L’effetto Janus dell’internal marketing
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Dipendenti felici aumentano il successo dell’azienda e rafforzano il marchio.
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Le politiche retributive non sono solo un costo.
Capita spesso, purtroppo, che le risorse umane siano viste solamente come un costo.
Il solo fatto di chiamarle “Risorse Umane” dimenticando il vecchio termine “Personale”, secondo me, avvicina il loro trattamento a quello di qualsiasi altre “Risorse”, siano esse materiali, finanziarie, od altre; significa parificare in qualche modo le persone ad un qualsiasi altro fattore produttivo.
Smettendo di fare i romantici e passando a questioni che oggi vengono ritenute “più serie”, lasciando quindi la filosofia della terminologia e passando al concreto, per la gestione del personale ritengo sia di assoluta importanza costruire un’adeguata politica retributiva. Questo perché sono sinceramente convinto che investire nelle persone sia redditivo per l’azienda.
Vero è che il costo per il personale, la famosa voce di bilancio “Salari e stipendi”, è un costo altamente delicato da trattare in quanto è fisso verso il basso ma flessibile verso l’alto: una situazione che probabilmente nessuno vorrebbe gestire dovendo rispondere ad un superiore nel momento in cui vengono chiesti dei risultati di bilancio.
Ma le politiche retributive non significano solo soldi, possono avere svariate forme di espressione tramite la loro composizione e la loro dinamica, vanno gestite a seconda del dipendente che si ha di fronte (è un campione? È un talento? È un ramo secco?), fermo restando che devono perseguire gli obiettivi di legittimità, economicità, competitività esterna, equità interna e la sollecitazione ed il riconoscimento dei contributi individuali.
L’importante è ricordare che le politiche retributive hanno un impatto diretto sui processi di engagement, di retention e di employer branding, concorrendo quindi a determinare il clima aziendale.
Ognuno di questi punti merita di essere trattato singolarmente; in questa sede, il mio intento, è dunque solo quello di far percepire come la soddisfazione interna influisca sull’andamento di un’azienda o di un’organizzazione in generale, capendo che se un marchio gode di una determinata reputazione (buona o cattiva che sia), dipende anche da come tratta i propri dipendenti.
Chiaramente, la promessa del marchio di un’azienda ed il suo carattere di marca devono essere collegati e compatibili. C’è però un fenomeno nelle organizzazioni che possono essere definite “Effetto di Janus”. Janus era il dio romano dell’iniziazione e della chiusura. Come tale, è stato visto come un dio della porta e raffigurato con due facce: una di fronte ed una di retro.
L’effetto Janus nelle organizzazioni rappresenta una proposta semplice ma profonda: il volto che un’azienda presenta ai suoi clienti ed al pubblico in generale è in gran parte riflesso del volto che presenta ai propri dipendenti. Così, il modo in cui i clienti vedono l’azienda viene notevolmente migliorato o peggiorato dal modo in cui i dipendenti vedono e vivono l’azienda stessa dall’interno, facendone trasparire una data un’immagine all’esterno.
La forza di un marchio è costruita sia attraverso la comunicazione del marchio che l’esperienza con lo stesso. Il rafforzamento o l’indebolimento del marchio dipendono quindi da fattori di differenziazione, vale a dire la preferenza di marca e la fedeltà al brand, che sono formati dall’esperienza del cliente con il marchio ed influenzati dai driver dell’internal branding.
In un mercato oramai sempre più globalizzato e standard, specie in un settore caratterizzato da parità di tecnologie e livelli di costo e qualità sostanzialmente equivalenti, l’unico modo per vincere la sfida contro i propri competitors è quello generare valore aggiunto sull’unica variabile che può fare la differenza: le persone.
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