Quando i soldi non bastano
Come promuovere un’autentica Soddisfazione Lavorativa
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Quante volte nella nostra testa, sul tragitto che ci porta in ufficio, abbiamo esclamato “lo faccio perchè voglio farlo”?
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Quante giornate abbiamo inaugurato all’insegna dell’entusiasmo e della trepidante attesa di fornire, finalmente, il nostro contribuito alle sorti e alla produttività della nostra azienda?
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Quante altre volte invece, quasi innescando il pilota automatico, abbiamo esclamato con rassegnazione a noi stessi ” devo farlo, d’altronde, non ho un’alternativa migliore”?
Idealmente, se dovessimo indicare di getto, quello che pensiamo essere il contrario del concetto di soddisfazione, quasi sicuramente potremmo pensare, in maniera immediata, al costrutto di insoddisfazione. Nel pensare comune infatti, all’assenza di insoddisfazione, coincide automaticamente la presenza di soddisfazione: se non sei una persona insoddisfatta, matematicamente, è altamente probabile che tu sia una persona che prova soddisfazione.
In realtà, questi due concetti che sembrerebbero pervenire naturalmente in antitesi, posti sotto la lente d’ingrandimento si disvelano in un rapporto ben diverso da quello dicotomico e, nello specifico della pratica lavorativa, necessitano di essere presi in considerazione in maniera rimarchevole per via del loro risvolto fortemente incisivo sull’indirizzare la messa in atto di molte delle pratiche manageriali più salienti e strategiche.
Infatti, all’interno di un contesto organizzativo aziendale, mettere in atto questa automatica ma erronea distinzione concettuale, porta spesso a prendere delle decisioni e ad adottare determinati comportamenti gestionali del tutto errati e spesso controproducenti.
Per capire il perché, a livello di gestione organizzativa, sia vitale un maggior approfondimento di tali nozioni, possiamo provare ad immaginare la situazione in cui un manager si trova di fronte ad un collaboratore sempre puntuale, sempre sorridente, disponibile e che magari non abbia mai richiesto particolari esigenze gestionali . Evidentemente, il nostro manager, guidato da tali indizi, andrebbe a giudicare questo collaboratore come una persona che non risulta essere insoddisfatta o, in altri termini, come un lavoratore ben soddisfatto e, altrettanto automaticamente, sarà proprio sotto l’egida di questa considerazione, che andrà a modulare il tipo di soluzioni da adottare nei confronti del suo collaboratore non valutando fatalmente come ,in realtà, l’assenza di insoddisfazione non coincida, in maniera inconfutabilmente lineare, con la presenza di soddisfazione.
PERSONE DIVERSE MOTIVAZIONI DIVERSE
Il passo successivo a tale esiziale prima considerazione, spesso si traduce nell’attuazione di strategie di Management completamente inesatte che si strutturano sulla sottovalutazione, o meglio, sul travisamento di un altrettanto vitale elemento quale quello della motivazione che, a tutti gli effetti, risulta essere una determinante fondamentale della prestazione. In questo senso, benché nell’immaginario comune venga spesso dato per assodato, sovente, molti degli errori decisionali a livello strategico compiuti, traggono origine proprio dalla mancata consapevolezza che le motivazioni che alimentano e animano le persone, in special modo sul lavoro, sono molto diverse tra loro e, ancor più, sono inscindibilmente legate alle caratteristiche peculiari di ogni singolo collaboratore: in buona sostanza, così come non esiste nella vita quotidiana, un’unica e perfetta formula magica che motivi e stimoli in maniera omogenea tutti i tipi di individui essa sarà men che mai rintracciabile all’interno di uno scenario organizzativo aziendale.
Essenzialmente, in virtù di quanto detto, il nostro manager, continuerà ad adottare tutta una serie di strategie basate su leve incentivanti sostanzialmente inadeguate che non avranno ulteriore esito se non quello di nutrire l’assenza di insoddisfazione del proprio collaboratore, vivendo tuttavia nell’illusione di star agendo sulla sua autentica soddisfazione ma di fatto non approssimandosi minimamente a quest’ultima poiché, di fatto, si troverà a lavorare su un piano e con strategie completamente inadatte ad ottenere l’instillamento di questa nei propri collaboratori.
PERCHE’ DEVO O PERCHE’ VOGLIO?
In tal guisa il manager, molto probabilmente, andrà ad utilizzare come strumenti principali nel proprio operato quelli che vengono definiti fattori igienici i quali, per loro natura, sono da considerare come dei catalizzatori di un tipo di motivazione sostanzialmente estrinseca poiché di fatto si muovono nella direzione di un decremento della non soddisfazione che tuttavia, in virtù di quanto sostenuto, risulta essere ben diversa e ben distante dalla vera soddisfazione, non avvicinandola in alcun modo.
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Pertanto, un simil scenario, si organizza attorno alla capitale mancanza, al suo interno, di decisivi stimoli intrinseci. Infatti, sebbene la comparsa di tali fattori igienici sia auspicabile ed innegabilmente dotata di una certa rilevanza pratica (basti pensare a leve quali ricompense monetarie), la loro esclusiva presenza non influenza e non tange la vera motivazione intrinseca di un collaboratore bensì lo approssima, al massimo, alla riduzione del grado di non soddisfazione, pur sempre differente dalla genuina soddisfazione di un individuo.
Il risvolto fatale di una tale erronea soluzione manageriale, all’atto pratico, si concretizza nella minaccia di trovarsi dinanzi ad un collaboratore altamente esposto al rischio di sviluppare un’inerzia lavorativa da intendere come promotrice di un commitment essenzialmente di tipo continuativo. Quest’ultima tipologia di commitment infatti, risulta essere il tratto peculiare di un collaboratore il cui grado di impegno e dedizione alla mansione, sarà sostanzialmente da intendere come la diretta risultante di una mera analisi costi/benefici riguardante la propria presenza all’interno dell’azienda.
Al contrario – e da qui l’esigenza per un responsabile di conoscere e comprendere a 360 gradi i suoi collaboratori soppesando, la scelta delle leve sulle quali agire, proprio in base alla consapevolezza di ogni singolo tratto distintivo di quest’ultimi- se questo indirizzasse le proprie iniziative decisionali in una direzione direttamente rivolta alla modulazione della motivazione intrinseca dei propri collaboratori, lavorando pertanto su fattori veramente motivanti per quest’ultimi, esso avrà la possibilità di vedere esponenzialmente incrementata la probabilità di godere di un dipendente che, non solo tenga distante da se l’elemento non soddisfazione ma che risulti altamente e intrinsecamente motivato e che, in virtù di ciò, abbia spianata davanti a se, la strada che lo conduca direttamente ad un’autentica e spontanea soddisfazione lavorativa.
Un simil status quo, a cascata, innesca un circolo virtuoso che stimola un commitment che non appaia così continuativo poiché, in buona sostanza, guidato dall’inerzia bensì un commitment affettivo il quale fa riferimento alla componente emotiva e personale che il collaboratore prova nei confronti della sua organizzazione, ed in particolar modo, al suo coinvolgimento ed identificazione, da un punto di vista valoriale, con essa, ragion per cui, il lavoratore continuerà a dedicarsi operativamente alla sua organizzazione con una crescente dedizione derivante, non da una pura mancanza di alternativa bensì da una ben precisa e consapevole scelta che si origina dal percepire, la suddetta realtà organizzativa, come allineata ai suoi stessi valori e sinceramente propria. Tale premessa si configura, altresì, come il terreno fertile per la genesi, nel collaboratore, di un alto livello di engagement caratterizzato per l’appunto da una piena immersione, dedizione e vigoria, di quest’ultimo, nei confronti del proprio ruolo lavorativo ed esso, come risultato di ciò, sarà un preziosissimo alleato della futura produttività aziendale, poiché contribuirà in maniera notevolmente più proficua al perseguimento degli obiettivi strategici.
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