LA RESPONSABILITA’ SOSTENIBILE ®
“Son fatti che attendono alla storia
chi fosse la provincia e chi l’impero
non è il punto.
Il punto era l’incendio”.
Pasquale Panella
Vi sarà certamente capitato di arrivare a fine riunione e nel momento in cui si tirano le fila del discorso qualcuno pronuncia la parola magica che mette d’accordo tutti con un’espressione che suona più o meno così: il nostro operato dovrà perseguire il fine della sostenibilità. Fa parte di quel risicato bagaglio di espressioni che hanno però un effetto salvifico, dei potenti passe-partout, e che sembrano la panacea di ogni male. Sembra essere un argomento che fa da collante, che tiene unite le diverse anime all’interno di un’organizzazione.
La sostenibilità è ormai presente a vari livelli e in diverse forme nelle agende di molte imprese che hanno la necessità di stabilire delle relazioni autentiche con i loro clienti interni e con i vari stakeholder. Non può essere derubricata a una moda passeggera perché di passeggero ha ben poco e tutte le azioni che dovranno essere introdotte vanno considerate come strutturali alla sopravvivenza stessa del sistema economico e sociale di cui tutti facciamo parte. C’è, come spesso accade, una dimensione duale da tenere sempre in debita considerazione che è quella individuale oltre che organizzativa. Per poter parlare di approccio sostenibile le due dimensioni non possono rimanere slegate ma vanno entrambe sviluppate in parallelo con modalità evidentemente diverse ma accomunate dallo stesso obiettivo di fondo che rimane quello di vivere meglio in un ecosistema più sano e che possa garantire un futuro, per l’appunto, sostenibile.
Nel 2015 l’ONU ha diffuso la sua agenda che ha come traguardo il 2030 dove sono enunciati 17 obiettivi e le modalità con le quali perseguirli. L’agenda, sottoscritta da tutti i 193 Paesi membri dell’ONU, è senza dubbio ambiziosa e presuppone una decisa presa in carico di responsabilità da parte di tutti, singolo individuo o organizzazione più o meno complessa. È in tale contesto che dovremo cercare di approfondire il significato del termine responsabilità che nel corso degli anni sembra aver perso buona parte del suo significato più profondo.
Sgombriamo subito il campo da facili equivoci. Responsabilità non significa che uno decide e gli altri eseguono. Troppo semplice come ragionamento. Responsabilità è soprattutto abilità nel fornire risposte, lo suggerisce l’etimologia della parola stessa, ma lo sforzo non è solo quello di rispondere ai legittimi dubbi di persone più o meno confuse ma far sì che quelle risposte siano sostenibili dove il termine sostenibile diventa quasi sinonimo di accettazione e condivisione. Un’Azienda sostenibile è quella dove è manifesta una piena comunione d’intenti dove, cioè, i valori personali e quelli aziendali sono quasi sovrapponibili. È facile? Nemmeno per sogno, a volte non basta una vita e il fenomeno si amplifica ancora di più quando nelle organizzazioni si stratificano più generazioni con esigenze ed obiettivi molto diversi tra loro.
Qual è, quindi, il ruolo del responsabile alla luce dello scenario appena rappresentato? Lo sanno in pochi, per non dire nessuno ed è questo uno dei motivi per cui i ruoli di responsabilità, nel recente passato molto appetiti, hanno perso buona parte del loro appeal. Non è una priorità, per dirla in soldoni, si fa fatica a individuarli e soprattutto a convincerli e nemmeno la leva economica è più sufficiente. Ecco uno dei motivi che in parte giustifica la trasformazione del concetto di responsabilità.
La tendenza è quella di avere meno responsabili e quindi organizzazioni sempre più liquide dove va affermandosi un principio di responsabilità diffusa. È un concetto che viaggia di pari passo alla trasformazione del lavoro e in alcuni casi anche alla diminuzione del lavoro stesso dovuto a una maggiore razionalizzazione delle attività e a un uso sempre più spinto della tecnologia per quei lavori considerati a basso valore aggiunto. Si passa in buona sostanza dallo svolgere mansioni molto ben codificate e quantitativamente misurabili a una sempre più spinta imprenditorialità delle mansioni stesse. Si ragiona, quindi, sul Purpose e non più sull’Execution, faccio questo perché ha un senso e perché facendo questo realizzo un obiettivo che non è solo mio ma dell’intera organizzazione ed in più lo realizzo, o cerco di farlo, senza l’affanno dell’ignoto e quindi posso definirlo, nel mio sistema valoriale, sostenibile.
Può sembrare un esercizio didattico ma vi assicuro che non lo è e soprattutto in queste dinamiche entra in gioco una variabile alla quale abbiamo spesso dato una connotazione negativa vale a dire l’ambizione. Potremmo parlare di una vera e propria crisi di ambizione che può leggersi con la sensazione di smarrimento che spesso si vive in contesti dove non è ben compreso e metabolizzato il concetto di responsabilità sostenibile. È anche un problema di comunicazione ma non è solo un problema di comunicazione perché, se comunico e al contempo non faccio tesoro dell’ascolto e del relativo contraddittorio, non ho ottenuto nessun beneficio.
In questo contesto che ha un’oggettiva complessità, occuparsi di persone è un compito oltremodo difficile e va affrontato al pari di un’emergenza sociale. Porsi la domanda del perché nei dialoghi con le persone non cogliamo di sovente una loro reale ambizione dovrebbe farci riflettere sulla necessità di introdurre nel lessico aziendale o nel dizionario HR temi quali i sogni e le speranze. Non è più il tempo del compitino da portare a casa con domande stereotipate condite da risposte che potremmo inserire ancor prima di ascoltare le nostre risorse ma occorre trovare lo spazio e il momento per discutere, anche in maniera animata, di sogni e di speranze, entrare in una dimensione più emotiva e meno algida.
È questo il primo e più importante passo verso un reale ingaggio delle persone, abbiamo bisogno di conoscere i loro sogni e le loro speranze, mapparle, farle diventare perseguibili e quindi sostenibili laddove siano concrete e non concetti astratti e disancorati dalla realtà. La visione presuppone la presenza di visionari, di persone che a vario titolo, abbiano la capacità di interpretare i sogni e anche di generarli. Visionari, creativi, sognatori. Non li troverete in nessun organigramma eppure sono necessari, oggi più che mai, e hanno delle precise responsabilità, una su tutte quella di portare a bordo i disillusi.
Immaginare tutto questo come una gigantesca prova di forza non è del tutto corretto. La concezione muscolare che nel corso del tempo abbiamo attribuito a temi quali la responsabilità, l’ambizione, il decisionismo, è ormai sbiadita. Oggi quando affrontiamo il tema della responsabilità sostenibile dobbiamo guardarlo con un’altra lente, quella della messa in discussione, dobbiamo cioè chiederci se la responsabilità che stiamo offrendo o che stiamo agendo noi stessi è sopportabile in termini di peso sia esso organizzativo o individuale che è cosa diversa da una semplice analisi costi e benefici dove sono i numeri a orientare le decisioni mentre nel primo caso a guidare la scelta è una componente per lo più emotiva e per certi versi irrazionale.
Questo scenario ci aiuta anche a capire un po’ meglio il ruolo dell’HR che in un mondo in continua evoluzione dovrà in parte cambiare pelle ed essere sempre più presente nel persuadere le persone e accompagnarle nelle loro scelte, motivandole e dando una lettura più ampia del contesto. Nel grafico sottostante si vuole sottolineare proprio la centralità delle figure HR la cui legittimazione risiede nella capacità di influenzare le scelte e indirizzarle nella maniera più corretta al fine di evitare una pericolosa dispersione emotiva e organizzativa.
In sostanza nei momenti decisionali quella dell’HR deve diventare giocoforza una voce autorevole e non marginale come purtroppo avviene in molti casi. Se vogliamo è la logica sempre attuale del prevenire è meglio che curare. Ovviamente la sola presenza di un HR concettualmente diverso da quello che abbiamo imparato a conoscere nel corso del tempo non è condizione sufficiente per sminare il terreno. Occorre una maggiore condivisione d’intenti tra i vari stakeholder che si traduce in comportamenti e relazioni trasparenti e quindi sostenibili per tutti.
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