Elementi di disturbo sul benessere psicofisico, sul comportamento sociale e sulla produttività
La psicologia ambientale, come suggerisce il nome stesso, si occupa di analizzare e migliorare il rapporto delle persone con l’ambiente socio-fisico che le circonda e in cui si ritrovano ad interagire.
L’ergonomia si occupa dell’interazione tra uomo e macchina, mostrando una vera e propria evoluzione degli studi nel tempo: da un’ergonomia di correzione (in una prima fase, il presupposto era che l’uomo si doveva adattare alla macchina, successivamente, in una seconda fase, era la macchina che si doveva adattare all’uomo) a un’ergonomia di prevenzione, secondo cui vi deve essere un’interazione reciproca tra uomo e macchina.
Entrambe offrono importanti spunti in ambito di gestione dei cosiddetti elementi di disturbo, valutazione del rischio e analisi ambientale, sia attraverso esperimenti di laboratorio (in cui è possibile manipolare le varie variabili che si vogliono studiare), sia direttamente sul campo, attraverso strumenti quale l’osservazione, la somministrazione di questionari o di interviste ai vari livelli della piramide aziendale per la raccolta di dati, gli indici di gradimento, l’analisi dei risultati, suddivisi per area e settore, colloqui di fine anno, ecc.
Il luogo di lavoro, quale l’ufficio o un reparto produttivo, sono ambienti socio–fisici dove si trascorre la maggior parte della giornata ed è quindi fondamentale tenere conto, già in fase di progettazione e poi con monitoraggi ripetuti nel tempo, delle condizioni ambientali, del rapporto uomo–macchina e più in generale di tutti quegli elementi definiti di disturbo.
Gli elementi di disturbo sono tutti quegli elementi che “disturbano” il lavoratore:
- distraendolo dai suoi compiti e dal raggiungimento dei suoi obiettivi, nella sua gestione del tempo di lavoro;
- generando confusione;
- riducendo concentrazione e attenzione;
- demotivando;
- deteriorando il benessere psico-fisico: aumento di allergie, comparsa di problemi legati ai sensi (vista, udito, tatto, olfatto e gusto) e ad altri organi, quali per esempio, il cuore, la pelle, il fegato, l’intestino, malattie professionali, stress, stanchezza, problemi di concentrazione, ecc.;
- influenzando negativamente i rapporti interpersonali, sia di tipo verticale che orizzontale, aumentando i livelli di rabbia, di intolleranza, di suscettibilità e abbassando la normale soglia di sensibilità e dolore.
Possiamo distinguerli in disturbi acuti e disturbi cronici:
- disturbi di tipo acuto: di solito, sono i più insopportabili, improvvisi ma limitati nel tempo e a determinate circostanze; richiedono reazioni celeri e costruttive; danno normalmente l’impressione di avere un inizio e una fine e questo risulta essere sotto certi aspetti confortante;
- disturbi di tipo cronico: sono i più fastidiosi, i più stressanti perché danno l’impressione di un qualcosa con un inizio ma senza una fine, difficilmente modificabili, stabili nel tempo e continuativi, un qualcosa a cui, se vogliamo sopravvivere, in un certo senso ci si deve abituare.
Possiamo anche differenziarli in elementi di disturbo più propriamente legati al lavoratore stesso, al suo modo di percepire il contesto sociale, alla sua vita extraprofessionale o al suo ambiente sociale e tra questi possiamo citare, per esempio:
- condizioni contrattuali demotivanti, orari e ritmi di lavoro stressanti e frenetici, processi organizzativi basati sul principio “minor costo, maggior resa” a svantaggio dei lavoratori, regolamenti aziendali e manuali del personale con regole troppo rigide;
- problemi personali e/o di salute propria o altrui;
- preoccupazioni varie legate sia a motivi personali che professionali;
- rapporti interpersonali sia di tipo verticale che orizzontali, conflittuali, competitivi, fino ad arrivare a situazioni come il mobbing che porta a un annientamento della persona sia dal p.d.v. umano che professionale;
- discriminazioni varie, vere, presunte o solo percepite;
- problemi causati da cattiva leadership (“leader autoritario/dittatoriale” o “leader lascivo/permissivo” definito in gergo comune “capo fantasma”).
Ci sono poi gli elementi di disturbo più propriamente legati all’ambiente fisico in cui il lavoratore si trova a interagire. Tra questi i più frequenti:
- temperatura: ambienti troppo caldi o troppo freddi, continui sbalzi di temperatura, frequenti correnti di aria fredda o calda, impianti di climatizzazione insufficienti o mancanti;
- umidità: ambienti troppo umidi o troppo secchi con presenza di condensa e di muffe;
- luminosità: ambienti con luci artificiali troppo forti o troppo deboli, postazioni di lavoro controluce;
- acustica: ambienti con frequenti fonti di rumore sia cronico che acuto (con picchi che superano la soglia consentita di sopportazione dell’orecchio umano), sia provenienti dall’esterno (lavori in corso, traffico, lavori sulle strade, sirene, ecc.) sia rumori provenienti dall’interno (vocii, rumore di macchine o strumenti di lavoro quali telefoni, fax, stampanti, toni di voce troppo alti, brusii vari, ecc.);
- odori: ambienti di lavoro con materiali che sprigionano cattivi e fastidiosi odori (certi collanti, ecc.), ma anche odori provenienti dall’ambiente esterno (cibo, smog, inquinamento, ecc.); purtroppo non possiamo non citare tra i vari odori cattivi e fastidiosi, quelli provenienti da persone aventi un difficile rapporto con l’igiene personale;
- areazione: ambienti con arie malsane, presenza di polvere, mancanza di ricambio naturale dell’aria o impianti di ventilazione insufficienti, ossigenazione povera o insufficiente, spifferi e correnti d’aria, mancanza di sanificazione ambientale, utilizzo o meno di impianti di aria condizionata spesso oggetto di discussione nei luoghi di lavoro, ecc.;
- distribuzione logistica degli spazi e degli arredamenti (basta pensare all’importanza della filosofia feng shui applicata anche ai posti di lavoro): arredamenti tali da rendere un ambiente sociofugo (ovvero che riduce l’interazione fra persone) anziché sociopeto (che al contrario facilita le interazioni) per cattiva gestione degli spazi, assembramenti di persone che portano a ridurre il livello minimo di distanza personale che equivale a circa un metro, densità troppo elevate, collegamenti tra aree e settori che rendono stressanti, perché magari più lunghi e faticosi, gli spostamenti, ecc.;
- gestione di aree comuni, quali bagni, aree fumatori, aree mensa e ristoro: a volte troppo vicine alle aree di lavoro (e quindi possibili elementi di disturbo acustico), altre volte troppo lontane o scomode da raggiungere; problemi legati alla condivisione dei bagni e a una, per esempio, loro scarsità rispetto al numero totale di fruitori, ecc.;
- colori: ambienti con pitture troppo forti o al contrario ambienti totalmente asettici, incapaci di trasmettere sensazioni ed emozioni piacevoli e rilassanti, colori cupi, bui, ecc.;
- ornamenti: per esempio il divieto di personalizzare la propria postazione di lavoro con piccoli ornamenti, quali foto personali, piante, ecc.;
- mancanza di igiene, sporcizia, disordine, caos;
- location: aziende site in luoghi con un alto rischio di eventi cataclismatici, centrate o decentrate rispetto al fulcro delle attività territoriali e a tutto quello che ne consegue, in fatto di confort e collegamenti – mezzi di trasporto, parcheggi, viabilità stradale – ma anche di impatto su olfatto, vista e udito;
- ambienti, superfici di lavoro e materiali vari: in questa categoria, è incluso tutto quello che risulta essere fastidioso al tatto o che necessita di un buon livello di attenzione nel suo utilizzo per evitare “piccoli incidenti di percorso”, quali superfici scivolose, spigoli, prese di corrente mal funzionanti o materiali di uso frequente quali la carta;
- rapporto uomo – macchina: per esempio, nell’utilizzo dei dispositivi di sicurezza e protezione che di regola vengono imposti per legge; molte ricerche hanno dimostrato che spesso questi risultano essere mal sopportati a causa di ritmi di lavoro, di richieste varie da parte dell’azienda o della soglia media di tolleranza psico–fisica dell’essere umano e quindi generano comunque stress e disturbi vari, nonostante possano risultare veri e propri salvavita.
Per concludere, quindi, è evidente come i fattori di disturbo, sia quelli sociali che quelli fisici, abbiano un forte impatto, non solo sulla sicurezza, la salute e il benessere dei lavoratori, ma anche sulle loro performance, sulle loro prestazioni e sui risultati da raggiungere.
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Qui di seguito alcuni importanti accorgimenti da seguire:
- appoggiarsi alle teorie e alle numerose ricerche della psicologia ambientale e dell’ergonomia, già in fase di progettazione degli ambienti di lavoro;
- affidarsi ai consigli di esperti di vari ambiti, quali per esempio l’architetto, l’interior design, lo psicologo del lavoro, l’esperto di processi organizzativi e il life coach, magari creando vere e proprie task force, sia per generare idee, sia per studiare attentamente i pro e i contro di ogni contesto. E’ il caso per esempio degli open space, che nascono come alternativa ai vecchi contesti di lavoro, spesso vissuti dai lavoratori come chiusi, angusti e sociofughi. Se da un lato, nascono come ambienti altamente sociopeti, che permettono all’azienda un risparmio di spazio e tempo, che invitano alla collaborazione, che danno un senso di spazio e apertura, dall’altro, amplificano elementi quali il rumore e la confusione, oltre che rischiare di generare conflitti dati dalla difficoltà di trovare situazioni che accontentano tutti;
- prevedere monitoraggi frequenti dello stato di salute psicofisico, del rendimento, del livello di gradimento dei lavoratori rispetto all’ambiente psico-fisico in cui si ritrovano a interagire;
- effettuare controlli periodici delle norme sulla sicurezza e sulla salute;
- prevedere, nei manuali del personale e nei regolamenti aziendali, oltre che direttive relative alla prevenzione degli infortuni, anche norme legate ai comportamenti comuni da adottare nell’interesse di tutti, centrati su diligenza, cura, ordine e pulizia sia della postazione di lavoro che degli ambienti circostanti, tutela dell’ambiente, igiene personale.
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