Lego® Serious Play®: sviluppare le capacità attraverso il gioco serio
Pensiero creativo, problem-solving e comunicazione efficace rientrano tra le competenze più ricercate dai recruiter in fase di selezione. Come dimostra la storia di molte organizzazioni, nei momenti di crisi o di grande cambiamento culturale sono proprio queste le abilità che permettono alle persone di fare la differenza. Esiste, allora, un modo per potenziare queste competenze quando la risorsa diventa parte integrante dell’azienda? Lavorare in team è una sfida continua. Richiede ottime capacità comunicative e di ascolto attivo, ancor più quando è necessario prendere decisioni strategiche.
Era proprio questa la situazione vissuta nella metà degli anni Novanta da Lego® Group, che stava attraversando un momento di forte crisi a causa del successo delle nuove forme di gioco. Spinta dall’esigenza di velocizzare e facilitare le attività organizzative, l’azienda ha formulato una risposta innovativa e funzionale, che ha fatto la sua fortuna con il nome di Lego® Serious Play® (LSP).
Si tratta di un modello originato dall’intuizione di inserire i mattoncini all’interno dei processi decisionali e operativi di Lego® Group. Basandosi sull’assunto che l’apprendimento e lo sviluppo delle capacità avvengono in maniera tanto più efficace quanto più le persone sono impegnate nella costruzione di un prodotto, la metodologia LEGO® Serious Play® consente alle persone di “pensare con le mani”, attivando un flusso “mani-cervello”.
La spiegazione ha origine nelle neuroscienze. Dato che le mani sono connesse con circa il 70% delle cellule cerebrali, è possibile facilitare l’apprendimento, stimolando contemporaneamente mani e cervello nella costruzione di un artefatto.
La fortuna del metodo LSP è data dalla possibilità di risolvere problemi complessi attraverso modelli 3D che stimolano la creatività e facilitano l’identificazione di soluzioni efficaci nel contesto del gioco. Tuttavia, non si tratta di un gioco qualunque. Proprio perché lo scopo è quello di risolvere questioni critiche, l’attività si configura come un gioco serio.
Sulla base di un’attenta analisi dei fabbisogni del cliente, ogni workshop LSP viene strutturato in quattro step, gestiti da un facilitatore:
1. Si pone la domanda (pose the question): la domanda è aperta e rappresenta una sfida da risolvere. Deve essere tale da creare le condizioni che consentono l’elaborazione di soluzioni e di risposte originali e personali, ricche di dettagli;
2. Costruire il modello (construction): lo step della costruzione avviene in un momento di riflessione individuale, in cui ognuno ha modo di immergersi totalmente nella propria sfida, rimandando la comunicazione e il confronto alla fase successiva;
3. Condividere il modello (sharing): ora che il modello in 3D è stato costruito, ogni partecipante si cimenta nella creazione e nella narrazione della propria storia. In questo contesto non si parla soltanto di storytelling, ma soprattutto di storymaking. Non ci si limita a raccontare una storia, ma la si modella con le mani e con le parole, rendendola unica e originale;
4. Riflettere su quanto costruito (reflection): i partecipanti interagiscono ponendosi domande e fornendo risposte, animando una discussione volta a indagare la prospettiva alla base di ogni singola costruzione.
Queste quattro fasi costituiscono il core process del metodo e vengono utilizzate per gestire ognuna delle sette application techniques (AT) attraverso cui può essere progettato un workshop LSP. Tuttavia, è l’application technique AT1 “costruzione di modelli individuali” a costituire la base di ciascun workshop.
Del resto, il focus sulla persona è tipico del modello LSP, in quanto il suo scopo è quello di incrementare la consapevolezza che ognuno ha sull’argomento trattato e di attribuire maggior valore al contributo individuale. Per questa ragione, prima ancora di iniziare un incontro, è necessario mettere in atto un insieme di attività di skills building, in modo che ogni membro del team possa diventare parte attiva e proattiva all’interno del gioco serio.
Al fine di costruire queste abilità, le attività previste dallo Starter Kit sono:
1. La torre: dopo una breve presentazione del programma del workshop, viene chiesto ai partecipanti di costruire la torre più alta possibile in base alle proprie capacità in un arco di tempo definito. In questo contesto, le torri costruite non vengono giudicate in relazione a quelle create dagli altri. Piuttosto, si cerca di immergere immediatamente la persona in una situazione non competitiva e volta alla valorizzazione delle diversità;
2. La creazione di significato: il tema della metafora è dominante nella seconda attività di skill building. Per comprendere cosa significhi attribuire un significato a un artefatto metaforico, i partecipanti realizzano un modello a scelta tra quelli illustrati per poi modificarlo e trasformarlo in una metafora di un aspetto del proprio lavoro;
3. La creazione di storie: dato che il senso stesso della metafora è quello di veicolare un significato, costruire, sviluppare e narrare la propria storia agli altri è uno step fondamentale di questo processo di base (core process) del metodo.
Nelle prime fasi del workshop molti partecipanti mostrano spesso diffidenza o pregiudizio nei confronti dell’attività che si prestano a svolgere. È esattamente in questo momento che il facilitatore si sofferma sulla spiegazione del nome del metodo. Il termine danese “LEGO” indica “giocare bene”, ma si tratta di un gioco (play) “SERIOUS”, strutturato e sfidante, volto alla ricerca di significati e al superamento di sfide, mai fine a se stesso. Questa sua natura fortemente esperienziale e funzionale a uno scopo preciso lo rende un gioco in cui qualsiasi adulto è disposto a cimentarsi. Se è vero che è fondamentale “mettersi in gioco”, qui ogni partecipante vive una sfida con se stesso e con la domanda posta dal facilitatore. Costruisce, pensa e narra, superando pregiudizi e mettendo in moto la propria creatività. Attraverso il LEGO® Serious Play®, infatti, la persona viene coinvolta contemporaneamente sul piano emotivo, razionale e istintivo.
Il successo del metodo risiede nella sua capacità di garantire grandi risultati in tempi brevi. Allo stesso modo, includere e dare valore al contributo del singolo permette di aggirare il tipico problema del 20% dei partecipanti che parla per l’80% del tempo. Infatti, se inizialmente è il facilitatore a coinvolgere ogni membro del team, con l’avanzare del workshop si crea un vero e proprio flusso, in cui le persone iniziano a prendere la parola autonomamente. A prescindere dal ruolo, dalle conoscenze e dalle proprie credenze limitanti, il gioco serio riesce a innescare un vero e proprio processo collaborativo.
Nella gran parte dei casi ogni partecipante esce dalla sessione di gioco serio con una capacità comunicativa più efficace, una rinnovata fiducia nelle proprie abilità e un maggior senso di appartenenza al proprio team. Che si tratti di allineare la squadra verso una soluzione o di riallineare il gruppo alla visione aziendale, il metodo ha dimostrato ampiamente la sua efficacia, tanto da essere impiegato in molte aziende italiane, tra cui Enel, Eni, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Unieuro e Canon Italia.
Ancora una volta si dimostra l’esigenza di fare affidamento su collaboratori motivati e disposti letteralmente a “mettersi in gioco” per migliorare se stessi e, di conseguenza, le performance aziendali. Sembra ormai chiaro che l’elemento del gioco contribuisca a far acquisire all’organizzazione un vantaggio competitivo che oggi può fare la differenza nel superamento di un processo di cambiamento o nell’identificazione di soluzioni innovative ed efficaci.
Bibliografia consigliata:
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