Si può gestire l’emotività sul lavoro

 

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Si può gestire l’emotività sul lavoro?

di Giorgia Raguzzi

Le aziende investono gran parte delle proprie risorse nel controllo di budget, pianificazioni e strategie, spesso tralasciando un aspetto forse più complesso da controllare ma altrettanto fondamentale: l’emotività delle persone.

Quando ci troviamo di fronte a un’emozione il margine di manovra si restringe, così come, spesso, anche i risultati sperati. E nonostante sia semplice identificare concettualmente la “gestione” dell’emotività con una buona preparazione e una capacità di controllo e soppressione delle emozioni più evidenti, nella realtà dei fatti continua a restare un ostacolo apparentemente insormontabile.

Un feedback che tocca sul personale, un’obiezione vissuta come un attacco, una paura che impedisce di farsi avanti. Non serve essere esperti del settore per immaginare l’infattibilità o i rischi che emergono nel voler gestire queste dinamiche semplicemente imparando a celare le nostre reazioni o a controllarle sistematicamente. Il fenomeno è ben più complesso.

L’emotività è, infatti, un concetto profondo, soggettivo e ampio che tocca diversi ambiti. In questa sede l’intento è di fornire una chiave di lettura per il contesto professionale tra le tante esistenti, così da migliorare le proprie capacità relazionali in funzione della quotidianità.

Ripensare il quotidiano

Ci viene naturale affrontare un problema nel momento in cui risulta evidente, magari a fronte di un fallimento o, più frequentemente, ascoltando ciò che ci dicono le persone intorno a noi, forse senza nemmeno renderci pienamente conto di quanto prezioso sia il feedback ricevuto. Tuttavia, questa modalità spesso impedisce di affrontare la questione da una prospettiva diversa: l’ideale sarebbe attuare un costante lavoro su noi stessi a prescindere dal singolo evento, coltivando consapevolezza e crescita anche in assenza di segnali evidenti.

Prima di affrontare il capitolo “gestione” sarebbe utile definire meglio l’emotività mettendo in moto un piccolo cambio di paradigma nella nostra mente e nella quotidianità. È infatti pratica comune gestire le emozioni escludendole dal campo di analisi e azione, negandone l’importanza oppure considerandole impulsi irrazionali contrapposti alla “fidata” ma sfuggente ragione, e quindi fuori dalla nostra capacità di influenza.

Partiamo dal primo punto. In una dinamica relazionale vanno anzitutto valutati tutti gli elementi che possono influire sul risultato: gli interlocutori, il tipo di interdipendenza che li contraddistingue, il contesto in cui comunicano, eventuali vincoli, persone coinvolte e molto altro. Più si è coscienti dei diversi fattori che influenzeranno l’esito di un dialogo o di un evento più si potrà ipotizzare la gestione degli scenari possibili e quindi valutare le diverse strade percorribili. L’emotività è evidentemente un fattore da integrare in questa valutazione nonché innesco di un primo grande ostacolo.

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Più che un nemico, un segnale

Quando ci si trova a dover affrontare la propria emotività possono scaturire reazioni di fuga e negazione per auto-protezione, condizionamento sociale o altro. Questo è, tuttavia, un limite alla gestione dell’emotività: senza un’accettazione e comprensione della sua natura sarà molto più difficile valutarne i parametri di miglioramento.

Lo stesso vale per il caso in cui l’emotività viene automaticamente valutata come un fenomeno incontrollabile. Che siano dettami culturali o, di nuovo, un’incapacità all’autoanalisi, il risultato è nuovamente arrendersi senza agire.

L’invito è quindi di non considerare l’emotività nelle sue accezioni più estreme bensì come un segnale per leggere meglio noi stessi e il contesto. E, di conseguenza, un segnale da accogliere e indagare.

Come gestire l’emotività

Gestire le emozioni non significa controllare o reprimere degli ostacoli irrazionali, ma indica una maggiore presa di coscienza sul nostro funzionamento e sull’influenza che il nostro comportamento ha nella realtà. Ad esempio, la rabbia può suggerire un ostacolo sulla nostra strada; la tristezza, una perdita. Occorre quindi indagarle, eventualmente con l’aiuto di un professionista, per scoprire da che cosa derivano, quando emergono, cosa le scatena. Conoscere meglio noi stessi e gli altri fino al punto di prevederle, nei limiti del possibile, così da prepararci a uno scambio relazionale e ai suoi diversi scenari con differenti strategie.

In conclusione, la gestione dell’emotività non è solo una questione di controllo, ma è una strategia per migliorare la propria capacità di preparazione e per intraprendere un viaggio di consapevolezza di sé.

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Questo articolo è offerto da:

Giorgia Raguzzi
Vice Direttore dell’Accademia di Comunicazione Strategica
Laureata in Teorie e Metodi per la Comunicazione all'Università Statale di Milano, si occupa di formazione e consulenza con una preparazione sulla metodologia brevettata dall’Accademia che declina negli ambiti di specializzazione come la selezione del personale.

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Sintesi dell’articolo

L’articolo riflette sul ruolo cruciale dell’emotività nel contesto lavorativo, spesso trascurato a favore di aspetti più razionali come budget e strategie. Contrariamente all’idea comune, la gestione emotiva non implica la repressione delle emozioni, ma la loro comprensione e integrazione nelle dinamiche quotidiane. Le emozioni non sono ostacoli, ma segnali che ci aiutano a leggere meglio noi stessi e il contesto.

L’autrice propone un cambio di paradigma: affrontare l’emotività non solo come reazione agli eventi critici, ma come parte di un lavoro continuo su sé stessi, mirato alla consapevolezza e alla preparazione. Il riconoscimento del valore delle emozioni permette relazioni più sane, scelte più lucide e una migliore qualità del lavoro. La gestione emotiva diventa così una soft skill fondamentale.

Quiz a Risposta Breve

Dopo aver letto l’articolo, prova a rispondere a questa domande:

  1. Qual è uno degli errori comuni delle aziende nella gestione dei lavoratori? Tralasciare l’importanza dell’emotività a favore del controllo di budget e strategie.

  2. Cosa rappresentano le emozioni secondo l’autrice? Segnali utili per comprendere meglio sé stessi e il contesto.

  3. Qual è l’approccio sbagliato più diffuso alla gestione emotiva? Cercare di sopprimere o nascondere le emozioni.

  4. Cosa suggerisce l’autrice per migliorare la gestione emotiva? Coltivare consapevolezza e riflettere costantemente sul proprio funzionamento emotivo.

  5. Perché è utile considerare l’emotività in una relazione lavorativa? Per valutare meglio gli scenari possibili e prepararsi alle diverse dinamiche.

  6. In che modo può aiutare un professionista nella gestione emotiva? Aiuta a comprendere l’origine delle emozioni e a gestirle con strategie più efficaci.

Glossario dei concetti chiave

  1. Emotività La componente emotiva dell’essere umano, che influenza pensieri, decisioni e relazioni. Nell’articolo è vista come un fattore da comprendere, non reprimere.

  2. Consapevolezza La capacità di essere coscienti delle proprie emozioni, pensieri e comportamenti. Fondamentale per la gestione emotiva.

  3. Gestione emotiva L’abilità di riconoscere, comprendere e reagire in modo equilibrato alle emozioni, senza reprimerle.

  4. Soft skills Competenze relazionali e personali, come la comunicazione e l’intelligenza emotiva, essenziali nel mondo del lavoro.

  5. Repressione emotiva Tentativo di nascondere o ignorare le emozioni. Presentata come una strategia inefficace.

  6. Autoanalisi L’osservazione e comprensione di sé stessi per migliorare le proprie reazioni e comportamenti.

  7. Contesto relazionale L’ambiente sociale e comunicativo in cui avvengono le interazioni lavorative, condizionato anche dalle emozioni.

  8. Segnale emotivo Informazione fornita da un’emozione su uno stato interno o su una situazione esterna che richiede attenzione.

  9. Cambio di paradigma Modifica del modo in cui si affrontano i problemi, in questo caso passando da una reazione agli eventi a una preparazione costante.

  10. Preparazione relazionale L’attitudine a prevedere e gestire le interazioni interpersonali in modo consapevole, integrando anche la dimensione emotiva.

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