Un CV troppo ricco è un problema?
In linea di principio è un punto di forza, ma presenta insidie nascoste. Ecco come potrebbe addirittura penalizzarvi.
Da che mondo è mondo, per avere un buon lavoro tendenzialmente si punta sul farsi un buon CV. E tutti sono solitamente orgogliosi dei traguardi che sono riusciti ad ottenere, mettendoli con fierezza nel proprio curriculum.
Titoli di studio ed esperienze professionali, infatti, sono da sempre il primo biglietto da visita che presentiamo e con il quale ci presentiamo ad aziende, enti, istituzioni ed agenzie per il lavoro.
Il suo scopo è quello di introdurci, perlopiù professionalmente (anche se ovviamente dal CV si possono intuire degli aspetti comportamentali ed etici) in modo da fornire un quadro di sintesi delle nostre competenze a chi ci è di fronte e cercare di capire se quello che stanno cercando le due parti possa intercettare gli interessi comuni.
È normale che nel curriculum si tenda a mettere tutto ciò che di buono si possa offrire: uno degli obiettivi è, infatti, battere la concorrenza degli altri candidati ed ottenere il posto per il quale ci si è candidati.
Può capitare, però, che a volte un CV troppo “valido” sia un’arma a doppio taglio; può esservi infatti capitato di sentirvi dire quell’odiosa frase “lei è troppo qualificato per questo lavoro”.
Una frase che viene detta per “eliminare” in modo carino un candidato, cercando di rendere meno doloroso il fatto che non sia stato scelto.
Vi possono essere mille ragioni per cui i recruiters, o chiunque svolga il processo di ricerca e selezione, usi quella frase (l’altro candidato era più affine alla posizione ricercata? Più spigliato? Più simpatico? raccomandato?); non vale quindi la pena perderci troppo tempo, di fatto è stato scelto un altro candidato al posto nostro e fine della storia.
Ci sono, tuttavia, situazioni nelle quali voi sembrate essere il candidato migliore, passate tutte le prove e gli steps del processo di selezione arrivando fino al colloquio finale che, molte volte, viene tenuto direttamente dal Direttore di Stabilimento o da un pari grado in altri enti… e venite scartati.
Perché? Cos’è successo?
Certo, può capitare di sbagliare un colloquio; ma se il vostro problema in realtà fosse stato il vostro CV?
Accade, a volte, che la persona che vi deve assumere sia “spaventata” dal vostro curriculum vedendovi più come un potenziale competitor che un buon collaboratore. Questa persona, leggendo il vostro CV, capisce che, già nel medio periodo, potreste mettervi in luce agli occhi della Dirigenza (della Proprietà aziendale o di chiunque sia sopra di lui) e rubargli il posto.
Non è difficile, infatti, trovare managers che si circondano di persone fidate anziché competenti e, per paura che gli portiate via il posto, non vi assumono anche se siete il candidato migliore.
Nel mondo delle risorse umane, si sa, non esistono regole definite (l’HR non è una scienza precisa) ma una buona strategia, probabilmente, potrebbe essere quella di calibrare il vostro CV sia in base al ruolo per il quale applicate sia per il livello di colloquio che andate ad affrontare.
Puntate sulle cose prettamente correlate alla posizione in oggetto e, casomai poi, in base a come si mette il colloquio cercate di capire se è il caso o meno di tirare fuori gli altri assi dalla vostra manica mostrando un profilo più ricco e completo o se, invece, ci sono più rischi che benefici nel farlo perché avete di fronte una persona, ad esempio, invidiosa.
È chiaro che non sempre è possibile preparare un CV per ogni occasione (pensate, ad esempio, quando vi candidate ad un’offerta tramite il sito di un’agenzia del lavoro: mandate il vostro CV migliore per sbaragliare la concorrenza e poi l’agenzia inoltra direttamente il CV a chi deciderà se assumervi o no; indipendentemente dalla personalità del recrutatore, questo avrà già ricevuto il vostro CV dall’agenzia e non potrete prepararlo in maniera specifica per quel colloquio), ma forse in sede di colloquio vale la pena tenere a mente anche questa incognita cercando di adattarsi all’intervistatore che si ha di fronte.
Purtroppo, per quanto la si possa considerare una bassezza umana, vi sono infatti diversi episodi in cui il miglior CV non viene scelto perché chi li seleziona ha paura di perdere il suo stesso posto.
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Quale occasione più ghiotta di questa mi poteva capitare!! Si tratta del CV ricco e strabordante di cose fatte e conquistate, insomma, un elenco di “griffe” personali mostrate a tutto tondo al reclutatore.
Qui non voglio parlare solo dell’invidia che può attanagliare costui, o il pericolo che il potenziale assunto – oggi semplicemente un candidato alla sua mercé – gli possa un giorno soffiare il posto… E su questo aspetto sono perfettamente d’accordo con l’autore dell’articolo.
Parlerò invece delle “esagerazioni” che affollano molti CV, proprio per alzare il proprio profilo.
Il tema suscita in me due riflessioni: la prima, quanto siano “vere” le esperienze raccontate, seppur “verosimili”; la seconda, quanto siano valide e riconosciute sia per durata (possono 2 mesi avere un’accettabile efficacia?), sia per titolarità (ma quell’azienda è davvero importante?) sia per attività (ma a cosa serviva aver fatto quel lavoro nel quadro di un profilo che dovrebbe essere almeno coerente?).
Questo ci fa capire che dall’altra parte – quella del reclutatore – si insinua il dubbio sul personaggio candidato: a cosa è disposto pur di sfondare la soglia dello screening iniziale? Ma quanto ci crede che sia interessante per il reclutatore? Infatti chi scrive l’articolo lo dice: “ovviamente dal CV si possono intuire degli aspetti comportamentali ed etici”, quindi il lavoro è inutile e spesso anche controproducente.
Quindi, pongo anch’io il focus sulla “validità” del CV ma da un punto di vista diverso.
Certo, il pericolo incombe, anche quando si assiste al fenomeno per cui “managers che si circondano di persone fidate anziché competenti” lasciandoci a volte stupiti ma sempre più spesso consapevoli che il mondo delle risorse umane “senza regole definite” in realtà trova risposte nella fragilità umana.