comunicazione efficace nel supporto alla ricerca di lavoro

 

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La comunicazione efficace nel supporto alla ricerca di lavoro

di Rovena Bronzi

Nel supporto alla ricerca di lavoro, il modo in cui l’operatore interagisce con l’utente, attraverso la comunicazione, è fondamentale, così come è fondamentale che lo faccia in modo efficace.

Ma cosa significa?

Vediamolo a partire dall’analisi di 4 teorie che offrono un importante contributo circa la comunicazione efficace, anche nell’ambito del supporto alla ricerca di lavoro:

1. Il modello di Shannon e Weaver

Il modello di Shannon e Weaver illustra schematicamente quello che è il flusso della comunicazione: l’emittente (chi parla) codifica l’informazione e la trasmette attraverso vari canali; il destinatario (chi ascolta) la riceve e la decodifica per coglierne il contenuto e il significato. A questo punto, a sua volta, quest’ultimo può decidere se chiudere la comunicazione oppure trasmettere un feedback di avvenuta ricezione e comprensione (invertendo di fatto i ruoli).

Chiudere il flusso della comunicazione senza un giustificato motivo (quale per esempio, una situazione di emergenza che implica il dover passare il più velocemente possibile all’azione) può portare a fraintendimenti e incomprensioni reciproche a causa di una serie di elementi di disturbo (psicologici, linguistici, culturali, fisici, ecc.) che rendono inefficace e disfunzionale l’intero flusso della comunicazione, alterandolo o interrompendone il corretto decorso.

Quindi, i primi due aspetti che rendono efficace la comunicazione sono:

  1. la chiarezza, la trasparenza e la scelta di un canale idoneo ad ottimizzare il flusso della comunicazione;
  2. il feedback: dare e richiedere dei feedback frequenti, attraverso per esempio riformulazioni (se ho capito giusto.., quindi lei mi sta dicendo che.., in altre parole lei pensa che…è corretto?) ed osservazioni attente della comunicazione paralinguistica e non verbale (gesti, sguardi, mimica facciale, postura e movimenti del corpo, silenzi, intensità, tono e volume della voce, variazioni sonore, produzione di suoni indistinti quali “ehm”, ecc.), aiuta a evitare che ci siano fraintendimenti e incomprensioni reciproche tra utente e operatore.

2. La teoria “delle 4 orecchie” di Schulz Von Thun

La teoria di Schulz Von Thun ci fa capire che codificare/decodificare in modo idoneo delle informazioni e/o dare un feedback non basta, bisogna anche saper “ascoltare attivamente” e saper “metacomunicare”: l’ascolto attivo è dedizione all’altro, è interesse, è partecipazione; la metacomunicazione è la capacità di cogliere le 4 dimensioni fondamentali della comunicazione e di conseguenza la capacità di aprire le “4 orecchie della comunicazione” per poter cogliere efficacemente nel messaggio del nostro interlocutore:

  • contenuto: eventi, fatti, informazioni che ci sta raccontando;
  • rivelazione di sé: quello che ci sta rivelando di sé, come vede e percepisce sé stesso;
  • relazione: come sta vivendo la relazione e cosa sta pensando realmente della persona con cui sta interagendo;
  • appello: che cosa ci sta realmente chiedendo, quali sono le sue aspettative, i suoi desideri, i suoi bisogni.

Anche in questo caso, la presenza di vari elementi di disturbo può alterare il significato e quindi il modo in cui chi ascolta riceve l’informazione: tra questi, per esempio, il modo in cui lo stesso destinatario del messaggio vede e percepisce sé stesso, la relazione e l’altro.

Quindi chi supporta una persona nella ricerca di un lavoro, non deve limitarsi a comunicare, ma:

  1. deve saper “ascoltare attivamente” sia i messaggi verbali che quelli paralinguistici e non verbali che l’utente gli trasmette;
  2. deve saper aprire le sue “4 orecchie” riuscendo a cogliere, in modo imparziale, attraverso per esempio domande aperte che invitano al ragionamento e all’apertura (cosa pensa di..?, che cosa può dirmi di..?) sia il contenuto del messaggio che l’utente sta trasmettendo, sia come quest’ultimo percepisce la relazione, che cosa sta rivelando di sé stesso in quel momento e qual è il suo appello, ovvero il suo reale bisogno, le sue aspettative, che cosa sta chiedendo davvero;
  3. deve liberare la mente da tutto quello che impedisce di ascoltare attivamente, di porre attenzione e di dedicarsi all’altro;
  4. non deve interpretare né arrivare a conclusioni affrettate e semplicistiche condizionate da pregiudizi, stereotipi, punti di vista personali, esperienze pregresse, ecc.

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3. L’analisi transazionale di Eric Berne

L’analisi transazionale introduce 4 diversi stili comunicativi che ciascuno di noi, anche a seconda della situazione in cui si trova, può far emergere. Immaginiamo di avere 4 diversi quadranti:

Analisi transazionale

I’ quadrante a sinistra, “Io sono ok, tu non sei ok” – stile aggressivo: chi è caratterizzato da questo stile si sente in una posizione di superiorità nei confronti del suo interlocutore e ciò lo porta ad imporre la propria opinione e a non ascoltare (o meglio, ad ascoltare in modo passivo, senza alcun interesse e partecipazione), poiché tanto l’altro non è ok, quindi non ha nulla di importante, utile o interessante da dire.

Quello che ne deriva è un atteggiamento volto a giudicare gli altri, a colpevolizzarli, a imporsi con arroganza e presunzione, a non mettersi mai in discussione, a sopravvalutarsi.

II’ quadrante a sinistra, “Io non sono ok, tu non sei ok” – stile del rifiuto: chi è caratterizzato da questo stile, tende a essere rassegnato e sfiduciato, considera la comunicazione e l’interazione tra le parti come senza alcuna utilità e interesse (tanto “né io, né te siamo ok”) perché appunto rassegnato, demotivato e sfiduciato dal mondo e da sé stesso. Non ha iniziative e diffida di tutti e di tutto, anche di sé stesso, nel complesso è pessimista e associale.

I’ quadrante sulla destra, “Io sono ok, tu sei ok” – stile dell’assertività: questo stile rappresenta lo stile della comunicazione efficace. Chi si trova in questo quadrante parte dal presupposto che lui è ok, ma anche il suo interlocutore è ok: ciò significa che il rapporto con l’altro viene vissuto come paritario (a livello umano), un rapporto in cui entrambe le parti hanno qualcosa di utile e importante da dirsi, ai fini della relazione stessa e di un apprendimento reciproco; ogni opinione deve essere ascoltata con interesse e soprattutto rispettata anche se diversa dalla propria e deve poter essere espressa in totale libertà (se pur naturalmente con rispetto ed educazione); chi utilizza questo stile, dimostra, nel complesso, di avere anche un buon livello di autostima, più alto rispetto al quadrante della passività, ma allo stesso tempo, non ipertrofico come quello del quadrante dell’aggressività e, di conseguenza, sa incrementare anche quella altrui (Io sono ok, ma anche tu sei ok!!!).

II’ quadrante sulla destra, “Io non sono ok, tu sei ok” – stile della passività: chi è caratterizzato da questo stile si sente in una posizione di inferiorità nei confronti del suo interlocutore. O, a livello professionale, è alla prima esperienza (e quindi è uno stile transitorio, semplicemente dettato dalla mancanza di esperienza sul campo) o in generale ha un basso livello di autostima che lo porta a credere di non avere nulla di importante da dire o da dare, a sentirsi in continua inferiorità verso gli altri, a preferire di non esprimere le proprie opinioni e sentimenti per paura di essere giudicato e criticato, dipende dall’approvazione degli altri e agisce in modo passivo, secondo il volere altrui.

Quindi per supportare una persona nella ricerca di un nuovo lavoro, dobbiamo riuscire a far emergere quello che è lo stile assertivo (“Io sono ok, ma anche l’utente è ok”), caratterizzato da ascolto attivo, da empatia, da una visione di parità tra le parti, basata sul rispetto e sull’ interesse autentico verso quello che l’utente sta dicendo, anche se ovviamente ci possono essere punti di vista differenti, l’importante è sentirsi e far sentire l’utente liberi di esprimersi, se pur sempre nel rispetto reciproco. Tale atteggiamento ha come prima diretta conseguenza quella di aumentare l’autostima anche della persona ascoltata, perché si dimostra che le si sta dando importanza e le si sta dedicando tempo.

4. La teoria centrata sul cliente di C. Rogers

La teoria centrata sul cliente mette al centro della relazione il cliente.

Il presupposto di questa teoria è che ognuno di noi ha già delle risposte dentro di sé, ha già il potenziale per trovare la giusta direzione e prendere delle decisioni: il più delle volte, però semplicemente non sa di averlo o non sa cosa deve fare. Il consulente ha, quindi, il ruolo di supportare, aiutare, guidare, motivare, allenare, fornire tutti quegli strumenti che conducono l’utente ad auto-orientarsi e ad essere autonomo, in un percorso atto anche a incrementare fiducia in sé stessi e auto-consapevolezza.

Questo significa: essere empatici, autentici e accettare incondizionatamente vissuti ed esperienze altrui, ovvero, esprimere le proprie opinioni ma, allo stesso tempo, anche ascoltare quelle dell’utente, senza giudicarlo, senza imporre il proprio punto di vista, senza dirgli “cosa fare e cosa non fare”, senza criticare, deridere o sminuire, sia verbalmente che non e, infine, significa, anche e soprattutto, rinunciare di fatto alla convinzione, spesso troppo diffusa, di credere di essere il “benefattore che fa la differenza” nella vita dell’utente che stiamo supportando.

Biografia:

Analisi e rielaborazione di vari temi legati alla comunicazione, trattati durante corsi di HR, tra cui “Assistente del personale – modulo HR management” – c/o Lugano Business School

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Questo articolo è offerto da:

Rovena Bronzi
Job Coach| Work life balance | Cv writer | Assistente del personale con certificato HRSE
Mi chiamo Rovena Bronzi e abito in provincia di Varese. Dopo aver conseguito una laurea in psicologia del lavoro e nel 2018 un titolo svizzero di assistente del personale, attualmente mi occupo in Canton Ticino di segretariato e amministrazione del personale. In Italia sono job coach, tutor e Cv writer: alleno, oriento e motivo, attraverso percorsi individuali e di gruppo, a «USCIR A RIVEDER LE STELLE» con creatività, leggerezza e piacere, nella ricerca di un nuovo lavoro, nel cambiamento professionale e nella ricerca di una conciliabilità lavoro – famiglia – tempo libero.

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