I poliglotti protetti dall’Alzheimer
di Marco Avarello | Solco
E’ accertato come lo studio delle lingue ritardi i processi degenerativi delle cellule celebrali.
All’inizio del secolo sono stati condotti i primi studi che dimostrano, dal punto di vista statistico, la correlazione tra l’apprendimento linguistico e il ritardato insorgere di patologie degenerative del cervello, in particolare demenza senile e Alzheimer.
Da allora le conferme si sono succedute, così questo fenomeno ha riscosso comprensibilmente sempre maggior interesse, anche perché al momento non esistono cure risolutive per tali malattie, dunque i mezzi di cui disponiamo per contrastarle sono volti alla loro prevenzione e al rallentamento del processo patologico.
Se le molte ricerche condotte sul campo ormai non lasciano dubbi sull’efficacia della conoscenza di più lingue, arrivando anche a quantificarne i benefici sulla salute cerebrale, sulle ragioni del suo manifestarsi i pareri sono più incerti.
Genericamente si dice che lo studio e la pratica di più lingue funzionerebbe come “ginnastica” per la mente, e come una muscolatura tonica ed efficiente è più resistente alle malattie che possono defunzionalizzarla, così sembra normale che faccia anche un cervello attivo e dinamico.
Il direttore della fondazione Golgi Cenci, il dottor Antonio Guaita esperto di Alzheimer, meglio ci spiega che questo morbo agisce come un ladro di cellule, mentre lo studio delle lingue aumenterebbe la nostra “riserva celebrale o cognitiva” ; insomma avendo immagazzinato tanta merce, il poliglotta potrà essere vittima di molti furti prima di diventare povero di intelligenza.
Ma perché questo funziona solo, o almeno soprattutto, con l’apprendimento linguistico e non, ad esempio, studiando la storia o la geografia ?
Un’ipotesi interessante vuole che ciò avvenga perché nessun altro apprendimento può essere utilizzato come quello delle lingue straniere, tanto che ci sono persone che vivono il loro bilinguismo quotidianamente, praticando due o più idiomi per necessità di vita e di lavoro.
Quindi imparare e praticare ciò che si è imparato arricchisce maggiormente la nostra riserva cognitiva.
Inoltre se si pensa agli approfondimenti condotti da chi ha studiato a fondo questo tipo di apprendimento o meglio di acquisizione (ad esempio Noam Chomsky) si comprende che si tratta di un meccanismo psicologico innato che noi dobbiamo solo stimolare ed attivare nel modo giusto, e come accade per la lingua madre, saremo in grado di “acquisire” altre lingue secondo un processo continuo di uso della nostra intelligenza.
Nel saggio dal titolo esplicito Il cervello parlante Michele Daloiso ci parla degli effetti dell’apprendimento linguistico sul sistema neuro-funzionale, e di come questo stimoli in modo continuo e importante i neuroni, attivando massivamente le sinapsi.
Il tema è di grande fascino e suscita curiosità e riflessioni suggestive; certamente se ne parlerà ancora e molto.
Intanto e banalmente, possiamo dire che se studiare le lingue può aiutarci a trovare un lavoro o migliorare quello che già facciamo, ora sappiamo che fa anche bene alla salute!
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