Cosa ci fa male al lavoro?
di Maria De Gaetano
Qualsiasi essere umano prima o poi deve fare i conti con un rifiuto, sul piano personale, o lavorativo. Ma basta un po’ di attenzione in più per rendere una pillola molto meno “amara”. E’ infatti sempre meglio per il benessere di chi abbiamo di fronte un rifiuto aperto piuttosto che ignorare la persona che incasserà il nostro “No”.
Un risvolto particolarmente utile e concreto ha questa teoria nell’ambito del trattamento dei candidati durante i processi di selezione ad esempio di un’azienda. Come segnalano infatti gli psicologi dell’ Università di Basilea e della Purdue University all’interno del Giornale Ufficiale di Personalità e Psicologia sociale, gli individui sono molto sensibili anche a segni piccolissimi di esclusione sociale, in quanto ciò minaccia seriamente i bisogni umani fondamentali quali le esigenze di autostima, di appartenenza, di riconoscimento sociale.
Data la mancanza di un numero consistente di studi sull’argomento, questi studiosi si sono dedicati a ricercare quali fattori possono “migliorare” e attenuare le emozioni negative successive al rifiuto e all’isolamento sociale, indagando su ciò che può rendere queste sensazioni più sopportabili.
Qualsiasi forma di riconoscimento aiuta.
Tra gli esperimenti svolti per appurare le ipotesi appena descritte, i ricercatori hanno collocato alcuni partecipanti all’interno di un gioco virtuale che avesse come scopo quello di lanciarsi una palla.
E in seguito analizzato la risposta psicosomatica di questi ultimi quando non ricevevano più alcun passaggio dai compagni sperimentando dunque una condizione di isolamento sociale più brutale.
Un altro esperimento fu quello di ricreare una situazione di simulazione di ricerca di un appartamento, in cui erano ammesse e applicate di fatto risposte minime positive e neutre, accanto al rifiuto. Ciò ha dunque creato, seppur piccolo, uno spazio di attenzione all’individuo.
Ebbene, in questi e in altre decine di esperimenti volti a valutare il “peso” del rifiuto sociale, è emerso che in presenza anche di una piccola indicazione di attenzione o di segnale di integrazione, la quantità di angoscia sociale si riduceva in modo significativo.
I risvolti.
Suddette ricerche hanno arricchito il mondo della psicologia del lavoro, in quanto stimolano i capi dirigenziali e gli imprenditori a comunicare spesso con i dipendenti, anche in caso di situazioni spiacevoli, delucidando i motivi di eventuali critiche o lamentele, piuttosto che il silenzio totale.
Ma ha anche aperto uno spiraglio in più nell’ambito di uno dei più grandi Sos del nostro tempo: quello del bullismo e della violenza psicologica nella vita e nei luoghi di lavoro. Il fardello dell’indifferenza può infatti essere valutato in quanto ulteriore arma contro la vittima, o d’altra parte, come fattore di sviluppo dell’atteggiamento del “bullo” stesso.
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