Innalzamento dell’età lavorativa e l’Age Management
di Risorse Umane HR
Nella nostra società il prolungamento della vita lavorativa sembra indirizzato soprattutto per salvaguardare gli equilibri del sistema pensionistico invece che ricercarne il suo effettivo e molto più sfaccettato e polivalente potenziale.
Mentre per le politiche d’ingresso, con il contratto a tutele crescenti si è cercato di intervenire, se pur con pareri ancor molto discordanti in termini di nuova occupazione reale e che necessitano di una analisi più approfondita nel medio-lungo periodo, il dialogo rimane aperto sugli interventi necessari da adottare per quelle persone over 50 messe fuori dal mondo del lavoro. Ancora troppo poco è stato fatto ed al momento la soluzione prevalente è incentrata per lo più su una politica passiva.
Ma il reale motivo per il quale le alcune aziende allontanano le persone più anziane, se pur con motivazioni diverse, sono effettivamente dovute alle non più adeguate capacità psico-fisiche per svolgere le proprie mansioni oppure alla rigidità dei salari, ed in generale, al costo del lavoro che con l’anzianità di servizio finisce per eccedere dalla produttività?
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Secondo degli studi effettuati, sembra che il divario fra rendimento produttivo fra giovani e meno giovani, non sia così elevato come si possa pensare.
Sebbene siano innegabili alcuni effetti negativi dovuti all’età, come la diminuzione della performance fisica e della capacità di apprendimento, nello stesso paradigma configura però anche l’ipotesi che con il progredire dell’anzianità aumentino non solo i vantaggi comunemente associati all’esperienza ma anche il miglioramento delle competenze sociali e di relazione, di continuità nell’attenzione, della disponibilità ad aiutare i compagni di lavoro, dell’affidabilità complessiva ed della responsabilità individuale nonché la sensibilità agli interessi dell’impresa e della fedeltà nei suoi confronti.
Quindi, è un problema culturale oppure economico?
di Risorse Umane HR