L’arte del guidare le emozioni altrui: il fondamento neurologico della leadership
Dal “potere” all’abilità di far leva sulle emozioni. I leader di oggi e di domani come vere e proprie calamite limbiche
Le competenze che costituiscono una garanzia di prestazioni superiori nel ruolo di leader sono suddivisibili in tre categorie. Accanto alle abilità puramente tecniche, tra cui spicca la pianificazione, una posizione fondamentale è assunta da quelle cognitive, che spaziano dal pensiero analitico alla capacità di sviluppare una visione d’insieme. La terza categoria è rappresentata da quelle emotive, tra cui la fiducia in sé e l’arte dell’influenza. Sono queste le competenze che aumentano d’importanza salendo verso i vertici dell’azienda, dove le abilità tecniche non sono più rilevanti per discriminare prestazioni eccellenti da quelle mediocri. L’intelligenza emotiva, quindi, è un attributo specifico dei leader di successo, in quanto ne determina la performance per almeno il 90%.
Recenti studi sul funzionamento del cervello hanno messo in luce i profondi meccanismi neurologici alla base della leadership, sottolineando quanto sia rilevante non soltanto ciò che si fa, ma come lo si fa. A dimostrare l’importanza di queste dinamiche è la consapevolezza che la capacità di liberare quanto c’è di meglio in ogni individuo è determinata dal funzionamento del cosiddetto circuito aperto del sistema limbico, sede delle emozioni. A differenza di un sistema chiuso, che si autoregola e non subisce influenze esterne, come può essere quello del sistema cardiocircolatorio, la stabilità emotiva di ogni essere umano dipende dall’interazione con i propri simili e dalle emozioni che essi stanno provando.
Tuttavia, il potere di un simile meccanismo va oltre il mero trascinamento delle emozioni, in quanto mette in atto un vero e proprio fenomeno di regolazione limbica interpersonale. Ogni persona, dunque, è in grado di alterare non soltanto lo stato emotivo dei propri interlocutori, ma anche i livelli ormonali, l’attività cardiovascolare e l’efficacia del sistema immunitario. Secondo un processo di mirroring, o rispecchiamento, tanto le emozioni quanto i parametri fisiologici di due persone che interagiscono tendono a diventare simili dopo qualche minuto. Nel caso specifico di un gruppo, quanto più esso è coeso tanto maggiore è la facilità con la quale le emozioni vengono condivise tra i suoi membri. Sebbene la propagazione delle emozioni si verifichi in egual misura tra i membri del team, il contagio avviene in maniera amplificata nel caso del leader, solitamente l’individuo più emotivamente comunicativo. Agendo da vera e propria calamita limbica, egli attrae spontaneamente gli altri, trasmettendo loro il proprio stato d’animo. Simili esperienze si verificano costantemente nel contesto organizzativo, dalla riunione di lavoro al minimo scambio comunicativo, sia esso verbale o non verbale.
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La forza comunicativa delle emozioni, infatti, consente alle persone di mettere in atto uno scambio di informazioni senza la necessità che queste siano verbalizzate. Questo aspetto è dimostrato anche dal ruolo che il contagio emotivo ha svolto come sistema di segnalazione tra esseri umani primitivi, prima ancora che la parola venisse adottata dagli individui come strumento simbolico. Agendo da specchio, in quanto riflette nella squadra la propria esperienza, il leader è una fonte-chiave del tono emotivo dell’organizzazione ed è in grado di infondere in essa energia, stabilendone la rotta. Essendo quest’ultimo il fulcro del potere di influenza, i componenti del gruppo passano una quantità maggiore di tempo a osservare i suoi comportamenti e ne riescono a percepire anche i minimi cambiamenti. In tal modo non vengono solamente influenzati dalla sua figura, ma ne imitano gli atteggiamenti.
Si tratta di una modalità inconscia mediante la quale i membri della squadra dimostrano di provare fedeltà e sintonia nei confronti di chi li guida. È questa la ragione per la quale il livello di coinvolgimento in una riunione dipende fortemente dalle emozioni che il leader esprime mediante il comportamento non verbale. Tenere le mani in tasca, incrociare le braccia ed evitare lo sguardo dei partecipanti costituiscono degli indici di un ritiro emotivo che inevitabilmente (e inconsciamente) spinge i collaboratori ad adeguarvisi, rinunciando a partecipare allo scambio comunicativo mediante domande o interventi, ritenuti non graditi.
I gesti, la postura, il tono della voce e le espressioni facciali sono elementi ai quali il leader deve prestare massima attenzione, in quanto hanno un potere comunicativo molto forte. Riesce a commuovere, ispirare e attrarre gli altri, facendo sì che il proprio livello di energia positiva pervada l’intera organizzazione. Affinché il messaggio arrivi direttamente e in maniera profonda all’interlocutore, tuttavia, è necessario non soltanto trasmettere le emozioni in maniera convincente, ma essere emotivamente sinceri su ciò che si prova. La manipolazione che si può nascondere dietro uno stato d’animo simulato per i soli fini egoistici induce il gruppo a credere in minor misura nell’onestà e nella trasparenza del leader, due elementi fondamentali per legittimare emotivamente il proprio ruolo.
È importante sottolineare che non sempre la leadership emotiva coincide con il leader formalmente riconosciuto dal gruppo. Se quest’ultimo manca di credibilità, è molto probabile che i suoi collaboratori cerchino in un’altra figura l’orientamento emotivo di cui hanno bisogno, una persona nei confronti della quale nutrono stima e fiducia, riconoscendola come una vera calamita emotiva.
Per questa ragione, la facilità con la quale le emozioni della leadership si riversano sul gruppo può produrre anche conseguenze poco desiderabili quando chi lo gestisce si trova in uno stato d’animo negativo. Trapelando al suo interno arroganza o negatività provenienti dal vertice, l’ansia, la depressione e la scarsa voglia di cooperare vengono fatte proprie dai membri del team. Dalla somma totale degli scambi di sentimenti tra persone risulta l’equilibrio emotivo, che permette di influenzare positivamente o negativamente quello che l’interlocutore sente in un dato momento. Se adeguatamente sfruttato, ciò costituisce un elemento fondamentale per il benessere dell’organizzazione, in quanto la sua performance complessiva dipende fortemente dagli stati d’animo di chi vi lavora. La capacità di diffondere sentimenti positivi, quindi, è in grado di potenziare la cooperazione e la lealtà, catalizzando la creatività e l’innovazione.
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