Esserci
Walt Whitman
Il mondo si divide tra quelli che al ristorante non muovono un dito e lasciano che sia il cameriere a toglierti il piatto e quelli che invece con un gesto gentile glielo porgono aggiungendo un grazie. E’ una classificazione magari grossolana ma che ci restituisce la precisa dimensione di molte dinamiche all’interno delle Organizzazioni. Non possiamo liquidare la faccenda solo come un tema di sensibilità ed educazione perché accanto a questi aspetti ne troviamo un altro che rappresenta uno dei grandi temi che caratterizzano il funzionamento delle comunità organizzate vale a dire il rampantismo, l’esserci a tutti i costi. Premesso che non c’è nulla di patologico nell’avere delle ambizioni, qui però vorrei affrontare un aspetto che se non canalizzato rischia di produrre dei danni ed è questo che umilmente cercherò di dimostrare. Questa idea di catalogare il mondo per stereotipi ci permette in primis di assegnare le parti di questa grande commedia degli equivoci. Quelli che attraverso la spontaneità compiono delle azioni che ci appaiono rivoluzionarie come può esserlo un gesto gentile e che non hanno bisogno della visibilità per affermare i propri valori e quelli che invece attraverso gesti volutamente scostanti si fanno notare per la loro scaltrezza, esserci è per loro il vero status all’interno di ruoli ben definiti dove il cameriere è pagato per prendere il piatto e deve limitarsi a quello, anche a costo di incespicare. Approfitto del ruolo che ricopro per legittimare la mia visibilità di comodo. E la visibilità spregiudicata è probabilmente il combustibile tossico che alimenta velleitarie aspettative di carriera e che mina nel profondo la fiducia nell’altro. Di ecologico in questo scenario c’è poco o nulla e nemmeno una malcelata idea di transizione. Esserci è diventato indispensabile non come diceva anni fa Nanni Moretti in un suo riuscitissimo film (Ecce Bombo) “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?” Non esiste antidoto o vaccino contro il presenzialismo perché è talmente radicato da aver sviluppato (negli altri però) la cosiddetta immunità di gregge. Tradotto significa che gli appartenenti al gregge non cercano visibilità anzi meno si parla di loro e meglio è, e in più hanno sviluppato l’immunità nel senso che sono pienamente consapevoli che nulla toccherà loro in sorte e affrontano tutto questo con serenità mista a rassegnazione. Parliamo di una maggioranza cospicua che quasi mai ha voce in capitolo. Esserci è quindi appannaggio per pochi eletti, un’oligarchia di parte. Li riconosci lontano un miglio, hanno un olfatto sviluppatissimo, riescono a fiutare le opportunità e lo fanno sempre con grande enfasi, senza risparmiarsi mai ma soprattutto scegliendo consapevolmente di apparire sempre e comunque. Esserci diventa quindi il mezzo per raggiungere il fine. Interroghiamoci allora se esiste un confine tra opportunità e opportunismo dove l’eventuale linea di demarcazione serve a separare due modi antitetici di declinare la parola sviluppo. E’ singolare, a pensarci, che il presenzialismo tout court, rispetto a quello che viviamo e vediamo, viene associato alla figura del disturbatore. Classico esempio è il tizio che per manie di protagonismo si piazza dietro il reporter nel bel mezzo di un collegamento televisivo rendendo quella situazione surreale e imbarazzante. In Azienda questo tipo di dinamica viene invece capovolta. Il presenzialista smette di essere un disturbatore e diventa un elemento catalizzatore. Viene addirittura portato ad esempio come persona curiosa, di uno che si propone, un proattivo sui generis. Sembrerebbe quasi che il coraggio di apparire venga premiato o valorizzato a discapito di coloro i quali svolgono in maniera riservata e diligente il proprio lavoro. Non è quindi la prestazione in sè a fare la differenza ma il modo surrettizio di far apparire quello che in realtà non è. La forma vince a mani basse sulla sostanza vanificando ogni buona intenzione nell’ essere concreti e ancorati alla realtà, di apportare un valore tangibile in termini di contributo. Oltre al comportamento in sè esiste una vera e propria dimensione fisica nell’esserci che risponde a un’esigenza di prossimità. La fattispecie è del tipo io ci sono, se alzi gli occhi puoi incrociare il mio sguardo, ti seguo incondizionatamente in tutto ciò che fai o che dici, che poi lo condivida o meno può anche non essere rilevante, nel dubbio annuisco anche quando non ho capito. Questa dinamica non la scopriamo certo oggi, è antica come il mondo, la corte del sultano ad esempio è un clichè che abbiamo ampiamente conosciuto e metabolizzato. D’altronde detenere il potere potrebbe al giorno d’oggi non essere più sufficiente. Fa riflettere che il potere o se preferite potremmo declinarlo nobilmente esercizio della Leadership forzando la mano edulcorandone il significato, si consolida e si alimenta nel confronto non con le masse ma con una cerchia ristretta di sodali che finiscono col far credere e nel credere loro stessi che tutte le decisioni, anche quelle più impopolari, sono espressione di una figura illuminata, infallibile per definizione. Così facendo le scelte diventano autoreferenziali e spesso scollate da una realtà che nemmeno si conosce o peggio ancora che non si vuole vedere e che volutamente si ignora. Il tornaconto dei sodali non è la gloria eterna ma semplicemente riuscire a capitalizzare un proprio desiderata per strofinamento. Eppure, nonostante questa disamina che può apparire cruda e priva di morale ci sono diversi elementi di contesto che reputo interessanti. Il primo ci porta a fare pace con noi stessi e accettare che ci troviamo di fronte a dei veri professionisti con delle competenze importanti che se solo fossero utilizzate nel giusto modo potrebbero davvero fare la differenza in alcune scelte manageriali. Il secondo riguarda più specificatamente la famiglia HR e qui dobbiamo interrogarci su cosa potremmo fare o cosa abbiamo fatto per arginare questo fenomeno e rendere le Organizzazioni più liquide con esempi di Leadership diffusa e partecipativa. Noi siamo quelli che abbiamo speso sangue sudore e lacrime per combattere e arginare un fenomeno opposto e dalle conseguenze nefaste come l’assenteismo mentre abbiamo sdoganato l’eccessivo presenzialismo dandogli anche dignità e valore non riuscendo a capire cosa ci fosse realmente dietro quell’eccesso di visibilità. Di errori ne facciamo in continuazione ma il più grave di tutti è l’indifferenza. Io non so (ma probabilmente è un mio limite) se il nostro è ancora un ruolo di mediazione. Figure centrali che stanno lì nel mezzo come diceva Ligabue e che si sbracciano nell’affermare che anche le persone sono al centro del nostro progetto. Forse per il semplice fatto di averlo dichiarato ci siamo fatti la nomea di quelli che non si schierano, che non prendono posizione e soprattutto non decidono. Sì, mi piace pensare che non siamo più un ruolo di mediazione ma siamo scesi finalmente in trincea non per combattere un nemico dai contorni sfumati ma per passare il messaggio che noi siamo quelli che al cameriere passano il piatto sporco una volta che hanno finito di mangiare. E lo facciamo con gentilezza ma anche con una centratura di autorevolezza. Al presenzialismo di comodo preferiamo esserci quando occorre. Stare lontani, anche dai centri di potere, non pregiudica il nostro operato ma anzi lo rende addirittura meno condizionato da un confronto che è tale solo in una visione romantica della nostra mission e che ha finito per uniformarsi a modelli manageriali vetusti e del tutto inefficaci. Allora per ritornare al dubbio Amletico che si poneva Nanni Moretti forse è corretto interrogarsi se è più edificante essere notati per la propria assenza invece che per una presenza sterile e improduttiva. E’ questa la sfida, principalmente culturale, che la famiglia HR dovrà affrontare per legittimare una funzione che in conseguenza dello stare in mezzo non riesce nemmeno più a capire da quale parte arrivano gli schiaffi. E alle guance arrossate dai colpi presi preferiamo il rossore delle emozioni che ci infiammano il viso nel momento in cui riconosciamo l’altro o quando veniamo legittimati perché manchiamo realmente a qualcuno.
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