Il conflitto nei team, problema o opportunità?

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Il conflitto nei team, problema o opportunità?

di Eugenio Vignali

L’interdipendenza è uno degli stressor di tutte le relazioni, formali e informali, ad ogni livello, fra persone ma anche fra gruppi o unità organizzative.

In generale, le relazioni che si instaurano fra i membri dei team presentano un livello di interdipendenza maggiore rispetto alle normali interazioni fra colleghi e nei gruppi di lavoro si tende inoltre a creare un clima di cameratismo e familiarità, stimolato anche attraverso specifiche attività di team building o team coaching, in quanto considerato un fattore di miglioramento della performance collettiva.

La duplice presenza di interdipendenza e familiarità aumenta però il rischio di conflitto, come avviene nei normali rapporti più stretti, per la tendenza a mettere la relazione davanti al ruolo e a interpretare le richieste formali da una prospettiva personalistica.

Le basilari aspettative di fiducia, rispetto, riconoscimento, ascolto, disponibilità, ecc., sono amplificate nei membri del team se confrontate con gli altri colleghi all’esterno del gruppo e il loro mancato soddisfacimento è spesso vissuto come una mancanza nei propri confronti piuttosto che come una cattiva forma di gestione del gruppo e delle relazioni interne dovuta ad incapacità del leader o a inefficienza dei processi.

Queste ultime interpretazioni normalmente produrrebbero un conflitto di ruolo, ma non di tipo psicologico o affettivo, come invece avviene nei gruppi.

Anche il conflitto di personalità assume una rilevanza maggiore in un insieme chiuso di individui nel quale si possono generare dinamiche legate all’affermazione individuale, ai bisogni di inclusione e riconoscimento, gelosie, confronti, proiezioni sul leader o sui colleghi.

Per questi motivi la distinzione fra i conflitti legati al ruolo e quelli di tipo relazionale o affettivo è più sfumata all’interno di un team rispetto alle situazioni che si possono presentare normalmente nel resto dell’organizzazione.

Il loro riconoscimento e la loro gestione richiedono grande abilità e competenza da parte dei manager e dei team leader, soprattutto quando si vuole utilizzare il conflitto come uno strumento di miglioramento della performance, secondo un approccio diffuso nella cultura organizzativa, che va però correttamente compreso e applicato, dal momento che riguarda una sola delle due tipologie di scontro.

I conflitti personali sono infatti nella maggior parte dei casi dannosi per i protagonisti e per il team (passando facilmente da conflitto affettivo a conflitto di ruolo) e vanno dunque prevenuti, monitorando il clima interno del gruppo, e prontamente gestiti per eliminarne le cause e riportare la relazione fra le parti a un livello più armonioso.

Gli effetti negativi di un conflitto affettivo sull’individuo (stress, disturbi psico-fisici, somatizzazione, evitamento, assenteismo, sviluppo di comportamenti dannosi, ecc.) sono maggiormente disfunzionali all’interno di un gruppo non soltanto per la maggior interdipendenza ma anche per la tendenza di ogni sistema chiuso a ripristinare l’equilibrio interno, che nel caso di specie può portare a un riassetto nelle interazioni fra i membri del team non sempre funzionale alla performance collettiva.

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Ad esempio, può accadere che si formino delle fazioni che prendono la parte dell’uno o dell’altro litigante, o che vi sia un intervento di autorità del leader a difesa di uno dei due, percepito dagli altri come l’espressione di una preferenza nei suoi confronti, o, ancora, più semplicemente, che i presenti si schierino con la parte apparentemente soccombente, per una naturale tendenza alla difesa del più debole. Reazioni che hanno lo scopo di ridurre o eliminare la tensione interna al gruppo ma non ne affrontano le cause e dunque non contribuiscono a ripristinare le condizioni ottimali di un’efficace comunicazione e collaborazione.

Il confronto costruttivo sulle differenze, sia personali sia di approccio all’attività, va invece incoraggiato, aiutando i protagonisti a superare il timore che possa trasformarsi in un conflitto personale e subire una pericolosa escalation guastando il rapporto con la controparte e provocando un giudizio negativo da parte dal resto del gruppo.

Per trasformare le differenze di idee, obiettivi, visione, esperienza (differenze fisiologiche che non costituiscono di per sé un conflitto, ma possono esserne la causa) in uno stimolo a migliorare la qualità del processo decisionale e della performance è necessario un approccio positivo (conflict-positive) da parte del team leader, o di un ruolo esterno , a ciò incaricato, il quale utilizzerà specifiche tecniche e strumenti di conflict coaching e team coaching.

Ruoli, funzioni, abilità, competenze e strumenti specificamente deputati alla gestione e alla trasformazione di queste situazioni di crisi nelle relazioni interpersonali devono essere inseriti in un quadro di organizzazione e people management unitario e coerente, saldamente ancorato ai valori e alla cultura dell’organizzazione, un Sistema Integrato di Gestione dei Conflitti la cui implementazione costituisce il modo migliore per diminuire i costi diretti e indiretti dei conflitti, da un lato, e sfruttare il loro potenziale di sviluppo della performance individuale e organizzativa dall’altro.

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Eugenio Vignali
Consulente di direzione, esperto di conflict management, mediatore dei conflitti in azienda e delle controversie civili e commerciali, mi sono sempre più focalizzato sulle relazioni informali all'interno delle organizzazioni perché nella maggior parte dei casi si è dimostrato il vero problema gestionale o organizzativo.

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