Quando la Comunicazione (manageriale) è efficace?
Il colloquio direzionale e le domande nell’HR Management
Con la definizione di colloquio individuale direzionale mi riferisco a quegli incontri periodici fondamentali nella relazione manager/collaboratore dove, ciclicamente, ci si dovrebbe sedere e guardarsi in faccia per approfondire, capire, fare il punto della situazione, definire o ridefinire gli obiettivi, affrontare e risolvere criticità, negoziare cambiamenti comportamentali e organizzativi e, più in generale, per “prendersi cura” delle persone dando loro voce e ascolto. Anche per incazzarsi, certo, nei tempi e nei modi opportuni, proprio come in un incontro strutturato.
Il colloquio direzionale sarebbe certo una manna dal cielo per le aziende. Risolverebbe gran parte dei conflitti interni e migliorerebbe il lavoro, le relazioni e la cultura organizzativa se venisse usato con intelligenza, metodo e continuità. Ho usato volutamente il condizionale perché questa metodologia è ancora ben lontana dalle etichette e dalle consuetudini manageriali nelle piccole e medie imprese. Qual è il motivo di questa trascuratezza? Semplice: zone di comodo ed egoismi, fondamentalmente.
Oggi ci troviamo di fronte ad una dimensione duplice: da un lato, la sempre scintillante cultura delle Risorse Umane con tutto ciò che distilla in termini di pubblicistica, teorie e metodologie; dall’altro, la desolante realtà delle relazioni umane che in talune aziende è ancora saldamente e diffusamente radicalizzata nei vetusti schemi del “qui si fa come dico io” “e del “di cosa dovremmo poi parlare”.
Il colloquio direzionale – quello che già Giorgio Nardone definiva colloquio strategico (1) – è una sintesi di alcune pratiche dell’HRM (Human Resources Management) e la rhêtorikề téchnê, cioè l’arte della retorica e del dialogo. Si badi però: strategico non va letto in un’accezione strumentale o manipolatoria, bensì in termini squisitamente metodologici. Metodologici – ben inteso – per il manager che deve saper guidare il colloquio, rendersi efficace e concordare con l’interlocutore il raggiungimento di uno o più obiettivi di cambiamento. Ma a dirla tutta, il colloquio va ben oltre il perseguimento di una finalità specifica. Esso infatti costituisce un fine a sè stante, indipendentemente dagli obiettivi concordati tra le parti, poiché inerisce naturalmente il coinvolgimento (engagement) e il riconoscimento delle persone.
Nel colloquio direzionale spiccano nella loro autorevolezza le domande. Ogni manager è quindi chiamato a presidiarle, conoscerle ed utilizzarle al meglio.
La loro formulazione puntuale è un esercizio retorico molto complesso, la cui efficacia si rivela unicamente attraverso la pratica costante. Come la leadership, ad esempio, o come qualsiasi altra abilità cosiddetta trasversale, anche l’utilizzo di questa modalità comunicativa richiede propedeuticamente un cambiamento di mentalità e di approccio. Ed è proprio l’approccio la questione cruciale, perché nessuno di noi è “programmato” per una comunicazione dialogica o majeutica in forma di domande, ma quasi esclusivamente nelle forme prescrittive o proscrittive che muovono da un solo ed esclusivo punto di vista, “il nostro”. Siamo tutti molto bravi a “puntare il dito” e ad utilizzare la formula del “tu devi” in tutte le sue nuances stilistiche. In particolar modo in azienda.
Ma se le domande – come abbiamo stabilito – posseggono questa inesauribile vis relazionale, poste sotto un’altra luce, si collocano invece al confine tra l’essere uno strumento metodologico della buona prassi comunicativa e la manipolazione più retriva. Bisogna stare quindi sempre molto attenti a non oltrepassare quel confine. Elias Canetti nella sua opera monumentale Massa e potere, scriveva: << porre una domanda significa sempre agire per penetrare. Quando la domanda viene usata quale mezzo di potere, essa affonda come un coltello nel corpo dell’interrogato […] La tirannide più pressante è quella che si permette di porre le più pressanti domande […] >>.(2) È bene che un manager lo tenga sempre a mente per evitare queste derive. L’obiettivo, non lo si dimentichi mai, è irrevocabilmente il miglioramento organizzativo e delle relazioni, passando da sé stessi prima e dai collaboratori poi.
Torniamo per un momento alla maieutica. Dal greco maieutikè (téchnê), propriamente, “arte ostetrica”, “ostetricia” derivato di maia, “mamma, levatrice”. Ancora oggi la maieutica designa il più grande magistero socratico; proprio quel Socrate “narrato” da Platone nei Dialoghi. Non mi dilungherò oltre, ma è dalla lettura dei dialoghi che bisognerebbe prendere le mosse per coglierne la portata. Tutto ciò esula apparentemente dall’alveo delle moderne concezioni sul management, tuttavia è qui che un manager – attraverso la formazione – deve o dovrebbe approdare e compiersi sul piano delle competenze comunicative e dell’intelligenza emotiva.
Dunque, per me le domande posseggono quattro funzioni fondamentali:
- capire
- coinvolgere
- provocare o stimolare il ragionamento
- raggiungere e sancire un accordo
Inoltre, possono essere classificate in svariate tipologie. Ne distinguerò tre tra queste.
Primo tipo. Le domande di indagine. Il loro obiettivo è comprendere, approfondire, ascoltare ciò che ha da dirci l’interlocutore. Questo tipo di domande, sebbene sembri il più facile da formulare, ha in sè una precisa connotazione metodologica, in quanto richiede un ordine mentale severo, laddove le contingenze e gli eventi lo smarrirebbero presto. La parte inziale di ogni colloquio direzionale dovrà essere portata avanti sempre dall’indagine prim’ancora di qualsiasi altra formula.
Secondo tipo. Le domande di stimolo. Sono le più complesse nella loro formulazione perché richiedono una grande padronanza della comunicazione e chiarezza di obiettivi. Sono domande che hanno una natura “provocatoria”. Il loro fine è alimentare e pungolare il ragionamento dell’interlocutore e talvolta farlo mettere in discussione. La maieutica risiede qui.
In ultima analisi troviamo le domande di accordo, quelle cioè che sanciscono retoricamente un patto, un ancoraggio degli intenti.
È bene sottolineare che le domande, come la maieutica, vantano credito anche in altri ambiti organizzativi, come ad esempio nel colloquio di selezione, ma – in particolar modo – la loro efficacia è apprezzabile soprattutto nella vendita consulenziale. Sono sempre stato convinto che un bravo manager, cioè quel leader abile nella gestione delle relazioni con i cosiddetti clienti interni, possa essere tecnicamente anche un bravo consulente con i clienti tout court. È qui, nella comunicazione efficace, che si trova infatti il punto d’intersezione tra le macro-aree delle Risorse Umane e del Commerciale. Quando la comunicazione funziona, funziona ovunque.
Ma questa…è un’altra storia…
Riferimenti bibliografici
2 Elias Canetti, “Massa e potere”, ed. Adelphi, Milano, 1981
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