Leader & Leadership e l'importanza del reclutamento alla base dei processi formativi

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Leader & Leadership e l’importanza del reclutamento alla base dei processi formativi

di Matteo P. Bonistalli

Il tema della leadership è al centro di molti studi psicologici e sociali fin dagli inizi del ‘900, proprio per l’importanza che essa riveste in relazione all’evoluzione continua dell’ambiente lavorativo e delle dinamiche aziendali.

Negli ultimi decenni, ad affiancare questo tipo di conoscenze, si è anche aggiunto il frequente utilizzo di professionisti della formazione che mirano a fornire e spiegare le tecniche e le applicazioni riguardanti gli stili di leadership conosciuti e sviluppati fino a oggi (un webinar molto interessante tenuto dal Dottor Giuseppe De Petra e che consiglio di vedere, ne è un valido esempio)[1]

Nonostante ciò, molti segnali di risposta a questi interventi sembrano evidenziare un qualche tipo di resistenza al necessario cambiamento, che è indubbiamente in atto, ma che stenta a radicarsi per definirsi completamente e su larga scala.

Un esempio riguardante il periodo post pandemico, forse scaturito da una nuova presa di coscienza da parte degli individui sulla propria esistenza e, di riflesso, sul loro ruolo all’interno del contesto lavorativo, è stata l’imprevista ondata di licenziamenti volontari che ha interessato una parte considerevole della popolazione lavorativa; oppure la sovente incapacità di trovare quegli accordi lavorativi in comune che soddisfino le richieste di chi offre un lavoro con quelle di chi è in cerca dello stesso; senza trascurare le statistiche relative ai disagi e alle malattie, come appunto lo stress lavoro correlato, il burnout, il turnover, che da tempo minacciano la salute dei dipendenti nonché le sinergie e l’efficacia dello stesso gruppo di lavoro.

Dunque, sembrerebbe che queste situazioni evidenzino una specie di marcata difficoltà nel trasformare dalla teoria alla pratica quella letteratura e quegli stessi processi formativi sulla leadership in azienda, per creare quegli ambienti lavorativi sani e sostenibili a cui gran parte degli individui vogliono appartenere e collaborare.

A questo proposito, quindi, riprenderei il significato con cui la stessa pedagogia definisce “formazione”, e cioè “quel processo di crescita, sviluppo e orientamento personale, che fa del soggetto quello che è, col suo carattere, le sue vocazioni, i suoi obiettivi, coltivandolo nella sua autonomia, nella sua singolarità e irripetibilità e seguendolo per tutto il suo percorso esperienziale”, per tentare di dare una mia opinione su questo andamento altalenante.

Molti professionisti della formazione sono infatti consapevoli che tale percorso è legato alle “motivazioni” intrinseche dell’individuo e non alle circostanze o alla volontà di terzi. La formazione è intesa e si realizza attraverso il bisogno e la volontà personale di voler migliorare, cambiare, svilupparsi.

Nel caso più specifico della “leadership”, partecipare a un webinar, ad un corso, oppure ricordare a memoria un manuale sulla leadership, a mio avviso, purtroppo non basta: è mia convinzione che non si “impara” a essere un leader rispettando quella teoria tipicamente santomasina legata a un apprendimento “passivo”, ma occorre anche possedere quei tratti della personalità e quell’esperienza necessari affinché il processo formativo venga compreso e assimilato.

Dovremmo innanzitutto soffermarci a comprendere con quali criteri i managers (e qui intendo manager come “ruolo” iniziale da cui partire per formare un leader, perché è mia opinione che questo ultimo non solo ricopre una posizione sulla scala gerarchica aziendale come il primo, ma è anche e soprattutto uno “status”, più difficile da raggiungere, in quanto si può realizzare solo attraverso il riconoscimento del proprio operato all’interno del contesto lavorativo da parte dei dipendenti e dei colleghi) vengono selezionati dalle aziende e dalle loro risorse umane.

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Criteri che, secondo il mio parere, dovrebbero seguire basi metodologiche ben definite, e non affidarsi solamente a un principio legato all’anzianità di lavoro di un dipendente, alle sole competenze lavorative di un candidato oppure a quelle puramente “amicali”, irrelate con le doti di un individuo, ma pur sempre determinanti in quelle dinamiche relazionali che si formano naturalmente all’interno di un gruppo di lavoro.

A mio avviso, è fondamentale ricercare in una persona il giusto connubio tra esperienza lavorativa e personalità, in quanto le competenze emotive sono importanti quanto quelle pratiche. Scegliere sulla sola base delle caratteristiche menzionate precedentemente, secondo la mia opinione, potrebbe risultare controproducente e minare la stabilità sia del clima organizzativo che della stessa produzione aziendale.

L’intelligenza emotiva, la flessibilità, l’attitudine, la creatività, il pensiero critico, la proattività, sono caratteristiche direttamente correlate alla personalità e importanti quanto quelle professionali nella definizione di una leadership all’interno di un gruppo di lavoro: è mia opinione che l’ampiezza del divario tra queste due caratteristiche potrebbe rappresentare una valutazione abbastanza attendibile per capire se un profilo possa, attraverso la formazione già menzionata, diventare un buon leader.

Paolo Freire, un pedagogo e filosofo brasiliano, definiva la formazione come segue: “chi insegna nell’atto di insegnare apprende e chi apprende nell’atto di farlo, insegna, in quanto ci formiamo continuamente”, ed è forse trovando chi è capace di fare suo questo assunto, sia per sé stesso che in relazione al gruppo di lavoro di cui sarà responsabile, che potrà aspirare a costruire una personale, moderna, efficace e longeva leadership.

Per concludere, secondo il mio parere, il lavoro dei recruiters è determinante al fine di ricercare i candidati, sia interni che esterni a un’azienda, più adatti a diventare degli ottimi leaders, approfondendo, ampliando e adeguando le diverse metodologie disponibili in letteratura per tali ricerche: metodologie che riguardano ovviamente sia l’aspetto professionale che quello della personalità.

Dall’altra parte, le stesse aziende dovrebbero assecondare e supportare tali metodologie di ricerca al fine di creare una classe dirigente all’altezza del nostro tempo, non solo in relazione alle attuali dinamiche lavorative, ma soprattutto per la loro stessa sopravvivenza: è infatti largamente dimostrato che gli stili di leadership capaci di mettere in equilibrio le esigenze organizzative con quelle della forza lavoro, sono più efficaci e longeve di altre, determinando non solo il loro successo nel presente, ma anche nel futuro, attraverso la formazione di quella cultura e quel clima organizzativo moderni e bilanciati a cui i nuovi talenti aspirano ad appartenere.

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[1] Giuseppe De Petra “Il riformismo manageriale necessario” Uno sguardo d’insieme e spunti di riflessione”

 

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Matteo Pfeiffer Bonistalli
Vivo in Danimarca e da più di 15 anni mi occupo di servizi e ospitalità. Ho iniziato ad interessarmi alle Risorse Umane con dei corsi sulla leadership, ovviamente in relazione al mio lavoro. Da un anno frequento un corso universitario con indirizzo Psicologia del Lavoro e delle Imprese.

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