NOI NON CI SAREMO
Il passato aumenta e il futuro diminuisce.
Le possibilità si assottigliano, i rimpianti crescono.
(Haruki Murakami)
Strano mestiere quello dell’HR, spesso difficile da declinare perché i razionali sono tanti e dall’altra parte abbiamo per lo più interlocutori abituati ad associare persone e mestieri in una visione decisamente tradizionale e senza sovrastrutture.
Uno degli elementi più ricorrenti per chi si occupa di capitale umano è la consapevolezza di vivere un profondo strabismo organizzativo. Lo sguardo che si perde tra due dimensioni contrapposte e per certi aspetti antitetiche: persone e numeri. Strabismo ma anche difficoltà nel far dialogare queste due entità che tendono singolarmente ad essere prevaricanti.
L’evoluzione, se così si può chiamare, sarebbe quella di passare da una generica affermazione che si traduce in “mi occupo di persone” ad una più qualificata e pregna di significato “mi preoccupo di persone” dove il termine “preoccupo” sottintende una visione predittiva che si traduce nel mettere in atto dei comportamenti e delle azioni conseguenti che anticipano i problemi senza per forza rincorrerli.
Già prendere consapevolezza di questo fenomeno rappresenta un evidente salto di qualità nel descrivere il mestiere che ricopriamo all’interno di Organizzazioni più o meno complesse. Per farlo in maniera compiuta abbiamo però necessità di governare i numeri e i numeri, da che mondo è mondo, rappresentano spesso un ostacolo infido.
Lo sono per certi aspetti anche le persone o alcune di loro ma in una dimensione diversa e soprattutto a evidenziarlo sono pseudo-professionisti che vivono l’esperienza HR come un enorme fardello, soprattutto emotivo, e che non riescono a stabilire una relazione autentica con gli altri.
Vorrei però tranquillizzare (o inquietare ulteriormente, chi può dirlo) i lettori nell’affermare che la dicotomia numeri e persone ha un vincitore indiscusso e questo vincitore è per distacco il mondo dei numeri. Le persone hanno perso, anzi le abbiamo perse. Ma non tutte per demerito della famiglia HR (certamente ci abbiamo messo del nostro) quanto per una serie di fattori che vanno a convergere tutti in un’unica direzione: la desertificazione degli agglomerati sociali ivi incluse le Organizzazioni.
Il discorso ha origini antiche e segue sostanzialmente l’evoluzione demografica del nostro Paese. Calo strutturale delle nascite, aumento dell’aspettativa di vita, sistema pensionistico sperequato, difficoltà di accesso al mondo del lavoro da parte dei più giovani che fa il paio con l’estrema difficoltà da parte degli over 50 ad avere delle opportunità sul mercato, solo per citare quelli che possiamo definire i macro-fattori. Proviamo a mettere insieme qualche dato per meglio comprendere il fenomeno e correlarlo all’evoluzione della funzione HR.
A leggere i dati ISTAT la prima cosa che salta agli occhi è che intorno al 2050 oltre il 50% della popolazione Europea avrà superato i 50 anni e che il tasso di natalità nel 2021 su ogni 1000 abitanti si attesta al 6,8% mentre quello di mortalità è dell’11,9%.
Avremo quindi sempre meno giovani e sempre più persone in là con gli anni, con un’aspettativa di vita in costante aumento e con una forza lavoro che invecchia inesorabilmente aumentando l’età media delle nostre Organizzazioni. Non si può non essere d’accordo con quanto afferma il Presidente del Censis Giuseppe De Rita quando dice che “siamo tutti compenetrati in una dittatura dell’io” e di conseguenza una società che non riesce più a utilizzare il termine “noi” non si assume la responsabilità di mettere al mondo dei figli.
Questa sottile ma interessante constatazione ci spinge ad alcune riflessioni. La prima è una netta inversione di tendenza che ci vedeva fino a ieri impegnati per lo più a ragionare in termini di sviluppo sui cosiddetti talenti trascurando in buona sostanza tutta quella fascia di persone più mature in termini sia di età che di seniority, persone che fisiologicamente sparivano dai radar e si autogestivano fino alla maturazione dei requisiti pensionistici.
La seconda che spiega concretamente questo fenomeno è la maniacale attenzione che dedichiamo all’On Boarding dei nuovi assunti mentre derubrichiamo come quasi superfluo il momento dell’Off Boarding per chi lascia l’Azienda nonostante i numeri ci dicano che il rapporto tra uscite e nuovi ingressi in molti casi è di quattro vs uno.
A leggerla così può sembrare persino un’opportunità per alcune Aziende che finiscono con il realizzare un Restyling delle attività e un Rightsizing della forza lavoro più funzionale agli obiettivi di mercato. In realtà il vero efficientamento si realizza non solo asciugando e ottimizzando gli organici ma realizzando un’intelligente allocazione di risorse e attività a maggior valore aggiunto ed è un processo che passa necessariamente dalla funzione HR che dovrebbe garantire una maggiore osmosi tra tutta la popolazione Aziendale con una spendibilità interna maggiore rispetto a quello che accade nel quotidiano.
Ma per quanto animati da nobili intenzioni quello della funzione HR rischia di diventare un lavoro a termine. La progressiva desertificazione delle Aziende ci pone di fronte a un drammatico dilemma e ci costringe a riflettere se ha ancora senso parlare di gestione del capitale umano atteso che la forza lavoro si va riducendo sempre di più posizionandosi, in termini di Ageing, verso la parte alta che è quella – lo abbiamo evidenziato in precedenza – essere stata la più trascurata nelle politiche di gestione negli ultimi anni. Se questo è lo scenario pensare a una drastica riduzione delle figure HR dedicate a seguire la popolazione Aziendale è più di una semplice suggestione.
Ma il vero tema non è tanto questo quanto quello di introdurre nel dibattito un tema più generale che si traduce nell’esigenza del prendersi cura degli altri (e quindi di quelli che rimangono) in modo più qualitativo. Questo salto quantico non necessariamente individua le figure HR come l’interlocutore più autorevole o per usare un linguaggio caro al Business più funzionale rispetto agli obiettivi assegnati. Significa che il prendersi cura degli altri sarà una dimensione da allenare e diventa a tutti gli effetti una priorità nelle logiche di caring delle Aziende.
Per realizzare questo obiettivo l’attività che vedrà maggiormente impegnata la filiera HR negli anni a venire sarà quella di scouting di figure interne, spesso espressione di una Leadership liquida, che accanto a un solido bagaglio di competenze tecnico-professionali peraltro di rapida obsolescenza posseggano quella attitudine a prendersi cura dei propri collaboratori. Sembra un paradosso quello che vede figure HR scovare e quindi selezionare profili che andranno a sostituire loro stessi in una perfetta quanto singolare chiusura del cerchio.
Naturalmente lo scenario non riguarda solo ed esclusivamente il mondo della gestione, per quanto potenzialmente è quello più impattato dalle evoluzioni organizzative che seguono (e purtroppo non anticipano) i grandi fenomeni demografici che giocoforza impattano sulle Organizzazioni. Lo stesso ragionamento potremmo farlo verso il mondo del recruiting che già oggi vive un drammatico downgrading dove il principale obiettivo non è quello più di scegliere il miglior candidato, il cui screening viene spesso valorizzato mediante algoritmi sempre più sofisticati, ma creare le condizioni per essere scelti e quindi essere attrattivi in una logica altamente competitiva, in soldoni l’Employer Branding diventa molto più strategico e funzionale di chi si occupa esclusivamente di Selezione del personale ed è se vogliamo il giusto passaggio da una generica Employee Experience a una sempre più richiesta Employee Value Proposition dove si giocherà la vera partita della sostenibilità futura delle Aziende.
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La costante riduzione della forza lavoro costringe anche le Academy a un riposizionamento in contrazione del personale dedicato andandosi più a posizionare su modelli di Digital Academy. Significa meno formatori, meno progettisti fumosi di percorsi che nel momento in cui vengono cantierizzati sono già superati, ma più figure assimilabili a dei facilitatori che si prendano cura di segmenti specifici di popolazione e ne curino lo sviluppo in sinergia col Business anche attraverso attività formative in house ma non solo. C’è di più.
La costante evoluzione Normativa e Regolamentare spesso parossistica potrebbe indurre molte Aziende a rivolgersi altrove per problematiche che siano o di natura prettamente amministrativa e quindi a basso valore aggiunto o che richiedano al contrario una forte specializzazione non sempre riscontrabile all’interno delle Organizzazioni o la cui manutenzione ha costi così elevati che non giustificano l’investimento iniziale. In poche parole da qualunque visuale affrontiamo il fenomeno il quadro che ne viene fuori è quello di un drastico ridimensionamento delle figure HR cosiddette tradizionali. Naturalmente ogni evoluzione oltre a rischi fisiologici evidenzia anche delle opportunità e l’HR di domani dovrà avere caratteristiche e competenze molto diverse da quelle attuali.
Il tema del dato assumerà in maniera sempre più marcata rispetto a quanto accade oggi una rilevanza di natura strategica. I Data Scientist dovranno occuparsi sempre più dei fenomeni sociali e organizzativi derivanti dall’impatto delle tecnologie sulle persone in modo da poter indirizzare le politiche di sviluppo e di caring delle Aziende. Altro tema interessante è il superamento della distinzione tra hard e soft skill o quanto meno favorire una sempre maggiore commistione di questi due aspetti che si possono sintetizzare nel modello T-Shaped dove la forma a T serve a spiegare ampiezza e profondità delle competenze in un’ottica sempre più spinta di trasversalità.
La funzione HR di domani non potrà prescindere di avere al suo interno delle figure IT che sappiano agire in tempo reale in termini di efficientamento dei processi e della cultura Agile che caratterizza già oggi il funzionamento di molte Organizzazioni.
In ultimo, ma non per ordine di importanza, ci sarà la necessita di orientare un numero sempre più crescente di persone che si dichiarano smarrite, senza una reale prospettiva che non vedono e che soprattutto nessuno spiega loro. Per farlo occorrono persone che abbiano una spiccata sensibilità e un’autorevolezza maggiore di quello che accade oggi e che sappiano leggere e interpretare il contesto per poi declinarlo in azioni concrete ma sostenibili senza quindi essere additati come accade oggi, quali messaggeri di un Business che non sempre brilla per lungimiranza.
Uscire quindi da una logica pura di gestione per andare verso un modello in cui la cura delle persone generi valore e non semplici allocazioni organizzative del tutto scollegate dal vissuto delle persone. La sintesi di tutto questo è un cambio di paradigma importante che vedrà le persone che attualmente ricoprono ruoli HR a dover ripensare al loro sistema di competenze sulle quali hanno costruito la loro carriera.
Non molti saranno capaci di reinventarsi e le professioni del futuro, alcune delle quali abbiamo evidenziato in precedenza, richiedono uno sforzo di apprendimento che non sarà sostenibile per la maggior parte di loro. Ma il cambio di paradigma più evidente sarà il passaggio da una logica che oggi potremmo sintetizzare del non fare o nel normare in termini di divieto buona parte delle politiche HR ad una fase più Open Minded Oriented che dovrà stressare quella componente creativa, oggi osteggiata, nella creazione di valore e che contribuisca a riscrivere i valori in termini di manifesto programmatico.
E noi? Probabilmente molti di noi non saranno della partita ma senza isterismi ad alimentare quel senso di abbandono che ci spinge a crederci inadeguati perché la verità è che non lo siamo o lo siamo al pari degli altri, forse siamo solo fuori tempo come sostiene Ivano Fossati: “C’è un tempo negato e uno segreto, un tempo distante che è roba degli altri”.
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