in più frammenti si dedica al tema del lavoro e a quello dello sviluppo della persona, assegnando all’attività lavorativa l’ambizioso compito di nobilitare ed elevare l’essere umano.
Numerosi studi di psicologia riferiscono circa l‘essenziale dimensione creativa delle persone, dimensione in cui il lato più autentico, primitivo, geniale, irriproducibile artificialmente emerge energico, vitale, qualche volta maldestro, perché rispondente non a logiche rigide e razionali, ma istintuali.
Ebbene questa, la più preziosa fonte che un lavoratore può donare alla sua organizzazione, la sua più intima, magnifica, forzatamente timida natura è quella che pare volersi sistematicamente soffocare, reprimere, emarginare, zittire sul luogo di lavoro.
La creatività e la spontaneità possono infatti sfociare, secondo la mentalità manageriale dominante, in un eccesso di pensiero critico, in una mancanza di disciplina, in un rischioso atteggiamento para-anarchico in cui ciascuno ha bisogno di spazi e di regole sue per esprimersi.
Eppure non è necessariamente vera questa regola.
E qualcuno lo inizia a capire.
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I luoghi di lavoro più ambiti da parte dei lavoratori e più floridi dal punto di vista della redditività, sono quelli in cui primeggiano i valori di fiducia, dialogo, promozione della risorsa umana non solo in quanto ingranaggio produttivo, ma anche e soprattutto in quanto unicità, dotata di talenti e divulgatrice di passioni, passioni che quando condivise, possono aumentare la coesione del team, possono far sì che la persona non debba rinnegare sè stessa in ufficio, ma fare di quelle otto o nove un’occasione di arricchimento ed evoluzione quotidiana.
Questa logica, quando implementata, produce soddisfazione e inevitabilmente retention, riducendo costi di turnover, stimolando il passaparola e così diminuendo anche gli sforzi di ricerca e selezione.
Produce valore, quello vero, sovverte e rivoluziona l’equazione per cui lavoro uguale compromesso.
La “forza lavoro”, che così descritta fa pensare ad un enorme e pesante carro trainato da milioni di uomini ogni giorno, potrebbe e dovrebbe trasformarsi nel “motore lavoro” un motore alimentato da energia, carburato da estro, supportato da umanità.
Che fare dunque per realizzare questa condizione apparentemente idilliaca?
Piccoli accorgimenti possono bastare a rendere meno ostile l’arrivo al lavoro e meno attesa la dipartita.
Per citarne solo alcuni, senza voler banalizzare, è utile forse sapere che i dipendenti amano lavorare in un ambiente ordinato, avere vicino qualche pianta, che come tutto ciò che c’è di vivo, compensa la monotona tinta dei computer; avere a disposizione qualche rivista da sfogliare in pausa pranzo, un’ area ricreativa nella quale trovare libri e perché no, giochi…una bacheca sulla quale appendere notizie interessanti, eventi locali; un mini stereo per la musica, un ripiano medicine in caso di necessità, un cestino di frutta…o ancora ricevere una proposta di partecipazione a un seminario formativo e chi più ne ha più ne metta, in base alla disponibilità economica e agli spazi.
Dal punto di vista invece relazionale, particolarmente apprezzate dai dipendenti sono le doti di ascolto, empatia, collaborazione, disponibilità, fiducia, curiosità nei confronti della persona nei suoi interessi extra lavorativi, l’onestà, la trasparenza.
Sono piccole cose.
Eppure sono cose in grado di cambiare radicalmente il modo della risorsa di affrontare e percepire la giornata, il suo mondo riflesso nell’atto di mescolare ipnoticamente lo zucchero nel caffé, il suo modo di incedere verso il portoncino dell’ufficio, di girare la chiave nella serratura, di aprire la maniglia, di timbrare il badge e più in generale, di prodigarsi per il lavoro, specie quando si presentano ostacoli che richiedono uno sforzo superiore alla norma.
Le risorse umane non sono macchine; alle risorse umane sembra riduttiva l’idea di sgobbare solo per produrre denaro; le risorse umane vogliono raccontare chi sono e di cosa sono capaci.
Credono nelle utopie, nelle cose belle, nell’opportunità di evolvere, non solo in senso tecnologico.
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