Professioni d’aiuto nell’era dell’AI: il coraggio di restare umani

 

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Professioni d’aiuto nell’era dell’AI: il coraggio di restare umani

di RisorseUmane-HR.it

Nel mondo delle professioni d’aiuto – dalla consulenza al coaching, dalla formazione allo sviluppo organizzativo – stiamo attraversando una fase di profondo ripensamento. L’innovazione tecnologica, l’intelligenza artificiale, la spinta all’efficienza ridefiniscono strumenti e linguaggi. Ma l’essenza del nostro lavoro resta ancorata alla relazione umana, alla fiducia, alla capacità di generare senso.

In questa transizione, più che una nuova tecnica, serve una nuova postura. Non basta adattarsi: serve scegliere, con coraggio, che tipo di impatto vogliamo avere. Serve un pensiero critico, una visione sistemica e una rinnovata attenzione alla qualità della presenza. Perché il futuro delle professioni d’aiuto non si giocherà solo sull’adozione di strumenti avanzati, ma sulla capacità di rimanere autenticamente umani in un mondo che cambia.

Il coraggio come postura e vulnerabilità

Il termine “coraggio” è spesso associato a scelte eroiche o azioni controcorrente. In realtà, oggi il vero coraggio per chi lavora nelle professioni d’aiuto è quello di stare, con lucidità e umanità, dentro l’incertezza.

  • Non servono solo risposte, ma buone domande.
  • Il coraggio non è sempre visibile, può consistere anche nel dichiarare un limite, nel sospendere il giudizio, o nell’ammettere di non avere soluzioni pronte.
  • È un coraggio fatto di esposizione, autenticità, presenza.

Come ricorda Brené Brown, “la vulnerabilità è la nostra misura più accurata di coraggio”. Questo tipo di coraggio non si manifesta attraverso il gesto eclatante, ma attraverso la scelta quotidiana di mostrarsi, anche imperfetti. È un atto intenzionale di autenticità.

Come racconta in uno dei suoi TED Talk, la sua carriera di ricercatrice è cambiata radicalmente quando ha iniziato a studiare la vulnerabilità. Da scienziata sociale, voleva misurare e organizzare la complessità dell’umano. Ma ascoltando migliaia di storie, si è resa conto che il nucleo più profondo del cambiamento non è nei dati, ma nella capacità di accogliere la propria imperfezione. Ha definito le persone davvero resilienti come “persone di tutto cuore”: capaci di abbracciare la propria vulnerabilità, vivere con autenticità e credere di meritare amore e connessione. Il suo lavoro dimostra che non possiamo diventare professionisti migliori se non impariamo, prima di tutto, a stare nelle nostre fragilità.

Questa forma di coraggio è più centripeta che centrifuga: non si proietta fuori, ma nasce da dentro, dall’integrità. È il “nella scatola” citato da alcuni pensatori, che non limita ma radica. Pensare “nella scatola” significa tornare a sé, abitare la complessità della propria umanità.

Un approfondimento utile arriva anche dal saggio di Annalisa Galardi “Coraggio”, collana “Le voci del lavoro nuovo” (FrancoAngeli). Galardi descrive il coraggio come virtù democratica, non solo eroica: una risorsa diffusa, da coltivare in ogni persona, non solo nei leader. Lo suddivide in cinque dimensioni operative – dire, dare, fare, essere nella relazione, decidere – sottolineando come ogni atto di coraggio sia profondamente radicato nella consapevolezza delle proprie paure e nella volontà di agire comunque. È un coraggio che integra cuore, testa e fegato: emozione, razionalità e volontà.

Intelligenza artificiale e coaching: integrazione, non sostituzione

L’AI sta rivoluzionando anche l’ambito del coaching e della formazione. Ma a che livello può agire?

  • Le AI coach possono essere utili per supportare attività “transazionali” (es. fissare obiettivi, strutturare un piano, simulare un dialogo), ma non possono sostituire la relazione umana trasformativa.
  • Il cuore di ogni percorso trasformativo è l’alleanza, la fiducia, la presenza empatica. L’AI può suggerire, ma non sentire.

Ricerche come quella di Passmore & Tee (2023) dimostrano che l’intelligenza artificiale può avere una sua efficacia operativa in contesti standardizzati, ma resta priva di quello che in psicologia si chiama “alleanza terapeutica” – cioè il rapporto interpersonale che sostiene il cambiamento.

È quindi fondamentale chiarire i confini d’uso: come per la medicina, anche nel coaching serve una “etica dell’intervento”, che includa la consapevolezza di quando serve un umano e quando no. L’AI può potenziare la pratica, non sostituirla. È un alleato, non un surrogato.

Approfondimento: Etica e responsabilità nel coaching aumentato Il paper evidenzia anche i dilemmi etici derivanti dall’uso crescente dell’AI: chi è responsabile di un errore? Come garantire trasparenza e protezione dei dati? La professione è chiamata a definire una nuova deontologia dell’AI coaching. Inoltre, si fa strada la figura del “coach aumentato”: un professionista che integra strumenti digitali mantenendo salda la relazione umana. La tecnologia, da sola, non è neutra né salvifica. Serve una postura critica, capace di discernimento e orientata al bene del coachee.

Un passaggio fondamentale dell’articolo di Passmore & Tee sottolinea: “The alliance between coach and coachee is the single most powerful predictor of coaching outcomes. This is built on empathy, trust, and responsiveness – traits AI still lacks.” Questo significa che, per quanto sofisticata, nessuna macchina può sostituire la complessità e la profondità dell’incontro umano.

Modelli di integrazione tra AI e relazioni umane

L’integrazione tra AI e coaching umano può evolversi attraverso modelli di collaborazione innovativi. Ad esempio:

  • Interazioni ibride: un approccio in cui l’AI gestisce attività più operative, come la raccolta di dati o la simulazione di scenari, mentre il coach si concentra sulla costruzione della fiducia e sul supporto emotivo. Questo divide il lavoro tra razionalità ed empatia, massimizzando l’efficienza senza sacrificare la connessione.
  • Coaching assistito da AI: l’AI può fungere da “secondo cervello”, suggerendo domande o esercizi personalizzati basati sui dati raccolti, aiutando il coach a esplorare nuove prospettive insieme al cliente.
  • Formazione continua: i professionisti possono utilizzare l’AI per aggiornarsi costantemente su nuove tecniche o evidenze scientifiche, integrando le competenze umane con il sapere tecnologico.

Questi modelli richiedono una chiara definizione dei confini, una formazione mirata e un’etica solida che garantisca che la tecnologia potenzi, senza mai sostituire, la relazione umana.

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Altri nodi critici da affrontare

  1. L’impatto delle disuguaglianze L’accesso alle tecnologie AI non è equamente distribuito. Chi lavora con soggetti vulnerabili deve interrogarsi su come non escludere chi ha minori competenze digitali o difficoltà di accesso a strumenti avanzati.
  2. La ridefinizione del “successo” L’automazione rischia di spingere verso una logica di performance e produttività. Ma le professioni d’aiuto non sono solo risultati misurabili: il valore della cura, della presenza, della connessione resta centrale.
  3. La formazione del futuro professionista L’AI richiede nuove competenze, ma anche una rinnovata consapevolezza etica. La formazione dovrà includere alfabetizzazione digitale, riflessione critica e capacità di lavorare con l’umano e con il tecnologico.
  4. La collaborazione umano-macchina Non si tratta di sostituzione, ma di sinergia. Quali modelli di interazione tra coach e AI sono più efficaci? Come progettare soluzioni che potenzino e non spersonalizzino?
  5. La dimensione sistemica Il contesto sociale cambia con l’AI. Le professioni d’aiuto devono contribuire a evitare che il digitale generi alienazione o esclusione, promuovendo invece relazioni significative, dialogo e senso di appartenenza.
  6. Leadership creativa e innovazione I professionisti dell’aiuto possono sviluppare una leadership creativa per integrare l’AI in modo innovativo e responsabile. Questo implica la capacità di collaborare con gli sviluppatori di AI per creare strumenti che potenzino la relazione umana, anziché sostituirla, e di promuovere un mindset di crescita e apprendimento continuo per adattarsi al cambiamento.
  7. Intelligenza emotiva e sociale In un contesto tecnologico, l’intelligenza emotiva e sociale diventa ancora più cruciale per mantenere vive le relazioni umane. I professionisti dell’aiuto devono coltivare la capacità di comprendere e gestire le emozioni proprie e altrui, nonché di costruire relazioni significative e collaborative.
  8. L’intelligenza relazionale come risorsa chiave Come sottolineato da Francesco Donato Perillo in Algocrazia e da Ruben Razzante in L’algoritmo dell’uguaglianza, il futuro delle professioni d’aiuto non dipenderà solo dalla padronanza di strumenti digitali, ma dalla capacità di:
  • dare senso oltre i dati;
  • coltivare fiducia;
  • generare connessioni significative;
  • leggere emozioni in contesti complessi;
  • valorizzare la conoscenza tacita che nasce dallo scambio umano;
  • promuovere inclusione, uguaglianza e giustizia sociale attraverso un uso consapevole degli algoritmi.

Conclusione

Rimanere umani non significa opporsi al cambiamento, ma scegliere come attraversarlo. Significa riconoscere il valore della vulnerabilità, del pensiero critico e della presenza autentica in un tempo che privilegia la performance, l’efficienza e l’automazione.

Il futuro delle professioni d’aiuto non sarà definito solo dagli strumenti, ma dalla qualità dell’incontro umano. Un incontro che, oggi più che mai, merita di essere custodito e rigenerato.

 

Fonti:

 

RisorseUmane-HR.it
Un progetto dedicato a chi si occupa di Risorse Umane
RisorseUmane-HR.it è un progetto dedicato a chi opera nel settore delle Risorse Umane. Divulga contenuti informativi che gli pervengono dagli stessi visitatori e offre servizi online che favoriscono lo scambio di conoscenze e la creazione di relazioni. Con oltre 50.000 pagine visualizzate ogni mese, RisorseUmane-HR.it è ad oggi uno dei portali di settore più visitati in Italia. Un punto d’incontro esclusivo per Responsabili del Personale, Formatori, Consulenti, Persone che operano nel settore delle Risorse Umane e che sanno che per crescere è necessario uno scambio di informazioni.

altri articoli

 

Risorse aggiuntive

Letture di approfondimento suggerite:

 

Rimanere umani: nuove sfide per le professioni d’aiuto

Sintesi dell’articolo: L’articolo riflette sull’evoluzione delle professioni d’aiuto (coaching, consulenza, formazione) nell’era dell’intelligenza artificiale e della trasformazione digitale. Di fronte alla crescente automazione e alla pressione verso l’efficienza, queste professioni devono riscoprire il valore della relazione umana, dell’ascolto autentico e del pensiero critico.

Viene esplorato il concetto di coraggio come postura, inteso come vulnerabilità consapevole e capacità di agire nell’incertezza. Si discute poi dell’integrazione tra AI e coaching, sottolineando come la tecnologia possa essere alleata ma non sostituto dell’interazione umana. Si analizzano inoltre alcuni nodi critici, come la standardizzazione del pensiero, l’accesso diseguale alla tecnologia, e il rischio di deresponsabilizzazione.

L’articolo conclude evidenziando che il vero futuro delle professioni d’aiuto non sarà guidato dagli strumenti, ma dalla qualità della presenza umana e dalla capacità di custodire relazioni significative.

Quiz a Risposta Breve

Dopo aver letto l’articolo, prova a rispondere a queste domande:

Che tipo di coraggio viene richiesto oggi alle professioni d’aiuto? → Un coraggio fondato sulla vulnerabilità, autenticità e capacità di stare nell’incertezza.

Cosa non può sostituire l’AI nel contesto del coaching? → L’alleanza empatica, la fiducia e la presenza umana.

Cosa si intende per “standardizzazione del pensiero” indotta dall’AI? → La tendenza a semplificare le richieste e strutturare il pensiero in modo prevedibile, riducendo la complessità.

Qual è il rischio legato all’illusione della neutralità dell’algoritmo? → L’algoritmo viene percepito come oggettivo, riducendo il pensiero critico e il discernimento individuale.

Quali qualità deve possedere il “coach aumentato”? → Capacità di integrare strumenti digitali mantenendo salda la centralità della relazione umana.

Cosa significa “rimanere umani” nel contesto professionale attuale? → Scegliere consapevolmente di coltivare autenticità, presenza e pensiero critico in un mondo dominato dall’automazione.

Glossario

Termine Definizione

  • Professioni d’aiuto Attività che pongono al centro la relazione umana per accompagnare individui o gruppi in percorsi di crescita (es. coach, formatori, consulenti).
  • Intelligenza Artificiale (AI) Tecnologie che simulano capacità cognitive umane, come apprendere, ragionare o rispondere a stimoli.
  • Vulnerabilità Capacità di esporsi con autenticità, accettando i propri limiti come risorsa di connessione umana.
  • Alleanza empatica Relazione di fiducia e connessione emotiva tra coach e coachee che sostiene il cambiamento.
  • Standardizzazione del pensiero Tendenza a schematizzare i processi decisionali per adattarli ai modelli computazionali delle AI.
  • Coach aumentato Professionista che utilizza strumenti digitali a supporto della propria attività senza rinunciare alla centralità relazionale.
  • Conformismo cognitivo Adattamento passivo al pensiero dominante, riducendo autonomia e creatività.
  • Etica dell’intervento Insieme di principi che regolano l’uso responsabile dell’AI in contesti professionali d’aiuto.
  • Discernimento Capacità di valutare criticamente situazioni e informazioni per orientare decisioni complesse.
  • Intelligenza relazionale Competenza nell’instaurare relazioni significative e leggere dinamiche emotive e sociali.

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