Un Leader (quasi) perfetto
La gestione delle Risorse Umane e il Change Management tra autoritarismo e autorevolezza.
La leadership, com’è noto nella letteratura e nella prassi manageriale, è la capacità di guidare e motivare gli individui, il team, i gruppi in generale, verso il raggiungimento di uno o più obiettivi. Il leader si accredita agli occhi delle persone e il suo esercizio si esplica attraverso il consenso riconosciuto unito alla motivazione (intrinseca ed estrinseca) di uomini e donne.
Bene, ma il problema allora qual è?
Chiediamoci: stile o stili di leadership? L’utilizzo di un solo “modello” è vincente? E ancora, l’adozione di più stili è davvero possibile?
Quando lavoro a stretto contatto con un titolare d’azienda, un dirigente o un quadro intermedio, conoscendoli e osservandoli, noto sempre più spesso come la maggior parte di loro adotti, consapevolmente o inconsapevolmente, un comportamento univoco al “comando”. Il loro approccio, potrei dire, è assolutistico. A pensarci bene, questa forma mentis assume tutti i caratteri e le debolezze proprie di un’abitudine, di una stereotipia, di una zona di comfort che risponde al trito cliché “io sono fatto così” e che si trasforma il più delle volte in un comodissimo alibi. La verità è che non esiste una leadership che possa essere sempre adeguata alle diverse situazioni organizzative. Dovremmo pensare ed agire infatti in termini di stili – Daniel Goleman1, ad esempio, ne elenca sei, quattro cosiddetti risonanti e due dissonanti, e utilizza le espressioni “repertori” e “versatilità degli approcci” – in quanto sono o dovrebbero essere proprio le situazioni, le contingenze e le persone tout court, a dettare o suggerire le condotte più efficaci da utilizzare.
Vi sono infinite variabili che ogni manager si trova di fatto a gestire tutti i giorni. Queste variabili determinano l’habitus. Gli stili non sono antitetici e in talune situazioni, dice Goleman, possono convivere. Classificazioni nette e dirimenti sono scorrette dal punto di vista sia teorico che metodologico.
Donatella Campus2, per citare un altro esempio, scrive che lo stile o gli stili della leadership, nelle sue componenti fondamentali, si muovono su tre macro-dimensioni: la prima, il modo in cui il leader prende le decisioni (decisionalità); la seconda, il modo in cui il leader si relaziona (leader trasformativi, ideologici, agentici o cooperativi) e la terza, il modo in cui il leader comunica (comunicazione). Inoltre, le motivazioni ‘incidenti’ affinché si utilizzi una condotta piuttosto che un’altra sono riconducibili al carattere, alla personalità, all’ideologia (relativamente allo studio della leadership in ambito politico/sociale), alla cultura, ai valori e al contesto di riferimento. È chiaro allora che gli elementi e i presupposti in gioco siano tanto numerosi quanto complessi.
In ambito manageriale, chiediamoci sempre e preliminarmente:
- Come analizzare e definire le situazioni?
- Come analizzare e definire i problemi o le criticità organizzative?
- Perché accadono?
- Quali sono le cause?
- Qual è la diagnosi?
- Quali sono i comportamenti più giusti da adottare?
- Quali sono gli obiettivi?
- Etc.
In questo contesto, quindi, la gestione delle Risorse Umane diventa una funzione maledettamente critica – forse la più critica – perché fondata su una molteplicità di aspetti, abilità e saperi quali l’esperienza, le competenze, la personalità e il carattere, l’efficacia della comunicazione, gli atteggiamenti, l’intelligenza emotiva, la conoscenza delle persone (di ogni singolo collaboratore) e delle dinamiche relazionali, la capacità di “leggere” le situazioni (le sfumature) e la prodromica definizione di cosa sia o cosa debba essere la maturità professionale richiesta ad ogni membro del team.
Nelle nostre PMI, ovvero il tessuto economico più ricco ed esteso del nostro Paese, purtroppo, la frattura tra “capo” e “collaboratore” sta diventando, in taluni casi, sempre più profonda, scolpita, evidente. Questa elettrificazione continua mortifica ogni tentativo di crescita e quindi di cambiamento. Giungere ad una diagnosi per capire le cause di questo stato è tutt’altro che semplice, ma il più delle volte i fattori scatenanti sono da ricercarsi negli atteggiamenti e nei maldestri utilizzi dell’autorità e dell’autorevolezza.
La leadership può sì essere una disposizione geneticamente acquisita, ma può e dev’essere anche e soprattutto una pratica. La versatilità degli approcci certo è possibile e richiede al manager delle Risorse Umane più attenzione, più disciplina, una sempre maggiore flessibilità e disponibilità a mettersi in discussione, trainings più frequenti e un esercizio (quasi) spirituale quotidiano.
Letture consigliate e riferimenti bibliografici.
- 1Daniel Goleman, R.E. Boyatzis, A. McKee, Essere Leader, ed. Bur, Milano, 2002
- 2Donatella Campus, Lo stile del leader, ed. Il Mulino, Bologna, 2016
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