Diritto al lavoro e libera circolazione nell’area Schengen, quale impulso allo sviluppo economico del Paese
Il caso della Svizzera come esempio di buone prassi
di Roberto Laera – Vito Antonio Boccia
Premessa
Pur essendo largamente considerato come uno dei principali risultati conseguiti dall’Unione europea, negli ultimi tempi lo spazio Schengen[1] è stato sottoposto a notevole pressione a causa dell’afflusso senza precedenti di rifugiati e migranti nell’Unione europea. I grandi numeri dei nuovi arrivi hanno spinto negli ultimi mesi vari Stati membri a reintrodurre temporaneamente i controlli alle frontiere interne di Schengen, come previsto dal Codice frontiere Schengen. Un’ulteriore sfida per lo spazio Schengen senza passaporti è costituita dalla rafforzata minaccia terroristica seguita agli attacchi di Parigi del novembre 2015 che hanno evidenziato quanto sia facile per terroristi indiziati o addirittura incriminati entrare e spostarsi nello spazio Schengen.
In questo lavoro, cercheremo di dimostrare, rappresentando anche il caso della Svizzera, come ciononostante, la libera circolazione delle persone all’interno dei paesi dell’Unione Europea ha creato un notevole sviluppo demografico, culturale ed economico, dovuto soprattutto alla possibilità da parte delle imprese di trovare in un mercato del lavoro più ampio e professionalità in grado di farle competere a livello mondiale.
Le imprese hanno sfruttato le maggiori possibilità offerte dall’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC) per reclutare manodopera qualificata, favorendo la crescita demografica e la ripresa economica.
Alla luce dell’importanza della mobilità delle persone attive nell’attuale mondo del lavoro, anche il riconoscimento dei diplomi riveste un ruolo decisivo. L’accordo sulla libera circolazione delle persone permette di far valere la formazione nell’Unione europea.
Questo è un esempio di come, gli accordi bilaterali di libera circolazione tra l’Albania e i paesi dell’Unione Europea prima e l’ingresso nell’Unione Europea dopo, faciliterebbero lo sviluppo del paese.
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Il principio di libera circolazione delle persone
Nel diritto comunitario, com’è noto, le normative che regolano la circolazione delle persone all’interno del territorio dell’ Unione Europea costituiscono uno dei capitoli più rilevanti e significativi.
La libera circolazione dei cittadini della U.E. ha una sua propria caratterizzazione, prettamente economica, che tuttavia pare essere funzionale soprattutto al raggiungimento degli obiettivi europei in materia di politica sociale. Invero il diritto alla libera circolazione (dei lavoratori) è finalizzato alla costituzione di un unico mercato del lavoro su scala europea: per tale motivo a tutte le persone che lavorano all’interno dell’Unione, proprio in quanto soggetti economici, deve essere assicurata la piena libertà di spostamento tra i vari Stati-membro che costituiscono la Comunità: siano essi lavoratori subordinati, lavoratori autonomi o persone giuridiche (1).
In particolare, sul punto, si è osservato che la libertà dei lavoratori ha implicato la abolizione di qualsivoglia forma di discriminazione ab origine basata sulla nazionalità delle persone, con riguardo al diritto di ingresso nel territorio comunitario, all’accesso al lavoro, alle condizioni, al soggiorno ed al diritto di mantenervi la propria residenza (2).
Per l’effetto, quindi, l’esigenza di favorire la mobilità intra-comunitaria dei lavoratori ha superato i criteri (obsoleti) basati sulla nazionalità, interni ai singoli Stati-membro: non a caso si sono succedute nel tempo una serie di norme di attuazione, a partire dal 1961, e la stessa Corte di Giustizia ha avuto modo di pronunciarsi più volte sull’argomento. (3)
Nel campo di applicazione delle normative sulla libertà di circolazione rientrano anche i componenti della famiglia del lavoratore (il coniuge e i discendenti che siano minori di anni ventuno): tuttavia c’è da dire che il diritto di soggiorno dei familiari non costituisce un diritto autonomo, bensì è naturalmente collegato alla circostanza che il lavoratore abbia già esercitato il suo proprio diritto di libera circolazione e che disponga di un alloggio. (4)
In patica l’esistenza di un mercato del lavoro comunitario permette che lavoratori e datori di lavoro possano scambiare in piena libertà le domande e le offerte di impiego, dando esecuzione ai contratti di lavoro conclusi. (5)
Naturalmente, quanto ai contenuti del diritto medesimo, esso si estrinseca innanzitutto nella parità di accesso ai posti di lavoro disponibili in ciascuno dei Paesi-membro della UE, ed è identificabile nella garanzia della parità di trattamento nell’accesso all’impiego tra lavoratori nazionali e lavoratori che provengono da altri stati comunitari. (6)
In buona sostanza la garanzia di parità di trattamento trova fondamento nella impossibilità di far dipendere la assunzione del lavoratore a criteri discriminatori in ragione della sua nazionalità. (7)
In effetti il divieto di discriminazione, a contrario, rappresenta un autentico limite giuridico sia per i comportamenti dei poteri pubblici, sia per la autonomia dei privati: sicchè le clausole discriminatorie che siano contenute in norme, o contratti (individuali e/o collettivi), sono da considerarsi radicalmente nulle. (8)
Ovviamente la libera circolazione può essere parzialmente limitata dalla (legittima) richiesta di attestati di qualificazione professionale, poiché le regole per il rilascio di tali attestazioni risultano ancora essere diverse nei vari Stati-membro, in prevalenza per ciò che riguarda i lavoratori autonomi. (9)
La libera circolazione dei lavoratori
Sempre in ordine al contenuto del diritto in esame e sulla base del diritto alla libertà di circolazione di chi lavora, il principio di parità di trattamento del lavoratore costituisce, evidentemente, una parte integrante del diritto di libera circolazione: trattasi di una garanzia di carattere generale – la quale inerisce alle condizioni di lavoro e che deve trovare puntuale applicazione in relazione a tutta la materia lavoristica – su cui, peraltro, si è più volte soffermata la Corte di Giustizia. (10)
Il principio di parità gode comunque di un’ampia valenza protettiva: non a caso tale garanzia è funzionale sia alla integrazione dei lavoratori migranti che alla tutela degli stessi cittadini del paese di accoglienza. (11)
Ciò detto, si osserva quanto segue: il principio di libera circolazione non può che implicare il diritto a spostarsi liberamente nel territorio degli stati-membro e, quindi, il diritto del lavoratore a lasciare il proprio territorio nazionale, onde accedere ad una attività lavorativa in un altro paese comunitario. Quanto alle formalità, esso sarà applicabile semplicemente con la presentazione di un documento di identità, senza il rilascio di alcun visto di uscita: detta facoltà coincide con il diritto di ingresso del lavoratore migrante in ognuno dei paesi della UE, che non è condizionabile da alcuna forma di visto di ingresso. (12)
Altresì, la libertà di circolazione del lavoratore si concretizza nel diritto di soggiornare senza il rilascio di alcun permesso costitutivo del diritto. (13) Accanto a tale diritto esiste la ulteriore facoltà, esercitabile dopo la cessazione dell’attività lavorativa, di continuare a risiedere sul territorio dello stato ove è stata esercitata l’ attività lavorativa, sempre ricorrendo determinate condizioni di durata del lavoro. (14)
Infine, quanto alle residue limitazioni legali che sono, ad oggi, ancora poste alla libertà di circolazione dei lavoratori, giova ricordare che sussistono ancora due limiti: un primo, di carattere meramente residuale, che riguarda l’accesso dei lavoratori extra-nazionali all’impiego pubblico nelle amministrazioni dei singoli stati-membro (limite che, occorre dire, si va riducendo sempre più, sia grazie alle direttive di coordinamento in materia, sia alla luce delle numerose pronunce della Corte).
Ovviamente sussiste anche un altro -ed ulteriore- limite: il quale concerne, invece, le ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, ovvero di sanità pubblica, su cui conviene soffermarsi alla fine del presente articolo.
Dunque è facile notare che, quanto all’oggetto del divieto, esso non può che riguardare i singoli provvedimenti, adottati in casi eccezionali da uno (o più) stati-membro, relativamente al limite di ingresso sul territorio nazionale, o alla espulsione di soggetti dal territorio medesimo (16).
Ovviamente non possono sussistere mere ragioni di carattere economico, ma solo motivazioni gravi che riguardino minacce all’ordine pubblico, alla sicurezza, o per la sanità e l’igiene: anzi, a tal proposito, l’Unione sta cercando di armonizzare i vari criteri nazionali, ancora oggi non uniformi, pur restando fermo – in capo alle competenti autorità nazionali – un certo potere discrezionale, con riferimento, in particolare, alla procedura di espulsione. (17)
La libera circolazione di servizi
Si deve sottolineare che il Trattato sul funzionamento della Unione, nell’evidente intento di assicurare la piena mobilità dei fattori produttivi in senso ampio, con gli articoli 56-62 TCE prevede, inoltre, la libera prestazione e circolazione dei servizi: questa costituisce, in un certo senso, il pieno completamento del diritto alla libera circolazione dei lavoratori.
In effetti per “servizi” devono intendersi, secondo l’art. 57 TFUE, «le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone». Tali prestazioni comprendono attività di carattere industriale, commerciale, artigiane e, infine, le libere professioni. (18)
L’art. 56 TFUE, rispetto all’esercizio dei servizi, peraltro, prevede il divieto di restrizioni nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Unione che non sia quello del destinatario della prestazione.
In secondo luogo, con l’art. 57 paragr. 2 TFUE, è previsto per il prestatore (il quale, a titolo temporaneo, eserciti la propria attività in un paese diverso da quello di origine) il pieno diritto di esercitare la propria attività «alle stesse condizioni imposte da tale Stato ai propri cittadini». (20)
La libera prestazione dei servizi non può che comporsi – analogamente alla libera circolazione dei lavoratori subordinati e al diritto di stabilimento – sia del diritto di accesso all’attività che del diritto al trattamento nazionale: ma, mentre il primo diritto presuppone l’esercizio continuo e permanente di un attività in un altro Stato membro, la libera prestazione dei servizi riguarda anche un esercizio solo temporaneo e occasionale di un’attività non salariata (all’interno di ognuno degli Stati-membro).
Come per il diritto al libero stabilimento, anche nella libera prestazione dei servizi sono in primo luogo vietate le discriminazioni ‘‘dirette’’, ossia quei casi in cui la normativa nazionale prevede espressamente un trattamento diverso e meno favorevole per i liberi prestatori rispetto a quello applicabile ai soggetti stabiliti (come nel caso della norma francese, che vietava ai soli medici stabiliti in altri Stati di visitare più di un paziente per un periodo complessivo di due giorni).
Naturalmente è fatto divieto anche delle discriminazioni ‘‘indirette’’ (dette anche ‘‘occulte’’): ossia, per meglio dire, è vietata qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che, sebbene basata su criteri in apparenza neutri, nella vita pratica vada a produrre lo stesso identico risultato discriminante.
Il principio è stato affermato, ad esempio con riferimento alla normativa italiana, in materia di concessione di lavori pubblici che, per quanto riguarda i subappalti, accordava la preferenza alle imprese che svolgevano la loro attività prevalentemente nel territorio della Regione interessata dai lavori (21).
Sono, infine, vietate le discriminazioni ‘’materiali’’, ossia tutte quelle azioni che derivano dalla assimilazione della situazione del prestatore di servizi straniero a quella del prestatore nazionale, rispetto a quei requisiti che risultino -per il cittadino estero- obiettivamente più difficili da acquisire (come nel caso delle normative professionali, in cui lo stato-membro, imponendo ai liberi prestatori la risposta a requisiti previsti dalla normativa nazionale, non tiene conto del fatto che tali soggetti sono già tenuti a rispettare i requisiti richiesti per l’esercizio dell’attività nello Stato medesimo) .
Si noti che, come già osservato in tema di diritto di stabilimento, mediante una giurisprudenza ormai consolidata la Corte ha assunto -nei confronti delle discriminazioni indirette o materiali alla libera prestazione dei servizi- un approccio diverso, che non si limita ad accertare l’esistenza di una discriminazione, quanto piuttosto verifica se sussiste un ostacolo alla libera circolazione dei servizi (22).
Sicché il principio del trattamento nazionale, che è stato sancito all’art. 57, terzo comma TFUE, non può e non deve essere inteso nel senso restrittivo della necessità della applicazione integrale della disciplina nazionale alle attività di carattere temporaneo, che siano esercitate da imprese stabilite in altri Stati: invero, piuttosto, la libera prestazione dei servizi, come del resto quella dei lavoratori -in quanto principio fondamentale sancito dal Trattato- potrà essere limitata sempre e solo da normative di carattere temporaneo che siano giustificate dal pubblico interesse e che siano rese obbligatorie per tutte le persone e le imprese che esercitano la propria attività sul territorio di tale Stato.
Il Caso della Svizzera
L’Accordo del 21 giugno 1999 sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’UE (ALC) facilita ai cittadini dell’UE le condizioni di soggiorno e di lavoro in Svizzera. Il diritto alla libera circolazione delle persone è completato mediante disposizioni sul riconoscimento reciproco dei diplomi, sull’acquisto di immobili e sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. Le medesime regole sono applicabili agli Stati dell’AELS.
L’ALC è entrato in vigore il 1° giugno 2002 nei confronti dei cittadini dei vecchi Stati dell’UE (UE-15) e dei cittadini degli Stati dell’AELS. Il 1° aprile 2006 è stato esteso ai dieci Stati che hanno aderito all’UE il 1° maggio 2004 (UE-8; Cipro e Malta sono stati immediatamente integrati alla disciplina applicabile ai vecchi Stati dell’UE, che sono così diventati l’UE-17). L’8 febbraio 2009 gli elettori svizzeri hanno approvato il rinnovo dell’ALC e del Protocollo II di estensione dell’ALC alla Bulgaria e alla Romania. Dal 1° giugno 2009 l’ALC è applicabile anche a questi due nuovi Stati membri dell’UE (UE-2).
Da parecchi anni i cittadini dei vecchi Stati membri dell’UE nonché di Cipro e Malta (UE-17) come anche i cittadini dell’AELS beneficiano della libera circolazione completa delle persone. Dal 1° maggio 2011 i cittadini dell’UE-8 beneficiano del medesimo regime di libera circolazione completa applicabile così a tutti gli Stati dell’UE-25/AELS (UE-17 + UE-8 + AELS). I cittadini bulgari e rumeni continuano a soggiacere a determinate restrizioni fino al 31 maggio 2016.
In linea di massima l’immigrazione ha fatto registrare un’evoluzione adeguata alle esigenze dell’economia svizzera, favorendo così lo sviluppo economico. In Svizzera le imprese possono reclutare più facilmente nell’UE o nei Paesi dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) il personale qualificato o altamente qualificato di cui hanno bisogno, il che consente loro di restare competitive.
Casi di dumping salariale sono stati osservati in particolare in alcuni settori a rischio. Tuttavia le misure di accompagnamento sono state potenziate e si sono rivelate uno strumento efficace di lotta contro simili abusi in ambito retributivo nonché in materia di condizioni lavorative.
Dall’immigrazione prodotta da una situazione economica solida in Svizzera sorgono anche problemi legati al sovraccarico delle infrastrutture e alla convivenza sociale. Sono inoltre stati realizzati numerosi studi volti a verificare, per esempio, l’impatto della libera circolazione delle persone sul mercato del lavoro e sulla situazione del mercato dell’alloggio. In vari studi la SECO ha analizzato le ripercussioni del numero crescente di frontalieri, in particolare la situazione in Ticino e in altre regioni di frontiera.
Importanza economica
I Bilaterali I del 1999 completano l’Accordo di libero scambio del 1972 con un’apertura reciproca dei mercati, progressiva e controllata, consolidando così le relazioni economico-commerciali esistenti tra la Svizzera e l’Unione europea. Entrambe le parti traggono beneficio dall’abolizione degli ostacoli al commercio. Quest’ultima, infatti, snellisce le condizioni commerciali e favorisce la concorrenza, stimolando di conseguenza la crescita economica, che a sua volta promuove la creazione di posti di lavoro.
Le ripercussioni economiche positive degli accordi settoriali sono oggi indiscusse. Economie suisse, l’associazione mantello dell’economia svizzera, definisce questi accordi «indispensabili e inevitabili». Tanto più che hanno acquisito ulteriore importanza grazie all’estensione ai mercati in forte crescita dei nuovi Stati membri dell’UE. Rivestono particolare rilevanza sul piano economico l’Accordo sulla libera circolazione delle persone, quello sull’abolizione degli ostacoli tecnici al commercio e infine quello sugli appalti pubblici.
Gli Accordi bilaterali comportano i seguenti vantaggi economici
Nuove opportunità commerciali per le imprese svizzere in mercati fino ad allora chiusi, in particolare per taluni prodotti agricoli, per i trasporti terrestri e aerei nonché per gli appalti pubblici; le imprese svizzere attive in questi settori possono accedere più facilmente al mercato europeo e sfruttare in tal modo potenziali economie di scala. Esse possono ad esempio usufruire, nelle gare pubbliche di appalto, delle medesime condizioni di accesso garantite ai loro concorrenti europei, segnatamente nel comparto delle infrastrutture comunali (acqua, energia, smaltimento rifiuti, trasporti urbani ecc.), un segmento caratterizzato nell’Europa medio-orientale da una notevole e impellente necessità di colmare il divario tecnico, per coprire il quale l’Unione europea stanzierà, nel corso dei prossimi anni, un cospicuo aiuto finanziario;
in compenso, le imprese estere hanno libero accesso al mercato svizzero, andando così a incrementare la pressione concorrenziale nei settori interessati e, di riflesso, incentivando una maggiore produttività;
nel settore, ad oggi già liberalizzato, del traffico delle merci è possibile ottenere risparmi immediati attraverso lo snellimento delle norme di valutazione della conformità dei prodotti (abolizione degli ostacoli tecnici al commercio); attualmente la valutazione della conformità di determinati prodotti destinati all’intero mercato europeo, ovvero la verifica del rispetto delle normative vigenti, ha luogo presso un solo ente di certificazione in Svizzera o nell’UE;
il principale impatto dal punto di vista economico è determinato dalla libera circolazione delle persone, che consente di agevolare, da un lato, il distacco di manodopera svizzera negli Stati membri dell’Unione europea e, dall’altro, il reclutamento di forza lavoro per il mercato svizzero del lavoro. L’Accordo sulla libera circolazione delle persone estende di fatto l’accesso al mercato svizzero del lavoro alla forza lavoro dell’intera UE nonché degli Stati dello Spazio economico europeo (SEE). La semplificazione delle condizioni della mobilità internazionale dei lavoratori favorisce l’efficienza e pertanto la crescita delle imprese svizzere, che hanno la possibilità di reclutare con maggiore facilità il personale qualificato adatto alle loro esigenze. Il rischio di una carenza di manodopera e di una spirale salariale verso l’alto diventa pertanto meno concreto. L’Accordo sulla libera circolazione delle persone acquisisce un’importanza tanto maggiore per la Svizzera se si considera che, a medio termine, l’offerta di manodopera svizzera potrebbe prosciugarsi per effetto dell’andamento demografico. Ne consegue una maggiore produttività che stimola la crescita del prodotto interno lordo, a tutto vantaggio del mercato del lavoro svizzero che rimane così attrattivo.
La seconda serie di Accordi bilaterali, i Bilaterali II, va ben oltre il quadro meramente economico dei Bilaterali I, in quanto estende la cooperazione a importanti settori politici quali la sicurezza, l’asilo, l’ambiente e la cultura. Solo l’Accordo relativo ai prodotti agricoli trasformati, che snellisce le esportazioni di prodotti dell’industria alimentare, costituisce un Accordo di apertura reciproca dei mercati, sulla scia dei Bilaterali I.
Nonostante ciò, i Bilaterali II soddisfano anche altri interessi economici come:
- tutelare gli interessi della piazza finanziaria (fiscalità del risparmio, lotta contro la frode);
- incentivare il settore del turismo in Svizzera grazie all’introduzione del visto Schengen (Schengen/Dublino);
- avvantaggiare fiscalmente le imprese svizzere attive a livello internazionale, che possono avvalersi di esenzioni fiscali grazie all’adozione della cosiddetta «Direttiva madre-figlia» (fiscalità del risparmio).
Dati economici Svizzera-Unione europea
Con l’adesione di Bulgaria, Romania e Croazia, il mercato interno dell’Unione europea si è ampliato ulteriormente, toccando più di 507 milioni di persone, e ha acquisito un’importanza ancora superiore in qualità di partner economico della Svizzera. La Svizzera guadagna infatti un franco su tre grazie ai suoi scambi commerciali con l’UE.
Il 55% delle esportazioni svizzere (pari a circa 114 miliardi di CHF nel 2014) è diretto verso l’UE e il 73% delle importazioni svizzere (equivalenti a circa 131 miliardi di CHF nel 2014) provengono dall’UE. L’UE rappresenta quindi il maggiore partner commerciale della Svizzera.
L’Unione europea è anche il primo partner della Svizzera in materia di investimenti diretti: circa l’82% del capitale estero investito in Svizzera proviene infatti dall’UE (complessivamente circa 562 miliardi di CHF nel 2013), mentre circa il 43% degli investimenti diretti svizzeri all’estero è destinato all’UE (pari a circa 465 miliardi di CHF nel 2013).
L’interrelazione con l’UE è particolarmente stretta anche nell’ambito del mercato del lavoro: alla fine del 2015, oltre 455’800 cittadini svizzeri vivevano e lavoravano nei Paesi dell’UE, mentre 1’363’736 cittadini dell’UE-28/AELS erano domiciliati in Svizzera. A questi vanno aggiunti oltre 297’000 lavoratori frontalieri provenienti dall’UE/AELS.
(Fonte: Amministrazione federale delle dogane AFD, Ufficio federale di statistica UST e Banca nazionale svizzera BNS)
La libera circolazione delle persone giova anche nella crisi economica
Le imprese hanno sfruttato le maggiori possibilità offerte dall’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC) per reclutare manodopera qualificata, favorendo la crescita demografica e la ripresa economica. Durante il recente rallentamento economico, pur subendo una netta contrazione l’immigrazione in Svizzera si è mantenuta a un livello relativamente alto e i possibili effetti negativi di un’offerta di lavoro crescente sono stati compensati dagli effetti stabilizzatori dell’immigrazione sulla congiuntura. Nel 2009 è stata ulteriormente ampliata l’attività di controllo nell’ambito delle misure di accompagnamento, in modo da poter rispondere efficacemente alla pressione sulle condizioni salariali e lavorative.
Negli ultimi otto anni, l’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC) ha favorito l’immigrazione di lavoratori in Svizzera, consentendo all’economia svizzera una ripresa significante. La percentuale di lavoratori qualificati tra i neo-immigrati è superiore alla media, a tutto vantaggio dell’economia.
Con il rallentamento dell’economia, nel 2009 anche il saldo migratorio della popolazione residente, permanente e non permanente, straniera è calato di un quarto rispetto all’anno precedente e quello dei cittadini dell’UE/AELS addirittura di un terzo. Con un saldo di 68’000 persone, l’immigrazione netta è tuttavia stata relativamente alta rispetto a fasi recessive precedenti. Se all’inizio della crisi economica l’immigrazione persistente potrebbe aver accelerato leggermente l’aumento della disoccupazione, al tempo stesso ha avuto un effetto stabilizzatore sui consumi e sugli investimenti nel settore delle costruzioni. La recessione e il calo dell’occupazione in Svizzera sono stati moderati rispetto ad altri Paesi industrializzati anche grazie all’immigrazione.
Ciononostante, fino alla metà dell’anno scorso la disoccupazione è avanzata rapidamente. L’incremento ha colpito in particolare le persone immigrate da poco. Le ripercussioni dell’ALC sul tasso di disoccupati e sull’andamento dei salari sono valutate in modo divergente dagli esperti. In base alla struttura delle qualifiche e delle professioni degli immigrati, che riflette la domanda dell’economia, non è tuttavia prevedibile un incremento della disoccupazione fisiologica neanche a lungo termine.
Sul piano salariale, finora non sono stati rilevati effetti negativi riconducibili all’immigrazione sulle classi di reddito basse. Si è forse leggermente indebolita la crescita salariale per i lavoratori maggiormente qualificati, il segmento che ha registrato l’immigrazione più elevata.
Per la Svizzera, i maggiori costi del coordinamento delle assicurazioni sociali con gli Stati dell’UE legato alla libera circolazione delle persone sono stimati a 295 milioni di franchi, un importo inferiore alle previsioni iniziali quasi di un terzo. L’immigrazione ha invece avuto ripercussioni favorevoli per le assicurazioni sociali finanziate secondo il principio della ridistribuzione: i contributi versati dai lavoratori provenienti dagli Stati membri dell’UE in Svizzera superano ampiamente le prestazioni che percepiscono.
Attuazione delle misure di accompagnamento
]]]. Nei settori in cui sono stati stipulati contratti collettivi di lavoro (CCL) di obbligatorietà generale, commissioni paritetiche (CP) vigilano sul rispetto delle condizioni salariali e lavorative minime. Per lo svolgimento di controlli analoghi nei settori senza CCL obbligatori sono state istituite delle commissioni tripartite (CT).
Nel 2009, l’attività di controllo nell’ambito delle misure di accompagnamento si è intensificata ulteriormente rispetto all’anno precedente: sono stati controllati complessivamente 13‘587 aziende straniere che distaccano lavoratori e 16‘684 datori di lavoro svizzeri.
Se l’attività di controllo presso i datori di lavoro svizzeri è aumentata del 18% rispetto all’anno precedente, nel 2009 gli organi di controllo hanno eseguito l’8% di controlli in meno presso aziende distaccanti. Tale evoluzione si spiega con il leggero calo del numero di lavoratori distaccati nonché con la focalizzazione su settori specifici. Complessivamente è stata controllata quasi la metà dei fornitori di servizi e dei lavoratori indipendenti soggetti all’obbligo di notifica, pari al 4% di tutti gli stabilimenti svizzeri. Oggi le condizioni salariali e lavorative sono controllate in tutti i settori e in tutte le regioni della Svizzera. Le misure di accompagnamento sono applicate e funzionano.
La percentuale di casi di dumping salariale tra i datori di lavoro svizzeri (4%) e le aziende distaccanti (8%) è rimasta costante. Per i settori con un CCL obbligatorio, le commissioni paritetiche segnalano invece un ulteriore incremento delle violazioni dei salari minimi: sono infatti state rilevate infrazioni alle disposizioni salariali presso il 21% delle aziende distaccanti e il 30% dei datori di lavoro svizzeri controllati.
Riconoscimento dei diplomi
Alla luce dell’importanza della mobilità delle persone attive nell’attuale mondo del lavoro, anche il riconoscimento dei diplomi riveste un ruolo decisivo. L’accordo sulla libera circolazione delle persone permette agli Svizzeri di far valere la loro formazione nell’Unione europea e, viceversa, ai cittadini dell’UE di far riconoscere i loro diplomi dell’UE in Svizzera. I cittadini svizzeri che desiderano ottenere un riconoscimento delle loro qualifiche professionali devono fornire diversi documenti a sostegno della loro richiesta.
Il riconoscimento delle qualifiche professionali è necessario solo se si tratta di una professione regolamentata nel Paese di destinazione. Per professione regolamentata si intende una qualsiasi attività che può essere esercitata solo da chi è in possesso di specifiche qualifiche professionali. L’elenco delle professioni regolamentate suddivise per Paese dell’UE/AELS è consultabile online.
Se una professione non è regolamentata nel Paese di destinazione, non è di norma possibile ottenere il riconoscimento del diploma e si può lavorare direttamente con il proprio diploma svizzero. Sarà quindi lo stesso mercato del lavoro a determinare le opportunità d’impiego.
I cittadini svizzeri possono ottenere un attestato di conformità del loro diploma svizzero. Si tratta di un documento standard che fornisce alle autorità competenti dell’UE/AELS diverse informazioni relative alla direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali. L’attestato può essere richiesto alla Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione SEFRI.
Economia e prosperità
La libera circolazione accresce le opportunità di reclutare forza lavoro; le imprese svizzere possono inoltre distaccare più facilmente il rispettivo personale negli Stati membri dell’Unione europea (ad esempio per il montaggio o la manutenzione di macchinari o apparecchi dell’industria metalmeccanica ed elettronica), migliorando pertanto le prospettive di concorrenzialità delle imprese elvetiche rispetto alla concorrenza europea. Simili condizioni quadro salde e provate assumono ulteriore importanza proprio in situazioni economiche incerte.
L’economia elvetica è tale che la forza lavoro indigena non basta a soddisfare la domanda per cui la Svizzera dipende dalla manodopera estera: in Svizzera, un lavoratore su quattro è di nazionalità straniera e a livello dei quadri aziendali, tale proporzione sale addirittura al 40 per cento.
Un terzo del personale che lavora negli istituti ospedalieri è di origine straniera. Nel settore alberghiero e della ristorazione, la proporzione di lavoratori stranieri supera il 40 per cento.
L’80 per cento delle piccole e medie imprese ritiene che la possibilità, offerta dalla libera circolazione delle persone, di reclutare facilmente la manodopera di cui necessitano, costituisce l’elemento più importante per la piazza economica elvetica.
Grazie alla libera circolazione delle persone, il prodotto interno lordo ha segnato una crescita stabile di al-meno l’un per cento: questo rappresenta all’incirca tra quattro e cinque miliardi di franchi.
La Svizzera è sempre più tributaria della manodopera straniera poiché l’offerta di forza lavoro nazionale tende a diminuire a causa del calo progressivo della natalità (andamento demografico): nel medio termine (2014), il numero degli alunni all’ultimo anno di liceo si sarà ridotto dell’8 per cento.
Occupazione
La libera circolazione delle persone favorisce la competitività e di conseguenza il successo economico delle imprese. Mercati del lavoro aperti riducono il rischio di delocalizzazione della produzione all’estero a causa di una carenza di manodopera qualificata e permettono in questo modo di mantenere gli impieghi nonché di creare nuovi posti di lavoro. D’altra parte, gli Svizzeri usufruiscono di un accesso pari e reciproco al mercato del lavoro dell’Unione europea. Le misure collaterali – comunemente chiamate “misure di accompagnamento” – migliorano la tutela dei lavoratori dipendenti contro il dumping salariale e sociale. Occorre in proposito sottolineare che, qualora la libera circolazione delle persone venisse respinta dal popolo, queste misure di accompagnamento cadrebbero. La libera circolazione delle persone rispecchia l’andamento congiunturale dell’economia: se quest’ultima rallenta, l’offerta di posti di lavoro diminuisce e quindi l’immigrazione si ridimensiona. Durante il quarto trimestre 2008, l’immigrazione proveniente dall’Unione europea è calata di quasi la metà; quella dei lavoratori tedeschi si è ridotta di un terzo. Attualmente, il numero di autorizzazioni di soggiorno di lunga durata (permessi B) concessi a cittadini dell’Unione europea rappresenta appena la metà dell’insieme dei permessi attribuiti durante la fase di congiuntura economica favorevole.
Sono stati creati oltre 250 000 posti di lavoro dalla metà del 2004.
La disoccupazione ha rispecchiato l’evoluzione della congiuntura economica e ha permesso a 50 000 persone di ritrovare un posto di lavoro. Il numero di disoccupati è sceso da 150 000 unità (ossia dal 3,9 % nel 2003) a 102 000 (pari al 2,6 % nel 2008). Il tasso di disoccupazione degli Svizzeri (pari all’1,9 % nel 2008) è sempre rimasto nettamente inferiore a quello degli stranieri (pari al 5,0 % nel 2008).
Via bilaterale: dato che la libera circolazione delle persone è legata dal punto di vista giuridico con gli altri Accordi bilaterali I (tramite la cosiddetta “clausola ghigliottina”), pronunciarsi sul rinnovo della libera circolazione delle persone equivale a decidere se vogliamo mantenere l’insieme del pacchetto di Accordi bilaterali I. Col rinnovo e l’estensione della libera circolazione delle persone ai “nuovi” Stati membri dell’UE, la Svizzera riconferma il proprio accesso privilegiato al mercato interno europeo costituito da ben 490 milioni di consumatori. Essa consolida nel contempo le relazioni bilaterali con l’Unione europea che presentano condizioni stabili e provate, le quali si rivelano particolarmente importanti proprio in periodi dominati dall’incertezza circa gli sviluppi dell’economia. Mentre invece in caso di denuncia dell’Accordo sulla libera circolazione delle persone, gli altri Accordi del pacchetto di Bi-laterali I verrebbero automaticamente revocati da parte dell’UE nell’arco di sei mesi. Questo indebolirebbe la posizione nonché la competitività della piazza economica elvetica e le imprese sarebbero co-strette a delocalizzare all’estero parte della loro produzione mettendo a repentaglio il mantenimento di numerosi posti di lavoro. Inoltre, la via bilaterale verrebbe sostanzialmente rimessa in discussione.
La Svizzera guadagna un franco su tre tramite le sue relazioni economiche con l’Unione europea.
Queste superano attualmente un volume medio di un miliardo di franchi al giorno.
Due terzi delle esportazioni svizzere sono dirette verso il mercato europeo (equivalenti a 124 miliardi di franchi nel 2007).
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Disclaimer
Questo articolo è stato redatto dall’autore Roberto Laera nel 2016. Le informazioni riportate potrebbero aver subito dei cambiamenti, tra le quali:
[1]L’area Schengen è costituita da ventisette nazioni europee che, conformemente alle normative di Schengen, hanno eliminato i loro confini interni, sostituendoli con un confine esterno comune dove si eseguono i controlli dei viaggiatori. Di questi, ventitré paesi membri dell’Unione europea sono integrati completamente nello spazio Schengen. A partire dal 31 marzo 2024, Romania e Bulgaria si sono unite, ma limitatamente alle frontiere aeree e marittime. Irlanda ha deciso di non partecipare allo spazio Schengen, e Cipro, pur avendo firmato l’accordo, non lo ha ancora attuato. Gli stati non membri dell’UE che partecipano includono Islanda, Norvegia, Svizzera, Liechtenstein, oltre ai microstati di Monaco, San Marino e Vaticano. Brexit: Con l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, la libera circolazione tra il Regno Unito e gli stati Schengen è cambiata.
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