Politiche retributive gli obiettivi da perseguire

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Politiche retributive: gli obiettivi da perseguire – parte III

Le componenti del pacchetto retributivo.

La retribuzione monetaria e non, le componenti non retributive, il welfare.

di Francesco Puppato

Nei precedenti articoli abbiamo visto i punti cardine delle decisioni retributive ed i 5 target fondamentali da perseguire.

Poi ci siamo addentrati nella tematica passando a vedere e ad analizzare gli scopi concreti delle politiche retributive.

Nell’articolo di oggi andiamo invece a concludere questa piccola collana di articoli inerenti alla politiche retributive analizzando le componenti del pacchetto retributivo nel suo complesso.

Le componenti del pacchetto retributivo

Il sistema premiante è l’insieme delle interazioni, positive e negative, che si sviluppano tra le diverse componenti delle ricompense. Esso contiene e si sostanzia nel pacchetto retributivo, il quale comprende sia elementi monetari che altre forme di retribuzione a favore del lavoratore.

Gli strumenti che riguardano le componenti retributive, a loro volta, si possono suddividere in retribuzione monetaria e retribuzione non monetaria.

La parte fondamentalmente più sostanziosa, nonché quella che più pesa nella retribuzione ed a cui il lavoratore dà più importanza, è quella monetaria.

La medesima, svolge il ruolo di voce principale di stipendio o salario offerto al lavoratore per un determinato posto di lavoro ed è la cosa più importante sulla quale il papabile dipendente commisura la propria prestazione. Ad essa, come si vedrà in seguito, possono poi venire agganciate e collegate altre forme retributive di contorno per rendere più attrattiva l’offerta che l’azienda immette sul mercato del lavoro.

La retribuzione monetaria è composta da due parametri, i quali possono essere usati congiuntamente o meno a seconda della tipologia della mansione e delle strategie aziendali:

  • la retribuzione fissa: è costituita dallo stipendio, che viene a sua volta definito dal contratto collettivo nazionale di riferimento, ed è collegata alla posizione ricoperta;
  • la retribuzione variabile: è l’insieme degli elementi monetari che sono generalmente collegati alla produttività; può prevedere premi ed incentivi sia su obiettivi di breve termine ovvero annuali (short-term incentive) piuttosto che su obiettivi di lungo termine nonché pluriennali (long-term incentive).

Normalmente i dipendenti prediligono avere una retribuzione che sia fissa, anche rinunciando alla parte variabile, ma che si collochi in una fascia compresa tra la sola retribuzione fissa e la somma tra la retribuzione fissa più quella variabile (di un contratto prevedente ambedue le forme).

Vale a dire, esemplificando in numeri: un lavoratore gradisce tendenzialmente di più una retribuzione fissa mensile di 1.150,00€, rispetto ad una retribuzione fissa mensile di 900,00€ che può arrivare fino a 1.400,00€ grazie alla parte variabile legata alla produttività (che viene misurata a seconda dello specifico settore di riferimento).

Questo perché la parte variabile può dipendere da fattori contingentali, quali l’andamento del mercato e dell’economia in generale, sulle quali il singolo dipendente quasi nulla può fare.

Ergo, dal lato del lavoratore si preferisce eliminare quei rischi che non possono essere controllati e che impatterebbero sulla propria retribuzione.

Tuttavia, le aziende propongono comunque spesso forme contrattuali composte da una parte fissa ed una variabile; questo perché la posizione lavorativa è legata alla vendita di un prodotto (in questo caso la parte variabile è una percentuale sui prodotti venduti), a delle particolari forme di produzione (si pensi, ad esempio, al numero di telefonate da fare per gli operatori di un call center outbound, inteso come pezzi da produrre) ma anche, come detto poco fa, per fattori dettati dal contesto (se un’azienda non riesce a garantire elevate retribuzioni fisse in periodi di crisi, prova a far leva sulle abilità dei propri collaboratori per smuovere il mercato nel limite del possibile).

La soluzione preferita dai dipendenti risulta essere una retribuzione monetaria fissa, con la possibilità di percepire dei premi su base annuale piuttosto che una tantum legati al raggiungimento di risultati particolarmente buoni (per esempio superare una soglia di fatturato oltre quella previsionale, avere dei tassi di assenteismo molto bassi, etc.).

Altra forma retributiva è la retribuzione non monetaria, che è complementare a quella monetaria. È possibile identificare questa forma attraverso voci di benefit, siano esse inerenti a servizi oppure ricompense estrinseche che i dipendenti possono ottenere in seguito al loro operato. Tra queste, le principali sono:

  • Piani pensionistici;
  • Previdenza integrativa;
  • Assicurazioni di vario genere e natura;
  • Auto aziendale;
  • Telefono aziendale;
  • Buoni pasto;
  • Mobilità orizzontale e/o trasferimenti verticali in o verso posizioni ambite,
  • Opportunità di carriera.

Questa forma retributiva viene utilizzata dall’azienda per offrire un compensation package che sia più allettante per i dipendenti sotto diversi punti di vista; dal punto di vista retributivo permette loro di avere qualcosa in più oltre alla busta paga. Avere un piano pensionistico complementare piuttosto che assicurazioni di diverso genere e tipo, è infatti un benefit positivamente accolto, specie in periodi storici caratterizzati da instabilità ed incertezza del sistema pensionistico come quello attuale.

Altre tipologie di benefit come l’auto, il telefono ed i buoni pasto sono, ovviamente sotto diversi pesi e misure, soldi in meno che collaboratori aziendali devono tirare fuori dalle loro tasche (non sono quindi un’entrata diretta, ma una minor spesa inerente a costi che diversamente dovrebbero pagare autonomamente), così che gli possa restare più stipendio da poter gestire.

Ulteriori forme di retribuzione non monetaria sono quelle legate alle opportunità di carriera; è solitamente molto importante per le risorse umane sapere di poter raggiungere determinati obiettivi nel caso in cui dimostrino di meritarselo. Contesti in cui, indipendentemente dal merito mostrato dalla risorsa, i ruoli siano statici e “bloccati” (i motivi generalmente sono dovuti a legami famigliari, ma possono dipendere anche da strategie aziendali che preferiscano acquistare dall’esterno e quindi direttamente dal mercato dal lavoro delle figure per specifici ruoli anziché adottare politiche di crescita interna) risultano essere una zavorra dal lato motivazionale.

Ecco dunque che avere opportunità di carriera per mezzo di trasferimenti verticali in o verso posizioni desiderate diventa un fattore molto importante e che la stragrande maggioranza dei lavoratori prende in considerazione. Altrimenti, anche la possibilità di mobilità orizzontale (ovvero in altre posizioni dello stesso livello) è uno strumento interessante per quelle figure che si accorgono di voler intraprendere altre sfere aziendali e sanno di avere la possibilità di cambiare in corsa.

Queste possibilità aiutano a dare stimoli al personale senza avere costi di gestione, risultando perciò un doppio vantaggio: possibilità per i lavoratori che dimostrino un certo grado di abilità ed impegno, un organico motivato e stimolato a far bene per l’azienda.

Le componenti non retributive

Le componenti non retributive, infine, sono l’insieme delle caratteristiche collegate al contesto ed al contenuto della posizione lavorativa occupata o che si desidera occupare; esse rispondono ai bisogni ed alle motivazioni dei collaboratori aziendali e si possono individuare tramite una sintesi abbastanza completa nelle seguenti voci:

  • Rapporti con i colleghi;
  • Equilibrio tra lavoro e vita privata (work-life balance);
  • Rapporti con i superiori;
  • Sicurezza (sia della retribuzione che della stabilità del lavoro, oltre che della sicurezza sul luogo di lavoro);
  • Apprezzamento (sia da parte dei clienti dell’azienda che da parte della proprietà e della direzione aziendale);
  • Senso di soddisfazione personale;
  • Opportunità di apprendimento.

L’ambiente di lavoro è il luogo dove una persona passa almeno 8 ore al giorno, il che vuol dire un terzo della sua giornata; trovarsi bene con i colleghi è quindi un fattore assolutamente determinate. Oltre al rapporto con i colleghi, ad influenzare il clima concorrono anche l’apprezzamento che la proprietà e la dirigenza aziendale manifestano nei confronti della risorsa ed anche il tipo di rapporto che si riesce ad instaurare con i propri superiori.

Avere un rapporto che sia collaborativo dove ci si senta tenuti in considerazione e non semplicemente dei sottoposti, crea un ambiente totalmente differente in cui la persona si sente valorizzata e spinta a dare il meglio di sé. Al contrario, un rapporto freddo e distaccato crea un contesto negativo dove la risorsa entra in un circolo vizioso che la porta a fare il minimo indispensabile, perdendo sia motivazione ed entusiasmo che senso di appartenenza.

Inoltre, a giocare un ruolo importante sull’apprezzamento della risorsa è anche l’idea che i clienti dell’azienda hanno su di essa. Sentirsi positivamente considerato dalla clientela, aiuta il lavoratore ad acquisire autostima nei suoi mezzi e nelle sue competenze, costruendo consapevolezze che impattano positivamente con il lavoro svolto.

Componenti non retributive sono, poi, le opportunità di apprendimento. Per molte risorse umane è infatti un punto cruciale quello di poter imparare un mestiere, affiancato da qualche esperto del settore, o poter avere la possibilità di migliorarsi e perfezionarsi attraverso corsi di formazione o specializzazione mirati.

Il fatto di avere l’opportunità di lavorare in ambienti molto strutturati o in società rinomate sapendo di poter imparare da dei leader del settore, è uno strumento che incide parecchio sull’attrattività. Questo sia per il posto di lavoro in questione, che in un’ottica futura per poter dire di aver lavorato per quella determinata azienda ed aver appreso il modus operandi di fare impresa di quel determinato brand.

Ancora, nelle componenti non retributive, troviamo i vantaggi legati al work-life balance, ovvero all’equilibrio tra vita e lavoro che la posizione ricoperta permette di avere.

Rientra nelle necessità di praticamente tutti i lavoratori avere delle esigenze extra lavorative per le quali si ha la necessità di avere del tempo libero; per un dipendente che si vede costretto a fare due ore di straordinario come prassi lavorativa legata alla cultura aziendale piuttosto che ad una sottodimensiona struttura organizzativa, il lavoro diventa un impegno impossibile da far combaciare con tutto il resto. A questo scatta l’out-out: o il lavoratore rinuncia a tutte le attività extra lavorative, o appena possibile egli cambierà lavoro.

Per le persone dover rinunciare ai propri hobby, qualsiasi essi siano, è molto difficile ed anche nocivo perché poi la frustrazione ricade su tutto quello che circonda la risorsa umana, ivi compreso il lavoro; a maggior ragione se gli impegni extra lavorativi sono prettamente inerenti alla famiglia, il cambiare lavoro diventa una scelta obbligata.

Tutte queste variabili, somatizzate, sfociano nel senso di soddisfazione personale del lavoratore. Come avremo modo di vedere in seguito nell’analisi del clima aziendale, la soddisfazione è l’elemento chiave che lega una risorsa umana alla sua posizione lavorativa. Svolgere le proprie mansioni senza soddisfazione, diventa una funzione sostanzialmente robotica fatta solo al fine di percepire lo stipendio mensile, utile al mantenimento economico di sé stessi e della propria famiglia.

Diversamente, riuscire a creare un ambiente caratterizzato da persone soddisfatte, crea un circolo virtuoso dove si generano motivazioni ed entusiasmo mettendo i collaboratori nelle condizioni migliori per generare valore aggiunto.

Il welfare aziendale

Un paragrafo a sé stante viene dedicato al welfare aziendale. Strumento ancora decisamente poco utilizzato in Italia in quanto non appartenente alla cultura organizzativa della stragrande maggioranza delle imprese (circa il 95%), il welfare potrebbe invece essere utilissimo nelle strategie inerenti alle politiche retributive.

La funzione, infatti, sarebbe quella di creare un’idea positiva di tutto ciò che è collegato all’azienda (fare welfare significa appunto creare benessere) e fornire ai propri collaboratori unna forma, anche se indiretta, di retribuzione. Il welfare aziendale non prevede monetizzazione diretta ai dipendenti (esclude quindi il passaggio di soldi al dipendente), ma tramite un rapporto che dev’essere diretto tra il datore di lavoro e la struttura che offre il servizio permette ai lavoratori di poter scegliere tra una vasta gamma di possibilità.

Lo strumento del welfare aziendale risulta molto utile e completo in quanto offre ai lavoratori la possibilità di scegliere le voci di spesa che prediligono a seconda delle specifiche esigenze: chi è più giovane potrà avvalersi di versamenti per un fondo pensionistico integrativo viste le incertezze previdenziali, chi ha figli potrà scegliere servizi di baby sitting come chi ha parenti anziani a carico avrà la possibilità di scegliere servizi di badanti, o ancora è possibile avere visite mediche, viaggi, corsi di lingua e quant’altro.

Data la numerosità delle voci da cui è possibile scegliere, i lavoratori potranno scegliere ciò che preferiscono e la loro scelta si tramuterà semplicemente in una riduzione delle uscite che si sarebbero verifiche per far fronte a delle spese comunque presenti nella loro vita quotidiana.

Inoltre, la peculiarità di questo strumento è quella di essere completamente esentasse per l’azienda. Si avrebbe dunque un duplice vantaggio: una forma di retribuzione indiretta per i lavoratori che riuscirebbero ad alleggerire le loro spese da un lato, e dall’altro un costo non tassato per l’impresa, che concederebbe più volentieri welfare rispetto ad un aumento di retribuzione in quanto le costerebbe sostanzialmente il doppio, per avere un beneficio comunque fondamentalmente uguale a favore dei dipendenti.

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Francesco Puppato
Vive in Polonia dove ricopre il ruolo di Lead Finance Controlling per una multinazionale del tabacco; laureato in Economia Aziendale, vanta 12 master tra cui uno in "Gestione delle Risorse Umane ed Organizzazione del Lavoro". Parla 4 lingue (italiano, inglese, polacco e francese) ed ha 6 certificazioni, tra cui quella di Coach. Founder di "General Magazine", collabora con diverse riviste.

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