Quale futuro per la formazione manageriale

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Quale futuro per la formazione manageriale?

La Formazione nel post-emergenza per ridestare gli animi (e le coscienze) … in presenza

di Giuseppe De Petra

Aveva forse ragione Emil Cioran quando nei suoi pregevoli Cahiers affermava che niente è più convincente e insieme più esasperante del pessimismo. Certo, oggi sarebbe fin troppo facile abbandonarsi allo sconforto e arrendersi di fronte agli spauracchi agitati dalla vulgata giornalistica, laddove sarebbe invece ben più saggio guardare avanti e riprogrammare il futuro con determinazione e spirito d’iniziativa. Tuttavia, non è mia intenzione farmi irretire dai fantasmi del disfattismo, ma alla luce di ciò che si sta prefigurando all’orizzonte, posso affermare senza tema di smentita che la formazione manageriale stia sciabordando bel bella in mezzo ad un pantano. Questo pantano altro non è che un guazzabuglio. Anzi, un’antitesi. Non le basta la trascuratezza che le hanno riservato la politica e il governo emergenziale di questi mesi, ma sembra quasi che altre forze oscure e centrifughe la stiano sospingendo in lungo e in largo in un territorio indefinito, incerto, privo di approdi, in un movimento quasi di subduzione.

L’antitesi è dunque questa: le aziende si trovano da un lato con la necessità cogente di formare – ora come non mai – i propri manager per affrontare e gestire un futuro di incertezze, di sicuri cambiamenti e, perché no, di nuove opportunità che bisognerà però saper decifrare e sulle quali si dovrà scommettere e, dall’altro, con l’impossibilità di dedicare loro il tempo e le cure necessarie ed opportune affinché siano sufficientemente irrobustiti per reggere l’urto di una trasformazione di cui non ne conosciamo l’entità, ma possiamo solo intuirne le ombre.

Ammettiamo pure che l’impasse dell’imprenditoria sul piano organizzativo, ma prim’ancora su quello economico e finanziario di questi ultimi due mesi, le criticità fisiologiche intervenute con il lockdown, le inusitate e gravose urgenze che via via si stanno susseguendo in questi giorni, insieme ad uno storno delle attenzioni su fronti sicuramente più scottanti e prosaici, non concedano alle aziende quel necessario e doveroso riguardo che si deve alla formazione. A onore del vero, bisogna pur dire che fino a poco prima della comparsa di questo sciagurato virus, molti di noi, docenti e consulenti, stavano apprezzando un suo incoraggiante rilancio, quanto meno un rilancio programmatico che lasciava presagire un rinnovato interesse. Oggi, dopo tutto quello che si è abbattuto sulle nostre teste e all’alba di una severa crisi economica, politica e sociale in orchestrazione, tutti gli apparati formativi sono stati rimessi in discussione e con loro anche la formazione per i manager. Che fare allora? Bisognerà pur salvaguardarla con tutti i mezzi a disposizione. Non bisognerà però privarla del suo statuto deontologico e in particolare della sua funzione preminente sul fronte organizzativo. Bisognerà supportarla e riconfermarle il credito che così faticosamente ha ottenuto negli anni. Costi quello che costi. Ma ciò che bisognerà evitare è velocizzarla, cioè gettarla nel gorgo dantesco dei parossismi, delle paure, degli stati emergenziali e delle cautele soverchie che non potranno fare altro che degradarla e mortificarla.

Il suo raggio d’azione è sin troppo vasto e si presta alle dispersioni degli obiettivi come dei saperi, tra i mille rivoli e le altrettante declinazioni e sotto-declinazioni. Tuttavia, essa rappresenta per me quanto di meglio ci possa essere nel campo della consulenza. La gestione delle risorse umane, poi, ha da par suo tutta la propria pletora di specializzazioni, di sottosistemi e di teoremi che rendono la faccenda ancor più complicata. Entrambe sono quindi attività che si rivolgono a tutti coloro che, a vario titolo, hanno la responsabilità non solo dei risultati, ma soprattutto una responsabilità che definirei relazionale nei confronti delle persone e legata mani e piedi ad ambiti specifici quali la comunicazione efficace, la motivazione (intrinseca), la responsabilizzazione (leadership diffuse), l’esercizio corretto della leadership, l’engagement e il change management. Per tutti questi motivi esse esigono presenza.

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Ma a ben guardare, e soprattutto ora, un ulteriore motivo di inquietudine aleggia sul nostro capo, come un angelo della perplessità, e cioè la cristallizzazione delle prassi didattiche e formative ad esclusivo mezzo webinar. Prassi che oggi sono necessarie, lo capiamo, ma che potrebbero in futuro diventare endemiche alla consulenza organizzativa, privandola dei normali e necessari tempi di realizzazione, ma soprattutto privando le aziende dell’efficacia che solo l’aula poteva e può garantire. Se consideriamo che l’oggetto della formazione è in realtà il supporto quanto più possibile concreto alla risoluzione delle difficoltà manageriali tout court, posso allora dire che i problemi che affliggono le aziende – e con loro i manager – non potranno certo essere chiariti e sbrogliati a manciate di sessioni a distanza. Si aggiunga poi che, visto l’andazzo – mi si perdoni il francesismo – non solo ci si sta limitando ad una fruizione a dosi omeopatiche, ma il rischio è che da domani le aziende si convinceranno che quelle esigue misure potranno e dovranno bastare, con buona pace della programmazione, della progettazione, delle valutazioni ex ante, dei tempi canonici e della fisicità, ovvero ciò che connota davvero l’attività formativa.

La formazione tutta, ma in particolare quella manageriale – mutuando le parole di Sciascia quando descriveva la sua Sicilia – è più bella e più intensa laddove è (e sarà) più aspra, più nuda e più “cruda”, perché più partecipata e quindi più empatica. Le complessità, per comprenderle e per diagnosticarle, vanno vissute, vanno “sentite”, vanno “annusate”, fiutate, per poterci mettere mano e risolverle. Sono proprio i problemi la prova ontologica della formazione e forse della stessa azienda. Senza di essi, sarebbe priva di colonna vertebrale, priva di obiettivi e solo un immane groviglio di automazioni e di collegamenti da remoto. Tranquilli, è di gran lunga più conciliante e senza troppi incomodi trascorrere qualche mezz’ora alla fresca ombra di un webinar e di slide patinate che si susseguono superbe e lucenti negli schermi dei computer, davanti a tutti coloro che se ne stanno nelle retrovie, tra un sospiro indolente e un messaggio furtivo. Ma domani, più che mai, la formazione dovrà essere più impietosa perché dovrà guardare dritto negli occhi le persone e sciorinare tutte le criticità, gli impedimenti e le loro scaturigini, prima di dirimerli, e dovrà essere più incisiva perché dovrà supportare meglio il management, senza infingimenti né teorie impraticabili.

Tanto più si va alla pancia dei problemi e tanto più si vive l’azienda, quanto più la formazione in presenza assume quell’adeguatezza e quell’utilità che da sempre la determinano. No, non mi fraintendano i sostenitori della formazione a distanza e soprattutto non me ne vogliano. Io stesso, molti anni fa, partecipai ad un progetto e ad una pubblicazione proprio sul tema dell’e-learning, enfatizzandone le peculiarità e i punti di forza. Anch’essa ha certamente i suoi vantaggi inoppugnabili e anch’essi, i suoi sottoscrittori, hanno le loro ottime ragioni per perorarne la causa, ma ho trascorso troppi anni nelle sale riunioni, nelle relazioni, negli ambienti poco areati, per dover soccombere così, senza colpo ferire, ad un nuovo orientamento che forse farebbe scomparire l’aula d’un sol colpo, se solo potesse.

Detto questo, se le aziende saranno – come credo – intelligenti ed avvedute per cogliere il ruolo cruciale che giocherà nel futuro prossimo il training manageriale in tutta la sua portata e se soprattutto saremo noi formatori e consulenti sufficientemente resistenti al trend del “pochi, maledetti e subito”, allora – e solo allora – la formazione godrà di una ribalta luminosa su tutti i fronti, supporterà il futuro delle aziende e delle Risorse Umane nel post-emergenza e saprà affiancare gli imprenditori, i dirigenti e i responsabili in genere per fronteggiare e governare un change management che presto – molto presto – diventerà ineludibile.

Ci si adoperi, quindi, senza timori e senza riserve, affinché il distanziamento sociale oggi imposto dagli eventi non diventi domani, per la formazione, un allontanamento cronico imposto dalla consuetudine.

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Giuseppe De Petra
Consulenza & Formazione Manageriale e HR
Giuseppe De Petra è docente libero professionista e senior consultant nell’ambito della formazione e della consulenza manageriale per lo Sviluppo Organizzativo e l’HR Management. È autore del libro “I tre apprendimenti circolari per il management 5.0 – Il modello della Leadership Generativa tra Change Management ed Engagement Organizzativo". Dal 2003 realizza progetti e attività di sviluppo organizzativo per le piccole, medie e grandi realtà imprenditoriali del territorio italiano. Collabora con le più importanti società di consulenza e di training. Scrive articoli su questo blog in tema di Management, HR, Leadership e Comunicazione organizzativa.

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