La disoccupazione ci ha dato un bel mestiere…
di Together
Pensieri d’infanzia.
“Ricordo mio padre tornare a casa a tarda ora… Un uomo serio, rispettabile, dai capelli nero corvino e barba folta, vestito in un lungo loden, con cappello a tesa larga e borsello in pelle scura. Muto.
Ogni sera, appendeva il soprabito nell’armadio. Toglieva le scarpe, slacciandole con cura. Posava cappello e borsello sul dondolo della camera da letto e – dopo essersi cambiato – si dirigeva in cucina per preparare la cena. Dopo una lunga giornata di lavoro. In banca.
Mia madre, libero professionista, strapazzata tra visite a domicilio, vaccini, mutua e studio privato, passava come il vento e come il vento fuggiva, con il telefono caldo di chiamate, influenze stagionali, gravidanze, parti, senilità e infantilità da gestire. Ogni tappa dell’esistenza richiede un buon medico.
Li accomunava un fare serio. Autorevole. Silenzioso. Grigio e nero. Un aspetto da loden scuro e lungo. Da borsello porta-documenti.
Molto impegnati nelle loro occupazioni lavorative, il mio occhio di bambina li vedeva come figure genitoriali vecchio stampo… distanti, certamente temute, poco amichevoli, con cui non conveniva sgarrare. Figure familiari da guardare con rispetto e… sospetto. Il mondo, a cinque anni, è colorato, assolato, roboante, rotolante, scintillante, non ci sono soprabiti ma lentiggini e trecce rosse che si diramano il linea orizzontale. Nessun cappello nero, ma calze a righe, bucate.
Al tavolo della cena non si poteva ridere a crepapelle. Si stava composti. Si mangiava in silenzio, con il braccio sul tavolo. Si chiedeva della giornata trascorsa, con riservatezza, senza esagerare. Il segreto professionale incombeva sulle nostre teste. Di lavoro si può parlare solo volando alti!
E alle nove, tutti a letto!!!!
Il giorno seguente albeggiava nel solito rigore, accompagnato dalle stesse grandi sicurezze e da pochi colpi di scena, snocciolato in routine prestabilite.
Quelle stesse persone, che un tempo vedevamo distanti e autoritarie hanno, con il tempo, mollato gli ormeggi, mostrando un volto dolce, amichevole, complice. L’epoca delle grandi responsabilità è terminato! Ci si può concedere – finalmente – la pensione, il meritato riposo, i sorrisi arretrati, una certa qual abbondante lassità con i nipoti, là dove un tempo trovavi visi duri e rigidi intenti educativi”.
Oggi i grandi siamo noi, ma il mondo – nel frattempo – è molto cambiato.
La giacca e la cravatta hanno lasciato spazio a “maniche larghe”, a sorrisi e aperture. Si è tutti un po’ più vicini e un po’ più amici. Il “lei” si è tramutato in “tu”; le formalità, per il gentil-sesso, vengono accolte con un brivido lungo la schiena: dimostrerò forse più anni?!?
Accanto a cotanto calore umano, sono venute meno le sicurezze di un tempo: chiunque si sia trovato nella spiacevole situazione di cercare lavoro dopo il 2008, saprà bene quanto il viaggio di Frodo Baggins per distruggere l’anello fosse, a confronto, una passeggiata sul lungomare, al chiaro di luna, con una bottiglia di Champagne Clicquot in una mano e la seconda occupata a intrecciarsi con quella della persona amata.
Cercare lavoro dopo il 2008 – in Italia – è stata, per molti, una impresa eroica, con risvolti impossibili.
Ci siamo così abituati al nulla cosmico: laureati in facoltà umanistiche si sono domandati a lungo chi mai avesse preso possesso di loro al momento della scelta del percorso universitario e professionale. Ingegneri ce n’erano fin troppi. Dopo Aristotele la fisica non serviva più. La matematica era puro virtuosismo numerico. Dopo il crollo del Sacro Romano Impero e delle piramidi egiziane gli architetti potevano espatriare su Marte. I medici esistevano solo su E.R., ma in prima linea!
Dal 2008 a oggi le balle di fieno rotolanti fuori dai saloon nel far west descrivevano un mondo più animato di quello che un giovane in età lavorativa si trovava a fronteggiare.
Cosa è capitato nelle testoline delle nuove leve? Difficile dirlo con esattezza. Impossibile tracciare delle massime assolute.
… Ma con l’ingresso nel mondo dei grandi, molte voci si sono alzate: stop al tempo pieno! Più flessibilità! Diritto al lavoro da casa! Diritto al non lavoro! Diritto alla libertà! Abbasso la schiavitù!
La disoccupazione ci ha dato un bel mestiere!, per citarne una!
E adesso che di lavoro si parla e che di lavoro si fa, questo assume l’oscuro peso di un macigno sulle spalle.
Addio rigore, addio cappello a tesa larga e telefono caldo di chiamate… l’inno alla vita si leva alto nel cielo sotto la voce… SMAAAAART!!!!!!
“Quando gli dei vogliono punirci esaudiscono i nostri desideri”… ebbene sì! Chi a lungo voleva un lavoro, deve poi lavorare… che beffa del destino! Che colpo basso! Il ricordo dei nostri genitori si fa più grigio e lo guardo più triste, mentre infiliamo le calze a righe bucate.