Il valore della tesi di laurea nel processo di selezione
Una delle domande più comuni che sorgono ai neolaureati senza esperienza lavorativa è: «Come faccio a fare in modo che il mio CV non risulti estremamente scarno?». La risposta risiede in considerazioni di tipo stilistico-estetico, ma anche contenutistico; e uno dei contenuti che più spesso vengono suggeriti per dare sostanza ad un CV “immacolato” è l’argomento della tesi di laurea, magari corredato da una breve descrizione dei propri studi.
Un’informazione, questa, che ci permette di vedere in maniera plastica lo iato che intercorre tra i percorsi universitari sostenuti dagli studenti in Italia e ciò che invece viene richiesto per intraprendere una carriera lavorativa. Se da un lato, generalizzando una tendenza, vi è un’attenzione quasi spasmodica verso teorie e nozioni, dall’altro vi sono precise competenze tecniche e abiti mentali (skillsets e mindsets) che sono i requisiti indispensabili all’assunzione in determinate posizioni lavorative. In questo senso si inserisce anche la questione della differenza tra un approccio alla formazione di tipo top-down e uno di tipo bottom-up, o della scarsa frequenza (quando non assenza) di attività laboratoriali e seminariali in certi corsi di laurea. Ma quello che mi preme osservare è che l’argomento della propria tesi tende a essere omesso dal CV quanto più la persona acquisisce esperienza sul campo e le competenze sopracitate. Di più, nel caso di lauree in materie non scientifiche il lavoro di tesi viene sovente ignorato, nella convinzione che al di fuori di un ristretto ambito accademico non possa avere interesse alcuno.
Preso atto di questa distanza tra il mondo della formazione universitaria e il mercato del lavoro, un recruiter moderno dovrebbe, a mio parere, saper estrapolare il maggior numero di informazioni utili sul candidato neolaureato proprio a partire dai suoi interessi in ambito teorico. La tesi di laurea, specialmente in corsi di studio dove l’argomento può essere scelto in maniera autonoma, rappresenta un argomento su cui il candidato ha speso un grande numero di ore del suo tempo, di energie fisiche e mentali. Ha potuto esaminare un problema molto specifico da diverse angolazioni, leggere studi accademici su di esso, elaborare una propria idea ed esporla in maniera sistematica e organica. Da un simile lavoro spesso traspare non solo una certa sapienza tecnica verso un problema, che costituisce un’ottima base per uno sviluppo sul campo, ma si capisce anche molto della persona che si ha davanti, del suo approccio al problem solving, della sua volontà di imparare e migliorarsi e di ciò che veramente lo appassiona.
Dunque, l’auspicio per il futuro è quello che si vada in due direzioni precise. A livello istituzionale, verso una maggiore integrazione tra il momento di stesura della tesi e quello di inserimento in un contesto lavorativo; una tendenza a vedere la tesi come vero e proprio trampolino di lancio, un momento difficilmente ripetibile nel quale dedicarsi totalmente allo studio in maniera feconda. A livello di selezione, verso una più grande attenzione a questo aspetto sia quando si ha a che fare con un candidato neolaureato, sia in termini più generali. Tra le migliori caratteristiche di un recruiter mi sento di annoverare una curiosità proattiva nei confronti dei candidati più interessanti, che permetta di andare oltre il tabù della teoria come materia inerte. Al contrario, essa ha il potenziale per diventare uno dei punti di snodo cruciali nel processo di assunzione di un candidato neolaureato.
Per concludere, porto un paio di esempi pratici sulla questione. In primis, è probabile che un candidato neolaureato non abbia mai potuto lavorare a un progetto in ambito lavorativo o, se l’ha fatto, magari si tratta di un contributo minore o marginale. Vedere la tesi di laurea come un primo progetto compiuto, dotata di dignità propria e frutto dei soli sforzi del candidato, ci permette di avere un preziosissimo strumento valutativo e comparativo. Secondariamente, oggi si sottovaluta lo spettro di applicazione di certi studi e l’interdisciplinarietà insita in alcune materie considerate “deboli”, come la filosofia. È sorprendente scoprire quanti lavori di tesi vengano fatti sull’uso e le conseguenze etiche delle tecnologie digitali, sulla privacy informazionale, sulla trasformazione del mercato del lavoro. Non sta forse in simili studi parte di quell’esperienza che viene chiesta al candidato neolaureato?
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Bravo Stefano sicuramente la filosofia non è una materia debole