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Riflessioni sulla motivazione: equità e confronto sociale
Proprio in questi giorni, siamo “bombardati” da articoli pubblicati da esperti di psicologia sulla motivazione, in quanto mai come in questo momento è importante rimanere motivati, nonostante siamo circondati da dolore, paura e sofferenza. Cosi, ripensando ai miei studi fatti, ho pensato di dedicare questo articolo proprio alla motivazione, se pur applicata al mondo del lavoro.
Sicuramente la motivazione sul posto di lavoro è un tema molto sentito, anche se, purtroppo, ancora non da tutti. Molte sono le aziende che hanno incentrato le proprie politiche del personale su questo tema (anche grazie alla presenza, al loro interno, di specialisti impegnati a sviluppare percorsi formativi e motivazionali) e molte sono le ricerche in questo ambito, i cui risultati possono essere, in linea di massima, cosi riassunti:
1) Esistono 2 differenti tipi di motivazione interconnessi uno all’altro:
- la motivazione estrinseca: quando i motivi che spingono a lavorare meglio e di più, sono dati da una ricompensa esterna, che può essere un aumento di stipendio, un avanzamento di carriera e nell’organigramma, il successo e la leadership che ne derivano, un bonus o un qualsiasi altro premio derivante dal raggiungimento dell’obiettivo richiesto.
- la motivazione intrinseca: quando i motivi che spingono a lavorare meglio e di più vengono da dentro, direttamente dalla volontà di raggiungere un obiettivo e di eccellere in quel ruolo, in quella mansione, la passione, l’amore per ciò che facciamo e il piacere che ne ricaviamo dal farlo, il senso di gratificazione che c’è a priori, indipendentemente dagli incentivi promessi o ricevuti, il senso di appartenenza.
Quindi, motivare un dipendente, non vuol dire necessariamente ed esclusivamente doverlo pagare di piu’ o dargli chissa’ quali riconoscimenti di natura economica.
Non tutti i dipendenti sono uguali, quindi è importante: 1) fare, prima di tutto, un’analisi individuale (per esempio attraverso colloqui di fine anno, questionari, analisi dei risultati, ecc..) per definire quale, tra i 2 differenti tipi di motivazione, risulta essere predominante; 2) A partire da tale analisi, creare il relativo piano di incentivo, studiato ad hoc.
Lascio naturalmente ai vari specialisti l’approfondimento di tale percorso.
2) Piu’ un dipendente è motivato e soddisfatto, piu’ “produce”, anche meglio e in minor tempo. E questo significa anche per l’azienda, guadagnarne in immagine e status, in competitività sul mercato del lavoro, in un piu’ favorevole raggiungimento dei propri obiettivi a breve e lungo termine, minori conflitti e problemi interni da dover gestire;
3) Piu’ un dipendente è motivato e soddisfatto, meno sentirà l’esigenza di “mettersi in vendita” sul mercato del lavoro e piu’ sarà forte e radicato in lui il senso di appartenenza: questo significa per l’azienda assicurarsi importanti risorse umane nel proprio team ed evitare di perdere i cosidetti “talenti”.
N.B. dobbiamo comunque tenere in considerazione che il “livello di produzione” e la “fedelta’” all’azienda possono essere anche influenzati dalle condizioni personali, dal vissuto, dallo stato emotivo in cui si ritrova il lavoratore in un determinato periodo della sua vita, dai suoi bisogni e dalle sue necessità attuali e future….
Un aspetto che pero’, secondo me, spesso viene tralasciato, ci viene suggerito direttamente dall’analisi dalle 2 seguenti teorie:
“La teoria del confronto sociale” di Festinguer e “la teoria dell’equità” di Adams
La prima risale agli anni ‘50 e introduce per la prima volta il concetto di confronto sociale, mentre la seconda risale agli anni ’60 e riprende il concetto di confronto, applicandolo all’ambito piu’ strettamente lavorativo e introducendone di nuovi, quali equità e giustizia
Integrando e rielaborando i concetti chiave di queste 2 teorie, possiamo quindi arrivare alla conclusione che esistano anche altri aspetti molto importanti da considerare quando si vuole motivare un dipendente. Il contesto lavorativo è per definizione un contesto sociale e quindi ogni individuo, anche al fine di ottenere dei feedback su se stesso, compie inevitabilmente e continuamente delle valutazioni e dei confronti tra:
1) i propri input (ovvero tutto ciò che un individuo porta con sé, per esempio le sue esperienze, le sue hard e soft skills, la sua professionalità, la sua dedizione al lavoro) e i propri output (ovvero tutto ciò che riceve in cambio delle sue prestazioni, per esempio soldi, status, riconoscimenti, incentivi, avanzamenti di carriera);
2) gli input e gli output di chi interagisce con lui – è vero che per privacy queste informazioni non dovrebbero mai essere divulgate, ma è anche vero che il passaparola c’è e ci sarà sempre;
3) i suoi output e quelli di chi interagisce con lui, relativamente ai rispettivi input.
A seconda dei risultati che emergono da tali confronti e valutazioni, l’individuo sarà più o meno motivato. La motivazione o la demotivazione, quindi, non derivano esclusivamente dagli output in se stessi, bensì anche da una concatenazione di fattori quali:
1) la percezione che ha o che non ha che i suoi output sono equi e giusti, proporzionati agli input;
2) la percezione che ha o che non ha che gli output altrui sono equi e giusti, proporzionati ai loro input;
3) il confronto che inevitabilmente fa tra i suoi output e gli output altrui, a partire dai rispettivi input
Per fare un esempio concreto:
caso 1. X. percepisce che c’è uno squilibrio, un’evidente disparità tra input e output.
Output > input = si sentirà in difetto e cercherà di migliorare le sue prestazioni, cercando di allinearle così agli output; input > output = risulterà demotivato e ciò porterà a un inevitabile calo delle sue prestazioni. In questo specifico caso, per aumentare il suo livello di motivazione, la prima cosa da fare sarà quella di fare in modo che la sua percezione cambi, allineando gli input agli output, ad esempio introducendo incentivi di natura estrinseca o intrinseca; la seconda cosa da fare sarà quella di fare in modo che, confrontandosi socialmente, possa percepire che ci siano giustizia ed equità.
caso 2. X., al contrario, percepisce che c’è un equilibrio tra i suoi input e gli output, per cui di per sé è motivato e soddisfatto dalla sua situazione attuale. X. si confronta con il collega Y. (ricordiamoci che i confronti, di regola, vengono fatti verso persone con lo stesso inquadramento contrattuale, lo stesso ruolo, esperienza, anzianità lavorativa, quindi nell’insieme sono abbastanza obiettivi e realistici) e realizza che Y., pur con input inferiori a lui, ha ottenuto gli stessi output o addirittura di migliori. Da questo momento in poi, non solo X. risulterà demotivato perché convinto di essere vittima di un’ingiustizia, ma addirittura finirà per convincersi che esiste anche uno squilibrio tra i suoi input e i suoi output: inevitabilmente, tale cambio di vedute, lo riporterà al caso 1.
caso 3. X. percepisce che c’è un equilibrio tra i suoi input e gli output, per cui di per sé è motivato e soddisfatto dalla sua situazione attuale. X. si confronta con il collega Y. e realizza che Y., per meritocrazia, ha output migliori. Questo lo motiverà e incentiverà a dare di più (input) cosi da poter ottenere gli stessi output di Y: sente che ci sono equità e giustizia e che “più si da’, più si riceve”
Quello che ci suggeriscono queste teorie, quindi, è l’importanza di:
- riuscire a rinunciare, prima di tutto, al principio del “…se premio/incentivo solo alcuni e non tutti, rischio di generare conflitti interni e competizione: per cui o tutti o nessuno…” (ancora molto diffuso, soprattutto nelle piccole realtà che, al loro interno, magari non hanno veri e propri specialisti delle HR): da un lato, perché, al contrario di quello che si pensa, è l’applicazione stessa di questo principio a creare demotivazione e conflitti interni, dall’altro perché comunque, non va dimenticato che è impossibile accontentare tutti, anche in considerazione del fatto che, in ogni azienda, ci sono sempre gli eterni insoddisfatti e gli eterni polemici che meno danno, più pretendono.… e che questi sono impossibili da motivare e soddisfare per definizione!!!);
- riconoscere quali dipendenti sono davvero delle risorse, dei valori aggiunti per l’azienda e puntare quindi su di essi;
- definire il piano di incentivo motivazionale più idoneo e attraente per questi;
- creare un contesto sociale in cui regnano equità e giustizia
Ricordiamoci, per concludere, che un individuo motivato, gratificato (e non esclusivamente a livello economico), che si sente parte integrante di un team di lavoro, che si vede riconosciuti, anche solo a volte con un “grazie”, il suo impegno, la sua professionalità, la sua devozione, che sente che c’è una politica del personale centrata su valori quali l’ equità e la giustizia, oltre a essere ovviamente un valore aggiunto, una risorsa, da un punto di vista di hard e soft skills, sarà per forza di cose anche un valido alleato per l’azienda, un dipendente che magari durante un periodo di crisi, sarà il primo a essere disposto a fare delle rinunce, senza avanzare pretese e senza mettersi in vendita sul mercato appena gli sarà possibile…quindi teniamocelo stretto!!!
Bibliografia:
“Psicologia del lavoro” di D.L.M. Berry e J.P Huston. – Capitolo: “La motivazione al lavoro”
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