Come l’Hardiness influisce sulla performance lavorativa
Le organizzazioni, soprattutto negli ultimi anni, hanno sempre più compreso l’importanza di investire in politiche aziendali che promuovessero il benessere dei propri dipendenti, al fine di prevenire fenomeni quali il burnout, definito come l’esito patologico di un processo stressogeno, una risposta specifica dell’individuo a seguito di un’esposizione prolungata a stressors legati all’ambiente lavorativo. Oltre ai più noti fattori di rischio di questo fenomeno, quali un eccessivo disequilibrio tra le richieste dell’ambiente e le risorse dell’individuo, il sovraccarico da lavoro, l’assenza di equità o valori contrastanti, esistono alcuni fattori, chiamati protettivi, che svolgono un ruolo di moderatore nei confronti dello sviluppo del burnout, riducendone l’incidenza, ad esempio l’hardiness.
Cos’è l’Hardiness?
Il concetto di hardiness è stato introdotto da Kosaba, Maddi e Kahn nel 1982, e si riferisce ad un insieme di tratti di personalità che agiscono come risorsa di resistenza individuale nei confronti di eventi di vita stressanti. Le componenti di questo costrutto sono tre:
- Impegno personale (commitment): i soggetti con elevato impegno personale, tendono a restare coinvolti con l’ambiente e ciò che li circonda, nonostante le situazioni di stress, trovando un significato ed un senso anche agli eventi avversi. In questo caso gli individui scelgono un approccio attivo, piuttosto che uno improntato sulla passività e sull’evitamento.
- Percezione di controllo (control): viene definito come “la tendenza a sentirsi ed agire come se si fosse influenti, piuttosto che impotenti, di fronte alle varie contingenze della vita”. Soggetti con alto senso del controllo ritengono di poter influenzare, attraverso le proprie competenze, conoscenze, ed immaginazione, gli eventi esterni, pertanto metteranno in atto strategie di coping, perlopiù rivolte alla modificazione e risoluzione del problema.
- Accettazione delle sfide (challenge): una disposizione positiva nei confronti delle sfide si associa alla credenza secondo cui il cambiamento sia un processo naturale, un’opportunità di crescita, piuttosto che una minaccia alla stabilità ed alla sicurezza. Questo approccio correla positivamente con la presenza di maggiore apertura e flessibilità.
In ambito occupazionale, varie ricerche condotte su diversi campioni di soggetti appartenenti a popolazioni che svolgono lavori differenti, tra cui autisti, infermieri, avvocati, studenti del college, hanno evidenziato il ruolo protettivo dell’hardiness, rispetto lo sviluppo di sintomi legati a malattie organiche tra cui malattie cardiovascolari, sindromi metaboliche, obesità e psichiatriche quali ansia, depressione, burnout. Oltre a svolgere un ruolo protettivo, l’hardiness promuove strategie di coping attive focalizzate sul problema, piuttosto che strategie disfunzionali come la negazione e l’evitamento del problema, e comportamenti sociali che si basano sul dare e\o ricevere assistenza e supporto e disincentivando quelli basati sulla competizione o su uno stile comunicativo autoritario.
E’ una variabile individuale innata o appresa?
Una delle ricerche più rilevanti, è quella condotta da Kosoba e Maddi tra il 1975 e il 1987 all’interno di una nota compagnia telefonica dell’epoca, la Illinois Bell Telephone (IBT). E’ stato osservato che i soggetti che descrivevano la loro infanzia caratterizzata da eventi avversi, ma allo stesso tempo supportati ed incoraggiati dai genitori e dagli insegnanti a credere nelle loro capacità e potenzialità, presentavano una migliore “hardy attitude”. Pertanto i risultati suggerirono che l’hardiness può essere appresa e ciò è stato confermato anche dagli esiti ottenuti, dopo che alcuni manager della IBT hanno frequentato un training che andasse a potenziare tale abilità. I risultati hanno evidenziato che il training non solo incrementava l’hardiness, ma anche la soddisfazione e il coinvolgimento lavorativo, la percezione del supporto sociale, mentre diminuivano i sintomi d’ansia, depressivi e la pressione sanguigna, a differenza di coloro che appartenevano al gruppo di controllo.
Perché è importante per la performance lavorativa?
Gli “hardy employees” hanno meno probabilità di sviluppare condizioni di malessere psicofisico, in quanto percepiscono le situazioni lavorative difficili come sfide (challenge) e non come minacce, sentono di essere coinvolti attivamente nelle scelte relative alle richieste lavorative e di avere il controllo necessario per manipolare e ridurre, attraverso strategie di coping proattive focalizzate perlopiù sul problem solving, le situazioni lavorative stressanti e di pensare a queste ottimisticamente. Questa tendenza ad approcciarsi positivamente ed apertamente alle esperienze, influenza la performance lavorativa, in quando gli individui mostrano una maggiore efficacia nello svolgimento di compiti difficili, assumono un ruolo di leadership, sono più creativi, evitano di infrangere le regole o problemi di condotta, percependo così una maggiore soddisfazione lavorativa.
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