Il Leader che ha smesso di imparare: il pericolo del piedistallo fragile
di RisorseUmane-HR.it
Siete entrati in una stanza dove ogni sedia è moderna, progettata per adattarsi al corpo umano, tranne una. Un vecchio sgabello di legno, dall’aspetto solido ma con una gamba traballante. Quel sgabello potrebbe essere il simbolo di alcuni leader di oggi: quelli che, raggiunto un “certo livello”, hanno deciso che non c’è più nulla da imparare, che la loro conoscenza sia sufficiente a sorreggerli, nonostante il mondo attorno cambi più rapidamente di quanto possano immaginare.
Questo sgabello traballante rappresenta l’illusione di sicurezza che molti leader coltivano. La sensazione di aver raggiunto il culmine della propria carriera li porta a pensare che non ci sia più nulla di nuovo da apprendere. Tuttavia, proprio come lo sgabello, anche la loro posizione è instabile, pronta a cedere al minimo cambiamento che non sanno affrontare. Viviamo in un’era in cui restare fermi equivale a retrocedere, e questo vale soprattutto per chi guida un’organizzazione. Il mondo del lavoro è in costante evoluzione, e chi non si evolve con esso rischia di essere lasciato indietro.
L’equilibrio precario del leader
In un contesto aziendale che evolve a velocità vertiginosa, con nuove tecnologie, dinamiche di lavoro ibride, un’attenzione crescente a benessere e inclusione, restare in equilibrio su quel vecchio piedistallo diventa sempre più difficile. Eppure, alcuni leader continuano a ignorare tutto questo, preferendo rifugiarsi in frasi come: “Sono anni che faccio così, funziona sempre” oppure “I giovani dovrebbero imparare da me, non il contrario“.
Ma cosa significa veramente “funziona sempre”? È possibile che ci si stia aggrappando a un modello di successo che non è più valido? Quando una frase come questa viene pronunciata, spesso è un segnale di resistenza al cambiamento, una difesa che cerca di nascondere l’insicurezza di affrontare qualcosa di sconosciuto. Tuttavia, i cambiamenti nel mondo del lavoro non sono più opzionali; sono la norma. Ignorare queste trasformazioni significa rimanere intrappolati in un modello di pensiero che non permette di crescere né a livello personale né a livello organizzativo.
Sfide del presente e soluzioni del passato
Ma è davvero possibile affrontare le sfide del presente con le soluzioni del passato? L’orgoglio di sentirsi “arrivati” è davvero sufficiente per far fronte a una forza lavoro più giovane, dinamica e sempre più affamata di apprendimento?
La realtà è che chi smette di imparare non rimane stabile; piuttosto, regredisce. Le nuove generazioni non si limitano a portare entusiasmo e innovazione, ma stanno ridefinendo il concetto stesso di leadership. Una leadership che non è più basata solo sull’autorità o sulla seniority, ma sulla capacità di connettersi, di ispirare e di imparare costantemente.
Oggi, la leadership richiede una capacità di adattamento che va ben oltre il semplice controllo delle risorse. Richiede empatia, comprensione delle nuove dinamiche sociali e una disponibilità ad abbracciare nuove prospettive. I giovani lavoratori non cercano più solo un capo che dia ordini; cercano un mentore, qualcuno capace di ascoltare, di motivare, e di mostrare che anche chi è al vertice ha ancora tanto da imparare. Questa vulnerabilità, questa apertura al cambiamento, è ciò che permette a un leader di distinguersi e di guadagnare rispetto.
Il coraggio di scendere dal piedistallo
È forse giunto il momento di abbandonare il piedistallo? Di riconoscere che per restare rilevanti non basta essere stati grandi in passato, ma bisogna abbracciare il cambiamento, anche a costo di mettere in discussione ciò che pensiamo di sapere? L’umiltà di tornare studenti è l’unica vera garanzia per restare leader oggi e domani.
Scendere dal piedistallo non significa rinunciare alla propria esperienza o al proprio valore. Al contrario, significa fare spazio a nuove idee, integrare la propria conoscenza con quelle degli altri e diventare un punto di riferimento autentico per il proprio team. I leader che hanno il coraggio di farlo mostrano di essere consapevoli dei propri limiti e disposti a superare l’orgoglio per il bene dell’organizzazione. È questo tipo di leadership che riesce a sopravvivere e prosperare, anche in un contesto di cambiamento continuo.
Affrontare la paura del cambiamento
La domanda che desideriamo porre è questa: cosa ci trattiene dal continuare a imparare? È la paura di non essere più al centro del palco, o forse il timore di scoprire che alcune delle nostre convinzioni sono ormai obsolete? Se è così, non è forse meglio affrontare queste paure, invece di nasconderle dietro il vecchio sgabello traballante?
Affrontare la paura del cambiamento è un percorso che richiede coraggio e introspezione. Richiede la capacità di guardarsi dentro e di riconoscere le proprie vulnerabilità. Ma è proprio attraverso questa apertura che possiamo trovare nuove opportunità di crescita. Non si tratta solo di aggiornarsi professionalmente, ma di imparare a rimanere curiosi, a farsi domande, a cercare continuamente modi per migliorarsi. È questa mentalità che distingue chi vuole restare un leader da chi, invece, è destinato a perdere rilevanza.
Perché alla fine, restare in bilico può essere emozionante per un po’, ma è solo con solide basi di apprendimento continuo che possiamo garantire la nostra stabilità, e con essa la stabilità delle nostre organizzazioni.
Il futuro appartiene a coloro che sono disposti a imparare, disimparare e reimparare. Nessuno di noi può permettersi di smettere di crescere, perché il mondo attorno a noi non si ferma mai. L’apprendimento continuo non è solo una necessità pratica, ma un segno di vitalità, di desiderio di contribuire al meglio delle proprie capacità. È questo che rende un leader un vero leader: non la posizione raggiunta, ma la volontà di continuare a salire, passo dopo passo, insieme agli altri. Perché, alla fine, non si tratta solo di essere stabili; si tratta di essere rilevanti, di essere ispiratori, e di essere sempre pronti a fare la differenza.
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Risorse aggiuntive
Libri consigliati:
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