Feedback- una prospettiva per la sua applicazione

 

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Feedback: una prospettiva per la sua applicazione

di Matteo P. Bonistalli

Il termine feedback nella sua accezione “tecnica” fu utilizzato per la prima volta all’interno degli studi dei sistemi omeostatici per caratterizzare quel ritorno di informazioni utili per mantenere un certo status nonostante sollecitazioni contrarie.

Nel 1868 Maxwell pubblicò uno studio sui sistemi automatici riferendosi a feedback positivo per un sistema in continuo cambiamento, mentre feedback negativo per uno che funzionava allo stesso modo.

A metà del Novecento, negli approcci alla comunicazione della prospettiva meccanicistica, Weiner considerava il feedback come quel messaggio verbale o non verbale di ritorno dal ricevente all’emittente e che era funzione del livello di ascolto e dell’attenzione posta al messaggio ricevuto.

Nel contesto lavorativo odierno, il feedback è visto come uno strumento per migliorare i risultati necessari a raggiungere determinati obiettivi anche se è la sua interpretazione che fa la differenza tra ottenere uno svantaggio o un vantaggio per il nostro ambiente organizzativo.

Per esempio, parlando di marketing e servizio o supporto al cliente, i feedback dei consumatori servono a valutare un prodotto o una prestazione fornita: possono infatti risultare positivi a conferma che l’azienda si sta muovendo nella giusta direzione, oppure negativi e quindi fornire quegli spunti per migliorare il loro operato, programmare la formazione del personale, raggiungere nuovi clienti.

Eppure, chiunque abbia ricoperto o stia ricoprendo una posizione, per esempio, all’interno di un Customer Service sa che molti di questi feedback negativi sono sovente espressi in modo altamente conflittuale e con una certa dose di stress esperito sia dall’emittente che dall’addetto al servizio. In questi casi, ci riferiamo ai suddetti commenti come a una critica o reclamo, che porta le stesse informazioni di un feedback, ma con un effetto emotivo tendenzialmente negativo.

Laddove all’interno di un call center o di un ufficio reclami, critica e feedback sono le facce della stessa medaglia, accettate come peculiarità del lavoro svolto e fuori da ogni controllo e regola, se non quelle legate al caso, inserite in altri contesti, come per esempio all’interno di un gruppo di lavoro, in quelle interazioni e quei processi comunicativi tra manager e dipendente oppure tra collega e collega, la loro percezione può mutare radicalmente.

Non raramente il confronto per chiarire delle procedure, colmare delle lacune riguardo a un compito, spiegare un comportamento inusuale, etc.  passa attraverso la critica, impattando negativamente sia sul clima psicologico che su quello organizzativo.

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È già stato scritto altre volte cosa sia un feedback e i vantaggi che può portare, e cosa invece rappresenti la critica e le sue conseguenze, e non starò qui a elencare di nuovo tutte queste caratteristiche.

Al contrario, occorre comprendere la difficoltà esperita nel distinguere tra i due aspetti, soprattutto in contesti stressanti e dinamici, dove una comunicazione spontanea e top-down caratteristica della critica scaturisce più facilmente rispetto a quella bottom-up e programmata del feedback.

Prestare attenzione a dei dettagli che ritengo essenziali al fine di indirizzare i nostri interventi in relazione alla situazione in cui ci troviamo, sia il giusto approccio per l’utilizzo del feedback.

Il primo di questi dettagli che proporrei di considerare è la frequenza di un evento: “quante volte quella azione/errore/comportamento compare? Avviene con una certa regolarità oppure in rare occasioni?”.

La frequenza, è un aspetto fondamentale da legare a un feedback appropriato ed effettivo: un momento di distrazione oppure una serie di circostanze inaspettate che impattano su un caso specifico ed isolato, non rappresentano un’incomprensione delle procedure o nel grado di competenza di una persona.

Nonostante un ipotizzabile momento di disappunto che potrebbe percepire un collega o un responsabile davanti a tale situazione, confrontarsi per capire cosa sia andato storto risulta a mio avviso un intervento sterile, che esula dall’accezione stessa del termine feedback ma che, al contrario, potrebbe essere interpretato come una critica, soprattutto se accompagnato da emozioni negative.

Al contrario, la comparsa frequente di un errore o comportamento inappropriato potrebbero correlarsi alle lacune o alla mancanza di competenze di una persona, alla sua personalità, etc. ed intervenire con un feedback mirato e nei giusti tempi, risulta a mio avviso corretto.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è ovviamente la gravità del fatto, indipendentemente dalla frequenza: qualora abbia impattato gravemente su altre persone o sulla stessa azienda, occorre comunque astenersi dalla critica o, in certi casi, da un rimprovero per non creare un precedente a cui tutto il gruppo farà riferimento ogni volta che un caso simile e isolato comparirà nuovamente.

Minare l’autostima e il concetto di sé di un individuo, potrebbe ripercuotersi, non solo su questo ultimo, ma sugli stessi membri del gruppo, impattando sul loro comportamento e sulle loro prestazioni.

Sentire il supporto, la fiducia e la guida dei propri superiori nonché degli stessi colleghi, soprattutto in situazioni di difficoltà, è essenziale al fine di creare e mantenere un ambiente collaborativo e competitivo che sopravviva alle singole circostanze e l’utilizzo del feedback potrebbe risultare vantaggioso per risolvere suddette problematiche.

Il feedback poi, a mio parere, dovrebbe essere suddiviso in tre parti fondamentali: investigazione, confronto, risoluzione.

Investigare significa capire cosa sia successo prima di trarre ogni tipo di conclusione sulla sola base del risultato scaturito da un evento. Non basta l’azione, il comportamento o l’errore a darci un quadro completo di come si sono svolti i fatti: occorre ascoltare dalla voce dei protagonisti cosa li ha spinti ad agire in un certo modo, a prendere determinate decisioni.

Confrontare invece, è la parte in cui vengono messi sul tavolo tutti quegli aspetti che possono avere rilevanza al fine di raggiungere una determinata conclusione: possono contenere le considerazioni in merito a certe procedure e comportamenti, le norme e le regole dell’organizzazione, le stesse esperienze professionali, etc.

Una volta valutate tutte le variabili legate a quell’evento, allora si può procedere al fine di trovare una soluzione.

Risolvere significa trovare un accordo che soddisfi le parti coinvolte nonché, in molte occasioni, il gruppo di lavoro stesso. Non sarebbe infatti la prima volta che, nonostante una norma non sia stata rispettata oppure un errore sia stato ripetutamente commesso, venga successivamente scoperto che sussistevano delle ragioni specifiche e giustificabili per quella determinata scelta o veniva prodotto un nuovo, più efficace e perfino più redditizio sistema di lavoro o di comportamento.

Ovviamente, non possiamo trascurare la distanza psicologica tra le persone all’interno di un gruppo di lavoro, oppure la valutazione dell’altro in base alla riuscita del compito, nonché la stessa natura umana che influenzano le nostre scelte.

Ciò nonostante non significa che un’organizzazione, un leader e un gruppo di lavoro non si trovino d’accordo nell’adottare quei comportamenti adatti a contrastare la “critica” e le conseguenze che comporta, inserendo nella propria cultura organizzativa una specifica cultura del feedback.

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Bibliografia consigliata:

 

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Matteo Pfeiffer Bonistalli
Vivo in Danimarca e da più di 15 anni mi occupo di servizi e ospitalità. Ho iniziato ad interessarmi alle Risorse Umane con dei corsi sulla leadership, ovviamente in relazione al mio lavoro. Da un anno frequento un corso universitario con indirizzo Psicologia del Lavoro e delle Imprese.

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