What if She Owns The Table? La Manager, Pink Washing e Gender Gap

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What if She Owns The Table? La Manager, Pink Washing e Gender Gap

di Marika Lupi

Cosa succede quando a ricoprire ruoli apicali è una donna? Come riconoscere e smascherare attività di pink-washing e quali sono le leve strategiche per sanare il gender gap? A questa narrazione, oserei dire pink-rock vi accompagno passo, dopo passo, rispondendo ai quesiti nel’incipit.

Indice

Il Concetto di Pink-Washing

Il termine formato dalla crasi delle parole “pink” e “whitewashing”(imbiancare, nascondere) allude a una manovra di marketing a fini strategici che ha l’obiettivo di sposare una causa con lo scopo di attirare l’interesse dei più attenti alle tematiche sociali. Qui nel caso specifico mi riferisco all’attività di aziende o brand che declamano inclusione, gender equaliy, attribuzione di incarichi alle donne ergendo l’azienda stessa a portavoce di valori di inclusività.

L’appropriazione di linguaggi, simboli e valori femministi è funzionale al miglioramento della brand reputation. Il pink-washing agisce in maniera subdola, si tratta infatti di una retorica modernista apparentemente inclusiva che strizza l’occhio alle antiche quote rosa ed ha lo scopo di diventare per la risonanza che tale attività può avere, un vero e proprio specchietto per le allodole per quell’azienda.

Identificare il Pink-Washing

Ma come riconoscere queste iniziative… è il caso di dire…”infiocchettate” da gender equality?

Se i brand e le aziende non lavorano effettivamente con le donne, non supportano progetti e organizzazioni fondati da donne e non si preoccupano per la comunità femminile 365 giorni l’anno, allora siamo sicuramente di fronte ad un esempio di Pink-washing.

Un modo semplice per riconoscere se un brand o azienda lo sta applicando può essere quello di verificare se creano opportunità per le donne o per le minoranze di genere; cercare testimonianze di altre persone che hanno lavorato o collaborato con questo brand o azienda e constatare se davvero sono rappresentative e coerenti con ciò che affermano.

Strategie per Promuovere l’Inclusione e la Parità di Genere

L’attenzione per le pari opportunità e l’inclusione potrebbero esser perseguiti dalle aziende per soli motivi di compliance o reputazionali avviando meccanismi che rispondono solo a logiche reattive di breve termine; avere una certificazione come quella introdotta dal PNRR e disciplinato dalla Legge n. 162 del 2021[1] (Legge Gribaudo) e dalla Legge n. 234 del 2021[2] (Legge Bilancio 2022 che ha l’obiettivo di assicurare una maggiore qualità del lavoro femminile, promuovendo la trasparenza sui processi lavorativi nelle imprese, aumentando le opportunità di crescita in azienda e tutelando la maternità) è sì una valida base di partenza, che implica l’accertamento dei requisiti di gender equality per quella determinata azienda, tuttavia è comunque necessario monitorare i passi che questa farà in futuro.

Azioni Concrete per Ridurre il Gender Gap

Colmare la gender gap in un momento in cui si parla tanto di sostenibilità ESG (Environmental, Social e Governance) diventa un asset importante per le aziende sia perchè delinea la loro fisionomia e il loro credo, sia perchè crea il loro ologramma all’esterno.

Concretamente le azioni da mettere in atto possono consistere nell’analisi del gender pay gap e quindi nella verifica  delle differenze retributive provvedendo a colmarle; nel favorire dei piani di sviluppo dedicati alle donne costituendo gruppi di talenti attraverso piani di development customizzati; mentre a livello di corporation creando un sistema di nomine delle donne in posizione organizzative; predisponendo inoltre una piattaforma di reskilling per coloro che rientrano a lavoro. Contemporanemente è funzionale e strategico favorire e coltivare una cultura gender equality che miri a:

1) facilitare il role modelling, attraverso il prezioso ausilio di donne leader che diventano mentor o coach per giovani donne talentuose perché l’ispirazione è il principale driver dell’evoluzione;

2) creazioni di programmi di work-life balance perché siamo un intero e non ci sono avatar che assolvono il nostro ruolo al di fuori del lavoro.

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Riflessione Finale: Cultura e Cambiamento

Lo scopo di questo articolo è quello di stimolare un’autoanalisi su alcune idee precostituite che ci portiamo dietro e che fanno parte di una cultura passata in trasformazione.

E’ evidente l’apertura e il cambiamento rispetto a queste tematiche eppure permangono dati ancora importanti che diventano indicatori di quanta strada ancora ci sia da percorrere, è pertanto necessaria un’alfabetizzazione culturale decodificando a priori i pregiudizi di genere.

Nel 2022 le lavoratrici mamme che hanno lasciato il lavoro sono state 44.699 (e di queste, il 63% ha dichiarato difficoltà di conciliazione tra lavoro e vita privata dopo il parto): un dato in crescita del 18,7% rispetto al 2021. Se da un lato dal 2012 c’è stato un ’aumento del 3,3% (Banca d’Italia) della partecipazione femminile al mercato del lavoro, dall’altro nel medesimo lasso di tempo le dimissioni delle lavoratrici mamme sono più che raddoppiate passando da 18.454 alle attuali 44 mila (Ispettorato Nazionale del Lavoro).

Molte di loro ricoprivano ruoli organizzativi importanti. Sì perché cosa succede quando a guadagnarsi il ruolo di capo, come suona il titolo dell’articolo “SHE owns the table” è una donna? Il divario di genere resta forte nel management e nella dirigenza, c’è sempre una forbice troppo alta in questo ambito per quanto riguarda i rappresentanti dei due sessi: nell’Unione Europea sebbene le donne rappresentino la metà delle persone occupate in tutti i settori restano comunque sottorappresentate tra i dirigenti : solo il 34% secondo fonte Eurostat, in Italia invece, secondo Manageritalia, il numero delle donne in posizioni apicali all’interno di aziende private dal 2008 è aumentato del 49%. Restano tuttavia solo il 18,3% dei dirigenti.

Per implementare piani di gender equality bisogna dapprima sradicare determinati bias di genere. E’ nella cultura diffusa che bisogna estirpare certe convinzioni legate a management giurassici.

Se ci pensiamo bene il manager uomo è poco percepito come padre, mentre la donna lo è in re ipso. Gli uomini sarebbero razionali e le donne relazionali nonché titolari delle maggiori competenze morbide, valorizziamo le stesse allora, perchè il carico di soft skills di una dirigente donna può aiutare il team ad agire in modo diverso, ad attivarne il pensiero laterale.

Le donne al potere agiscono in maniera trasformativa, la leadeship femminile è una leadership-gentile guidata non solo dall’interesse al fatturato ma anche a migliorare il benessere aziendale.

Affrontiamo con consapevolezza i temi della donna che non riesce a tornare a lavoro perché ha difficoltà a conciliare gli impegni da madre, soffermiamoci sull’emancipazione che smantella il sistema patriarcale e il suo impatto sulle tasche delle donne. Come diceva Michela Murgia “questo è un sistema che si aspetta che le donne lavorino come se non avessero figli e facciano figli come se non lavorassero“, è un’affermazione di una potenza evocativa incredibile.

Quell’elefante rosa (qui un tono di pink lo ammettiamo!) nella stanza non è frutto di una realtà vision pro, lo stiamo rimpicciolendo, ma si può fare di più. Il merito e i soldi non hanno genere.

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Questo articolo è offerto da:

Marika Lupi
Consulente HR & Wellbeing Designer
Mi occupo di formazione, sviluppo e benessere aziendale. Attraverso metodologie e approcci come l'Agile e il Design Thinking ingegnerizzo e seguo i processi trasformativi di un'azienda mantenendo ferma una visone umano-centrica, creativa e flessibile.

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2 thoughts on “What if She Owns The Table? La Manager, Pink Washing e Gender Gap | Marika Lupi

  1. Inizio col dire che trovo suggestivo e anche efficace il neologismo “pink-washing”… rende bene l’idea.
    Dal momento che mi occupo di certificazioni “social” – come la ISO 30415 e la UNI PDR 125 – in cui la parità di genere è un obiettivo sicuramente importante, constato che “riconoscere se un brand o azienda lo sta applicando” attraverso “…. testimonianze di altre persone che hanno lavorato o collaborato con questo brand o azienda e constatare se [le opportunità create per le donne] davvero sono rappresentative e coerenti con ciò che affermano [le aziende]” sia non solo vero ma anche necessario
    Ma vorrei aggiungere di più: spesso le aziende non tengono i conti, cioè non si occupano dei numeri, o metriche, con cui possono “contare” i dati che servono per capire se le cose stanno andando bene o meno. Magari hanno dei CRM o database interni altamente performanti ma non sempre sono una fonte di conoscenza, monitoraggio e valutazione delle performance aziendali.
    Per questo confermo l’importanza di associare l’uso di strumenti quantitativi, stabili e permanenti, per avere degli Indicatori di performance, quelli che gli standard o prassi sopracitati suggeriscono di adottare. E parlando di Indicatori, mi riferisco a quanto viene correttamente citato nell’articolo: reskilling, retribuzione, piani di sviluppo, posizioni organizzative…
    Si potrebbe scoprire, ironia della sorte, che nel “contare” a volte sono gli uomini quelli in minoranza e quindi in “disparità” di genere, e quando succede, dalla mia esperienza con alcune aziende clienti, la maggioranza delle donne è veramente qualificata, correttamente selezionata e indubbiamente competente. Evviva.

  2. Questo articolo getta luce su un fenomeno importante, il pink-washing, sottolineando la necessità di andare oltre le semplici dichiarazioni di inclusione per raggiungere un cambiamento sostanziale nell’uguaglianza di genere nelle aziende. Una prospettiva innovativa potrebbe essere quella di incoraggiare le aziende a non solo adottare politiche formali di inclusione (oramai diventata una corsa all’idea di marketin gmigliore), ma anche a creare un ambiente di lavoro che valorizzi la diversità sotto ogni aspetto, promuovendo una cultura inclusiva che accoglie le diverse prospettive e esperienze. Questo potrebbe tradursi in iniziative come programmi di mentoring cross-gender che favoriscono lo scambio di conoscenze e la creazione di reti di supporto. Inoltre, incoraggiare l’adozione di politiche di lavoro flessibili che permettano a tutti i dipendenti di conciliare meglio lavoro e vita personale potrebbe contribuire a ridurre il gender gap e promuovere un ambiente di lavoro più equo e sostenibile. Affrontare i bias di genere richiede un impegno collettivo e una volontà di sfidare le convenzioni esistenti, ma i benefici di una cultura aziendale inclusiva e rispettosa sono inestimabili, non solo per le donne, ma per tutta l’organizzazione. La strada è ancora lunga?

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