Formare giocando: fino a quando?
La domanda contiene già la risposta!
L’utilizzo del gioco come metafora nei percorsi formativi si sta diffondendo ormai rapidamente, in alcuni casi con piena consapevolezza da parte di formatori e formati, in altri con un po’ di scetticismo (da parte di chi per la prima volta utilizza la metodologia del gioco).
Una domanda che spesso si pone un’organizzazione prima di un intervento formativo non convenzionale e che passa attraverso la metafora del gioco è: Chi sono i destinatari?
Tale domanda parte dal presupposto che una certa tipologia di risorse, per ruolo, per età anagrafica o per altro, possa essere più o meno predisposta per il gioco.
L’esperienza ci suggerisce che la problematica non è tanto identificare i corretti destinatari secondo alcuni dei criteri sopra menzionati, ma piuttosto capire se è la cultura aziendale è pronta e ricettiva di fronte a una metodologia meno convenzionale rispetto alla classica aula.
Spesso la seconda domanda (o affermazione) poi è la seguente: Ok, può andar bene per una volta!
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Tutto ciò sembra quasi voler attribuire un fisiologico limite temporale all’utilizzo del gioco nei percorsi formativi, se non addirittura la regola dell’una tantum.
Probabilmente è il segnale più eloquente di un’azienda che ancora non è pronta a valicare il confine della formazione tradizionale e sente l’esigenza di dover sottolineare l’eccezionalità dell’utilizzo di un intervento formativo effettuato secondo nuovi schemi.
Un’organizzazione non si pone il problema di fino a quando un cliente usufruirà dei propri servizi, o di quando un dipendente rassegnerà le dimissioni, se il cliente e il dipendente in oggetto sono elemento positivo per l’azienda!
Stesso ragionamento andrebbe effettuato anche per un iter formativo; se la gamification ha funzionato, per quale motivo dovrei sentire la necessità di bollarla come un processo estemporaneo e non continuativo all’interno dell’organizzazione?
Per chi si occupa di progettare un training basato sul gioco (o qualsiasi altra metafora non convenzionale) è il primo campanello d’allarme che evidenzia la resistenza al cambiamento presente all’interno della struttura.
Il primo passo è sempre lavorare sulla cultura presente nel contesto di riferimento; meglio lasciar perdere se lo scenario non è ancora adatto ad accogliere un cambiamento di paradigma e di metodo.
Piuttosto che seminare su un terreno poco fertile, meglio aspettare tempi migliori: o anche cambiare terreno senza forzare una coltivazione che non può dare i suoi frutti!