Perdita e ricerca lavoro, sfere dell’autorealizzazione e paradigmi del coaching umanistico
Spesso mi sono chiesta quanto possa essere difficile riuscire a rapportarsi con quelle persone che sembrano vivere in funzione del proprio lavoro, che vi investono in modo ossessivo, assoluto e apparentemente ingiustificato tutto il proprio tempo e le proprie energie e questo persino là dove l’età di pensionamento è stata raggiunta, età in cui finalmente si dice inizi una seconda vita, in cui si è finalmente liberi di autogovernare la propria vita.
Non parlo di passione, vocazione professionale o amore sano e profondo per il proprio lavoro né di senso di responsabilità o di determinazione e impegno finalizzati al raggiungimento della propria Omega (situazione desiderata, immaginata, vissuta dentro di sé), ma di un’ossessione vera e propria verso il lavoro che porta chi la vive a isolarsi e a vivere la rottura con esso come un evento distruttivo nella propria vita, anche là dove non ci sarebbero reali situazioni economiche o personali a giustificare una tale sofferenza.
Ma perché in certe persone accade ciò? Per provare a dare una possibile spiegazione, dobbiamo introdurre i termini di paradigma e self determination theory.
Il paradigma è un modello ideale di riferimento, una concezione radicata della realtà circostante, un termine di confronto che orienta le nostre scelte e molti dei nostri comportamenti.
L’autodeterminazione è quella spinta motivazionale, quella leva potentissima che spinge verso l’autorealizzazione in quelle che sono le 3 sfere che la rappresentano, ciascuna corrispondente ai 3 bisogni/desideri principali, alle 3 aree da sviluppare per riuscire ad essere felici.
La prima è la sfera della competence che rappresenta il bisogno di rapportarsi in modo efficace, efficiente e armonico con l’ambiente circostante, attraverso l’apprendimento o trovando la propria vocazione in uno specifico campo simbolico.
Questa è principalmente la sfera legata a tutti quegli ambiti professionali, formativi ed extraprofessionali che richiedono sapere, saper fare e saper essere.
Qui la felicità predominante è quella dell’opera e dell’agire, la motivazione è quella dell’eccellenza.
La seconda è la sfera della relazionalità che rappresenta il bisogno di creare relazioni, di aiutare gli altri, di essere parte integrante di un gruppo, di amare ed essere amati.
Qui la felicità predominante è quella dell’incontro e dell’amare, la motivazione è quella dell’affiliazione e/o del potere di rimanere liberi, di decidere, di esercitare una responsabilità all’interno delle relazioni.
La terza è la sfera dell’autonomia che rappresenta il bisogno di autogovernare la propria vita e quindi di essere liberi di scegliere, di desiderare, di agire e di pensare (sempre nella ricerca del bene e della felicità propria e altrui).
Ma è anche cura di sé, è dedicare tempo e energie a sé stessi, è cercare anche la propria felicità, è il rapporto con sé stessi.
Qui la felicità predominante è quella dell’esserci, la motivazione è quella intrinseca che parte dal dentro e che pulsa verso l’autonomia e l’autogoverno.
Si può parlare di autorealizzazione quando queste 3 sfere sono in armonia e in equilibrio tra loro, anche se è normale che ciascuno di noi tende a dare priorità più ad una che alle altre.
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Ma pensiamo a quelle persone che non sono riuscite o non hanno voluto trovare (magari per un qualche paradigma troppo radicato quale “l’uomo lavora e porta a casa i soldi, la donna sta a casa a crescere i figli”) questo equilibrio o ancora ci hanno provato ma avendo fallito in un’altra sfera, hanno finito per investire tutte le energie in una sola, di solito quella più facile da sviluppare o che ha dato fino a quel momento loro maggiori soddisfazioni.
Quando tale sfera è quella della competence, può accadere che si sviluppino un “alcolismo da lavoro” e una “passione ossessiva” che a partire dal libro “Come vincere lo stress sul lavoro” possiamo cosi descrivere:
- superamento stabile delle 10 ore di lavoro al giorno;
- sintomi di vuoto e smarrimento quando non si lavora;
- tendenza a non assentarsi mai dal lavoro, anche se malati;
- preoccupazioni, ansie e incubi ricorrenti su tematiche lavorative che spesso si traducono in un parlare sempre e solo di lavoro, quasi appunto in modo ossessivo;
- problemi relazionali cronici con colleghi, superiori o dipendenti principalmente derivanti dalla mancanza di fiducia o da un’ossessione per il lavoro che rende difficile creare relazioni, ad eccezione di quelle più o meno strategiche;
- azzeramento di vacanze, pause, tempo libero, affetti e altri interessi extraprofessionali;
- ricerca ossessiva della perfezione (termine da tener ben distinto da quello di eccellenza);
- spesso anche una non accettazione di critiche, se pur costruttive, perché troppo presi dal proprio percorso in solitaria.
Ecco, pensiamo ora al caso in cui a queste persone viene chiuso il contratto di lavoro per sopraggiunto limite d’età o per decisioni aziendali non a loro specificatamente dirette (es. licenziamenti collettivi, trasferimento ramo aziendale, fallimento, ecc.).
Per ovvi motivi sono esclusi da questo discorso casi di licenziamento mirati o situazioni di mobbing e simili o come abbiamo già più che ben sottolineato situazioni in cui a livello economico perdere il lavoro è realmente un dramma.
Cosa può succedere? Che, pur avendo quei “paracaduti” per affrontare con più serenità la perdita del lavoro e la conseguente ricerca di uno nuovo, crollano, si disperano, vedono finita la propria esistenza in quanto essa è sempre e solo stata concepita in termini professionali.
Nel momento in cui il lavoro viene a mancare subentrano inevitabilmente il vuoto e l’angoscia allo stato puro, la crisi più totale anche della propria identità.
Ed ecco che tale disperazione non di rado porta:
- nel caso del pensionamento, ad assumere comportamenti che ai più appaiono addirittura ridicoli, se non addirittura irrispettosi verso chi si ritrova davvero in situazioni economiche drammatiche, quali il “lottare” per tenersi stretto il proprio posto di lavoro, il mettersi in competizione con i più giovani, l’esasperare tutti con lamentele e vittimismi vari sul fatto che l’azienda li “ha fatti fuori”, il non condividere il proprio sapere per evitare di essere sostituiti;
- nel caso di perdita di lavoro, a un vero e proprio dramma.
E’ assolutamente comprensibile che ci sia una prima normalissima fase di disorientamento e di sconforto, qui si intende quando si va oltre, quando si arriva a una vera e propria disperazione.
Il creare nel tempo un equilibrio e un’armonia tra le 3 sfere può invece realmente portare:
- nel primo caso, a concepire il pensionamento come un nuovo inizio caratterizzato in primis dall’autogoverno del proprio tempo e della propria vita per poter per esempio dedicarsi ai propri hobbies e interessi, ad altri e a sé stessi (magari continuando una qualche collaborazione professionale occasionale, magari anche no, questo aspetto diventa quasi marginale);
- nel secondo caso, se pur dopo un primo momento di disorientamento e vuoto, a vivere la perdita del lavoro e la conseguente ricerca di uno nuovo con più serenità e tranquillità, grazie al supporto delle altre 2 sfere allenate e appagate nel corso del tempo.
Pensando quindi a queste persone, per concludere, sia che vi ritroviate con un lavoro felicemente appagante, sia che lo avete perso o che lo vogliate cambiare, prima di tutto, ricordatevi sempre di ricercare un equilibrio, un’armonia nelle 3 sfere, riuscendo a ritagliarvi del tempo da dedicare:
- a voi stessi, a qualcosa che vi fa star bene, che vi appaga, che rilassa la mente e il corpo e che vi permette di allenare la cura di sé e di sentirvi liberi;
- alla ricerca di lavoro (perché il cercare lavoro è un lavoro e quindi bisogna dedicargli tempo ed energie) o al vostro attuale lavoro (per migliorarvi di continuo);
- alle persone a cui volete bene o più in generale al prossimo;
- a rivedere il vostro paradigma (i tempi sono cambiati, ricordiamocelo) ma non negandolo, bensì creandone uno nuovo che conduca a una nuova immagine armonica delle 3 sfere.
Questo vedrete che vi permetterà di:
- migliorare nettamente la vostra ricerca di lavoro, aprendovi nuovi orizzonti;
- “sopravvivere” alla realtà attuale che state vivendo fino al cambiamento desiderato vero e proprio;
- affrontare persino, in un’altra prospettiva, un’eventuale perdita di quello attuale.
Bibliografia:
- “Come vincere lo stress sul lavoro” di Luca Stanchieri
- Master in coaching umanistico c/o scuola di coaching umanistico (Roma)
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