La prospettiva del cambiamento nell’ambiente di lavoro
Perché il ruolo del reclutamento è importante
Lo scorso mese ho partecipato a un interessante webinar organizzato da Pernille Hippe Brun (CEO & Founder Session), in cui intervistava Marlene Gudman (Employee Success Business Partner North / EMEA Salesforce) e Rand Blak Barawy (Engagement Manager Implement Consulting Group) riguardo alla Psychology Safety at Work (vedi webinar qui) e che ritengo interessante da approfondire in prospettiva delle dinamiche comunicative all’interno del gruppo di lavoro.
Durante questo incontro, i due consulenti intervistati hanno parlato anche delle esperienze lavorative fatte all’interno delle differenti aziende che richiedevano i loro interventi formativi: una delle problematiche che si ritrovavano spesso ad affrontare era lo scetticismo ed i dubbi che sovente avevano i leaders partecipanti riguardo a queste strategie.
A tal proposito, alla domanda se queste situazioni erano determinate da una mancanza di specifiche competenze relazionali da parte dei suddetti leaders, ignorate durante il processo di reclutamento, una parte della risposta data da uno dei due consulenti è stata la seguente: “spero che in futuro diventeremo molto più consapevoli di questo tipo di tratti e comportamenti di leadership in relazione agli altri, perché vediamo le persone con le migliori prestazioni promosse come leader, ma questo in realtà non le rende dei grandi leader”.
Oggi le aziende sono certamente consapevoli del cambiamento che sta avvenendo nel mondo del lavoro e lo prova il fatto che si affidano sempre di più a consulenti e psicologi del lavoro per aggiornarsi e migliorarsi in tal senso. Nonostante ciò, a mio avviso, appaiono ancora caute nel perseguire appieno tali strategie che, di fatto, andrebbero a rivoluzionare aspetti fondamentali delle loro strutture interne come, per esempio, la stessa cultura organizzativa.
Questa incertezza genera una incongruenza tra i concetti teorici promossi esternamente dalla azienda e la realtà lavorativa interna che di fatto è ancorata ai vecchi principi: di conseguenza, questa situazione potrebbe causare negli stessi membri del gruppo di lavoro l’insorgere di dissonanze cognitive che spesso sono alla base dello sviluppo di disagi, sia fisici che psicologici.
Gli stessi processi di reclutamento, inseriti in questi contesti, sono caratterizzati da un doppio effetto, cioè influenzano e vengono influenzati dalla situazione preesistente. Infatti, anche come menzionato nel webinar, la tendenza che si ripete ogni volta, è quella di puntare sull’aspetto esperienziale e operativo del soggetto che deve essere assunto, soprattutto all’interno della classe manageriale aziendale. Eppure, come è stato più volte confutato, un ottimo leader non ha soltanto delle responsabilità rivolte al compito, ma anche quelle di relazione, cioè relative alle interazioni con i dipendenti, alla comunicazione efficace, al feedback sui compiti assegnati, al supporto, etc. che risultano essenziali nella costituzione di un ambiente lavorativo sano ed efficace.
E se la prima caratteristica è possibile assumerla leggendo un curriculum, la seconda, quella cioè connessa alle cosiddette competenze trasversali, non è così evidente e quasi impossibile da estrapolare da una lista di precedenti occupazioni. Ecco che, come ho già scritto precedentemente in un altro articolo pubblicato su questo sito (vedi articolo), i processi di assunzione delle aziende sono influenzati da una concezione del lavoro e della figura del leader ancora legate al passato.
Negli annunci di lavoro è possibile notare questo aspetto nella ridondanza di termini come talento, esperienza, ambizione, caratteristiche essenziali da possedere per aspirare a ottenere un posto di lavoro e, ancor più, una posizione di responsabilità. Per assurdo, e forse non poi tanto oggigiorno, non viene mai richiesto, per esempio, di possedere una buona educazione, intesa come comportamento, e comprensione verso il prossimo; il problem solving inteso, non solo come la capacità di saper trovare una soluzione pratica, ma bensì quella adeguata per tutti; la empatia e il supporto verso gli altri, non rappresentati da una semplice pacca sulla spalla e da una stretta di mano ma come una reale e sincera collaborazione tra colleghi e con l’azienda stessa.
Essere generosi e altruisti verso il prossimo, soprattutto nel mondo Occidentale, appare stranamente come un segno di debolezza e di fallimento. Le stesse ambizioni personali sono percepite come stimolo necessario ad eccellere nel ruolo lavorativo in cui un individuo verrà inserito, e in special modo in quello del leader. Purtroppo, non si tiene mai conto che tali ambizioni raramente sono rivolte al gruppo, ma più verso la propria persona, verso cioè la soddisfazione del desiderio personale di ottenere successo, di imporsi sugli altri, indipendentemente dalle conseguenze o dai vantaggi che il team e la stessa azienda possono riceverne.
La mancata comprensione del significato di team work e dell’allineamento della cultura organizzativa alle richieste esterne del mondo del lavoro, come detto pocanzi, mina la possibilità di creare un clima organizzativo sano e collaborativo, risultando al contrario determinante nell’insoddisfazione del dipendente. Eppure, un leader dovrebbe essere scelto per garantire il giusto equilibrio tra capacità lavorative e collaborative affinché il team di lavoro sviluppi un alto grado di funzionalità e uno basso di conflittualità.
Ciò che per esempio accade nel mondo Orientale è l’esatto contrario: il bisogno e la soddisfazione del gruppo passano avanti a quelle del singolo e parole come onore e rispetto valgono anche all’interno della realtà aziendale. Questo perché le società orientali sono consapevoli del fatto che le ingiustizie sul posto di lavoro rivolte a una singola persona, possono in realtà influenzare non solo l’azienda, ma la stessa società.
Esperire malattie correlate all’ambiente lavorativo come depressione, burnout, stress, etc. andranno immancabilmente a riflettersi anche su altri aspetti della vita di ognuno di noi. Queste situazioni non portano soltanto a gravi problemi di salute personale, ma anche a stati di alienazione sociale o di frustrazione, spesso culminanti in atti di violenza, che rischiano di essere rivolti verso persone vicine a quell’individuo, come consorti, figli, parenti o amici.
Le conseguenze di questi stati di disagio andranno immancabilmente ad impattare anche sullo Stato e la Società stessa sotto forma di cure mediche ma anche di assistenza sociale in quei casi dove, per esempio, vengono a crearsi le sopra citate problematiche familiari, oppure si delinea un probabile impedimento a tornare a lavorare od a inserirsi in nuovi, etc. Quindi, danneggiare una persona all’interno di un’azienda, nonostante possa apparire come circoscritto a quel determinato ambiente, al contrario riguarda tutta la comunità.
Partendo dalle considerazioni fatte fino a questo punto e da quelle dei due consulenti durante il webinar, nonché dalla realtà lavorativa che si è delineata soprattutto dopo il periodo covid, mi chiedo se non sia giunto il momento di porsi in una prospettiva più radicale rispetto all’approccio che le aziende hanno tenuto fino a questo momento, utilizzando quelle strategie, soprattutto come la Psychology Safety at Work, che più si adattano a rimpiazzare quelle obsolete, ancora radicate nelle odierne culture organizzative.
Ed il processo di reclutamento potrebbe essere utilizzato come la base di questo rinnovamento al fine di procacciare figure professionali in possesso anche di quelle sopracitate competenze trasversali che un dipendente e, soprattutto, un leader dovrebbero possedere.
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