Come ascolta il nostro cervello?
di Marco Labate
Ascoltare è quando il suono incontra il cervello, altrimenti stiamo semplicemente sentendo! Ascoltare è uno lavoro continuo che impegna diverse zone del nostro cervello, un atto in grado prima di tutto di porci in sintonia con chi parla.
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Le strade dell’ascolto
La corteccia uditiva è l’area della corteccia cerebrale, localizzata nel lobo temporale, incaricata di ricevere, elaborare e comprendere le stimolazioni uditive.
I suoni una volta passati attraverso il condotto uditivo esterno e interno, giungono nell’area della corteccia uditiva.
La corteccia uditiva ha un ruolo importante non solo per la comprensione dei suoni ma è fondamentale per l’apprendimento e per un sano sviluppo delle funzioni cognitive. La corteccia uditiva è suddivisa in corteccia uditiva primaria e corteccia uditiva secondaria.
La corteccia uditiva primaria riceve le informazioni di tipo uditivo e analizza le caratteristiche dell’onda sonora come l’altezza, l’intensità o il ritmo.
La corteccia uditiva secondaria è deputata all’analisi semantica, ossia è incaricata di assegnare un significato e un senso alle parole ricevute.
Semplificando, mentre la corteccia primaria sente il suono, quella secondaria lo interpreta e attribuisce un significato che il cervello riconosce in base a una codifica già conosciuta.
L’ascolto imita la parola
Potremmo dire che chi ascolta comprende la parola attraverso l’ascolto dei suoni che la compongono per poi arrivare al significato.
La comunicazione verbale ha introdotto nell’evoluzione comunicativa dell’uomo nuove attività motorie: per parlare deve coinvolgere la lingua, le labbra e il respiro per emettere i suoni.
Secondo M. Liberman, un linguista americano, siamo in grado di comprendere i fonemi (i suoni che formano le parole) non solo grazie al semplice riconoscimento acustico, bensì per un’imitazione dei movimenti della lingua, delle labbra e della bocca necessari a produrre quel suono.
L’ascolto di un fonema ha la capacità di evocare nell’ascoltatore la stessa sequenza motoria di quella usata da colui che parla per emettere lo stesso fonema.
Chi ascolta attiva le aree motorie del movimento della lingua quando viene pronunciata da altri una lettera come la “l” o la “r” ma non avviene quando pronunciamo lettere dove il movimento della lingua non è necessario, come per la lettera “a”. Questo dimostra che chi ascolta simula di fatto l’attività motoria che sarebbe necessaria per pronunciare quella specifica parola.
Nel successivo paragrafo troviamo una spiegazione a questo particolare comportamento del nostro cervello.
I neuroni specchio
Lo sviluppo dell’ascolto coinvolge anche i neuroni specchio, una delle più recenti scoperte della neuroscienza grazie agli studi del Prof. G. Rizzolatti, capaci di farci comprendere azioni ed emozioni altrui.
I neuroni specchio sono una rete di neuroni interagenti, presenti in diverse aree del cervello, che hanno la straordinaria proprietà di permetterci di riprodurre movimenti, comportamentali e stati emozionali che osserviamo in altri individui. Permettono di spiegare fisiologicamente la nostra capacità di metterci in relazione con gli altri e si attivano selettivamente sia quando si compie un’azione sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri.
Quando osserviamo una persona compiere un particolare gesto si attivano, nel nostro cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco quando siamo noi a compiere quella stessa azione. Per esempio, sono i responsabili della nostra imitazione di un’altra persona quando questa sbadiglia.
Nel processo di sviluppo dell’ascolto entrano in gioco particolari neuroni specchio specifici degli esseri umani chiamati neuroni specchio-eco, che si attivano con determinati suoni del linguaggio parlato.
I suoni del linguaggio parlato attivano i neuroni specchio-eco dell’ascoltatore in un meccanismo imitativo capace di evocare i movimenti che dovremmo eseguire per riprodurre quei fonemi.
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Il codice comune
All’azione di associazione fisica all’onda sonora che stiamo ricevendo abbiniamo inoltre lo sviluppo di un protocollo comune che renda possibile la comprensione dei contenuti.
Quando ascoltiamo, il nostro cervello – nello specifico la corteccia uditiva – elabora i suoni provenienti dall’orecchio, la reazione del nostro cervello varierà in base allo stimolo ricevuto e anche se parlassimo della stessa idea con suoni/parole diverse, le risposte del nostro cervello sarebbero simili.
Questo meccanismo ci consente di decodificare un contenuto se espresso con termini o lingue differenti.
In tal senso è interessante anche la ricerca del neuroscienziato U. Hasson che attraverso lo studio e alcuni test sui fondamenti della comunicazione umana ha determinato che, anche se in lingue diverse, i nostri cervelli svolgono attività simili e si allineano quando ascoltiamo le stesse idee o racconti.
Questo incredibile processo ci permette di trasmettere schemi cerebrali, condividendo ricordi e informazioni. Lo stesso Hasson ha affermato che: “La comunicazione è possibile perché abbiamo un codice comune dotato di senso”.
Cervelli simili comunicano meglio
Pensiamo comunemente che la produzione e la comprensione orale siano processi diversi, due funzioni opposte dello scambio comunicativo. Come abbiamo già detto, in realtà il meccanismo usato del ricevente per ascoltare proviene dal cervello di chi parla e le due azioni, produzione e comprensione orale, prevedono processi molto simili. Inoltre, più è marcata è la
somiglianza tra il cervello di chi ascolta e quello di chi parla, migliore sarà il risultato della comunicazione. Riconosciamo così questa favorevole condizione che otteniamo con i nostri interlocutori preferiti, dei quali diremo: “Con lei riesco a parlare, a farmi capire e a condividere idee come con nessun’altra!”. Oppure ci accorgeremo che stranamente ci riusciamo con altri anche solo per un attimo e quindi diremo:” Ieri, come non mai, ci siamo capito al volo!”. Al contrario, se in una particolare situazione non riusciamo a comprendere, vuol dire che le risposte cerebrali sono diverse da chi ci sta parlando.
Una questione di frequenza
Il grande lavoro svolto dal nostro cervello non finisce qui. Secondo gli studi dei ricercatori del Max-Planck-Institute e della Radboud University, quando iniziamo ad ascoltare, il nostro cervello campiona la frequenza e la velocità del parlato.
L’ascoltatore si sincronizza principalmente con il ritmo iniziale del discorso dal quale tende a non allontanarsi. Perciò la nostra attività neurale coinvolta nella comprensione della parola cerca, per inerzia, di non cambiare la velocità durante tutta la fase di ricezione.
A causa di un cambio di ritmo del nostro interlocutore o di un nostro cambio di passo nell’ascolto saremo portati a distrarci o a voler anticipare le parole e il significato del messaggio, causando distorsioni percettive e fraintendimenti.
Il dolce anticipare
Quando vogliamo anticipare le parole stiamo cercando di predire la stessa parola e il suo significato, un’azione tanto amata dal nostro cervello. Questo ci accade di più con le persone che conosciamo e presumiamo di capirle all’istante, pertanto di essere in grado anticipare i contenuti di ciò che stanno dicendo.
La nostra attitudine di voler prevedere nell’ascolto è messa in atto in qualsiasi esperienza uditiva, come nella musica. Sono stati condotti degli studi scientifici anche in questo campo i quali hanno dimostrato che il nostro cervello, in particolare in quello dei musicisti, prevede automaticamente come finirà una melodia e riempirà gli spazi che mancano in una canzone.
Queste ricerche rivelano che il cervello percepisce la melodia guardando indietro quando ascoltiamo una canzone, ma solo per aiutarla ad anticipare ciò che verrà dopo: “Il cervello è costantemente un passo avanti e corrisponde alle aspettative su ciò che sta per accadere”, afferma N. C. Hansen, l’autore dello studio.
Allo stesso modo di quello che accade in un brano musicale, una frase all’interno di un dialogo può restituire una certa incertezza riguardo a ciò che verrà dopo. I risultati della ricerca indicano che in quei momenti di incertezza musicale o verbale le nostre menti si attivano per prevedere cosa accadrà dopo. Questa predisposizione predittiva è insita nelle nostre capacità celebrali.
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In un’ era abituata a parlare prima di riflettere, a digitare sui tasti senza nessuna etica o morale, dovremmo riflettere sull’ importanza dell’ ascolto, una cosa apparentemente semplice ma in realtà piuttosto difficile ai tempi nostri, poiché il nostro stesso cervello si disabitua a farlo a causa delle attività di tutti i giorni . Un bravo HR deve essere un acuto ascoltatore, per cui fermiamoci un attimo a riflettere su come potenziare questo indispensabile strumento di comunicazione che è l’ ascolto.
Bellissimo articolo complimenti! Ho studiato l’importanza dei neuroni specchio nella danza e ne sono sempre rimasta affascinata.