Palamede e la leadership cancellata
“Ho pietà di te, verità, tu sei morta prima di me”
(Palamede – Discorso in propria difesa)
E ora dovrei raccontarvi di Palamede, dell’eroe dimenticato e dell’eterno conflitto tra astuzia e intelligenza.
Nel libro dei libri, l’Iliade attribuita a Omero, ma anche nella stessa Odissea, non una riga ricorda Palamede mentre la storia di Odisseo la conosciamo bene per come ci è stata tramandata con il grande limite che valeva un tempo e vale ancora oggi che la storia la scrivono i vincitori e arriva a noi sotto forma di sentenza, come di chi non solo ha sconfitto gli avversari ma li vuole cancellare.
Palamede era un uomo di una bellezza elegante e per lo più intelligente, possedeva la virtù dell’invenzione, dello slancio creativo e del garbo. Era anche uno dei tre comandanti dell’esercito di terra dei Greci, gli altri due, tanto per capirci, erano Odisseo e Aiace. A lui dobbiamo il sistema di comunicazione tramite fiaccole usato dalle sentinelle nei conflitti o il gioco degli scacchi usato come passatempo per le truppe divorate dalla nostalgia degli affetti. Il sistema dei pesi e delle misure e la scrittura cifrata. Ma Palamede era anche un uomo giusto, un valoroso condottiero amato e rispettato dai suoi soldati. La storia però c’insegna che esiste una dimensione individuale della figura dell’eroe. C’è spazio per un solo protagonista e il vincitore di quella pseudo disputa non fu il migliore ma il più furbo, colui che con l’inganno trasse vantaggi inauditi, vale a dire Odisseo.
Astuzia e intelligenza non sono sinonimi, questo è l’errore più frequente che commettiamo quando utilizziamo sistemi di valutazione. Con troppa superficialità spesso accomuniamo le due cose dandole una connotazione positiva. Ma quante vittime ha lasciato sul campo la furbizia? Ancora oggi, mentre discutiamo per capire cosa è giusto fare o non fare, ci accorgiamo che certi atteggiamenti al limite dello spregiudicato non rimangono fuori le mura ma entrano con tracotanza dentro le Organizzazioni. Quanti esempi potremmo fare e quante situazioni alle quali prima non facevamo nemmeno caso oggi ci appaiono in tutte le loro manifeste contraddizioni. Persone che con poca limpidezza e quindi rimestando nel torbido hanno ottenuto concreti benefici che la sola intelligenza non avrebbe consentito loro di ottenere. Basterebbe questo per spiegare la grande attualità del conflitto, perché di questo stiamo parlando, tra due modi diametralmente opposti di agire, tra due scuole di pensiero quali la verità e l’inganno.
Da qualunque angolazione vogliamo vederla resta il fatto che Palamede non ne sbagliava una, qualsiasi cosa facesse era una scoperta, un atto rivoluzionario e tutto quello che realizzava non era per suo tornaconto personale ma la metteva al servizio del suo popolo, i Greci. Per farvi capire non è che la sua prima preoccupazione fosse quella di correre all’ufficio brevetti per depositare l’invenzione della scrittura. Fu un precursore del knowledge sharing, di questo atto nobile del condividere, non per denaro, non per gloria ma per la gioia silente della semina. Un popolo che sa e che conosce non teme i suoi nemici. Questo, in sintesi, il suo pensiero.
Odisseo amava invece le scorciatoie, viveva con il solo scopo di inventarne sempre di nuove, l’idea del cavallo di legno dove nascondere gli Achei per dare poi l’assalto a Troia era in fondo un’astuta scorciatoia, un modo veloce per raggiungere l’obiettivo con astuzia. Geniale, senza dubbio, ma comunque una scorciatoia, un inganno prodotto da un professionista di quella ignobile arte. Con le parole di Omero che gli ha dedicato un’intera opera, l’Odissea appunto, l’immagine che ci siamo fatti di lui è quella di un uomo furbo e valoroso, che ha fatto del viaggio e della scoperta una metafora della vita stessa, la sua e quella di tutti gli uomini. Pochi sanno che alla vigilia della guerra di Troia Odisseo fu assalito da una strana inquietudine e maturò l’idea di non volersi aggregare al resto della truppa. Si finse pazzo dopo aver ascoltato un oracolo che gli predisse che a causa di quella guerra avrebbe vagato per oltre vent’anni e senza compagno alcuno. Palamede non poteva credere a quell’assurda ricostruzione. Era per lui innaturale pensare che Odisseo fosse andato letteralmente fuori di testa così volle andare di persona a verificare. Lo trovò su una spiaggia, con un aratro e dei buoi, mentre arava la sabbia pronunciando messaggi sconclusionati. La pazzia messa in scena. Con astuzia. Palamede ebbe un’intuizione, prese in braccio il figlio di Odisseo, il piccolo Telemaco, e lo posò sulla sabbia proprio in direzione dell’aratro. Odisseo quando vide il bambino si fermò per evitare di travolgerlo e da lì Palamede capì che Odisseo era nel pieno delle sue facoltà mentali. In altre parole lo smascherò e Odisseo fu costretto a partire per la guerra.
Anni dopo guardando il film Sliding Doors mi sono ricordato di Palamede e della sua ricerca della verità, di come a volte la scelta di prendere una direzione o un’altra può cambiare il corso della storia. La nostra e quella del mondo intero.
Odisseo era astuto, lo abbiamo detto, ma anche vendicativo e si legò al dito la brutta figura a cui Palamede lo aveva esposto. Fu così che organizzò una vera e propria congiura che aveva lo scopo di accusare Palamede di tradimento. Nella tenda di quest’ultimo fu nascosta una gran quantità di denaro e un messaggio che indicava Palamede come un traditore o meglio dire un doppiogiochista. Palamede fu così accusato di alto tradimento e processato. Non volle farsi difendere ma fu lui stesso a farlo in un discorso che non solo scagionava se stesso con prove e fatti circostanziati ma dimostrava la colpevolezza di Odisseo. Ma Agamennone, il Re dei Re, non si fece intenerire e lo condannò a morte mediante lapidazione per renderlo irriconoscibile come a volerne cancellare anche la fisionomia oltre che la memoria. Non bastasse ne vietò anche la sepoltura ma Achille, suo amico fraterno, mosso a compassione lo seppellì incurante del proclama di Agamennone. Da quel momento si perdono le tracce di questo eroe, cancellato per sempre, come se non fosse mai esistito. Fu solo secoli dopo quando Platone si interrogò sulla veridicità dell’opera di Omero che la figura di Palamede iniziò a prendere forma. L’Iliade è forse la quintessenza del racconto collettivo e il racconto nasce in forma ancestrale con l’oralità, l’immagine di alcune persone intorno al focolare che ascoltano una storia, ne metabolizzano gli aspetti più di impatto fino a trasformarsi loro stessi in narratori e così a seguire. In questo modo la storia si arricchisce di particolari, altre volte s’impoverisce perché il narratore di turno considera del tutto ininfluente quel determinato passaggio. La scrittura invece fotografa il momento e lo fa in maniera definitiva, smonta gli alibi e toglie il piacere o in certi casi il dispiacere dell’interpretazione.
La storia di Palamede ci fa riflettere su molti aspetti, tutti di estrema attualità. Ci fa interrogare sull’utopia della meritocrazia per esempio. Per assurdo, se ci fosse stato un concorso per titoli ed esami, per scegliere chi avrebbe dovuto guidare l’esercito contro i Troiani non ci sarebbe stata partita, avrebbe trionfato Palamede, a condizione ovviamente che a giudicarlo fosse una Commissione integerrima. Ci induce inoltre a considerare il tema della complessità e ai diversi modi di approcciare un problema che possono ricondursi a due fattispecie: quello analitico, ragionato, che mette in relazione il balance tra costi e benefici e quello d’impulso che cerca di trovare la via più breve anche se questa sconfina nell’illegalità o più in generale nel mancato rispetto per l’avversario e quindi nell’inganno. Ci fa riflettere sulla necessità di custodire una memoria collettiva e di come siamo ormai abituati a ricordare con dovizia di particolari gli errori o i comportamenti distonici rispetto alle cose fatte bene e con onestà e questo finisce per alterare il giudizio. Ci ricorda che ogni avversario è utile e quindi funzionale alla nostra crescita.
Se il nostro modo di esprimere la Leadership significa circondarsi di uno stuolo di yes man che avallano qualunque decisione o ragionamento ecco che si snatura l’etimologia stessa della parole Responsabile che significa, ogni tanto andrebbe ricordato, abilità nel dare risposte. Ma quali risposte possiamo dare a dei collaboratori che non formulano domande? Che non provano nemmeno a mettere in discussione la nostra Leadership legittimando noi stessi che siamo nel giusto, siamo tra gli illuminati, spacciatori di verità assolute. Ci spinge, per esempio, all’amore della ricerca che non è solo quella relativa a una soluzione di tipo pratico ma una ricerca più sofisticata. Siamo cani da tartufo e il fiuto lo dobbiamo utilizzare per scovare tutti quelli dimenticati per scelta o per necessità, materiale umano che immaginiamo inerte e invece la sorpresa della scoperta è benzina che alimenta il motore silenzioso dell’operosità. Infine ci fa riflettere sulla sete di conoscenza e sulla possibile deriva patologica che questa può comportare. Non è il risultato in sé ma è il modo in cui questo risultato si raggiunge.
Potrei continuare con mille altri esempi, tutti più o meno edificanti e che mettono in correlazione la storia di un uomo giusto, per bene e dimenticato come Palamede con quello che accade in molte Organizzazioni, tutti aspetti che hanno un profondo ancoraggio alla realtà attuale. Non dubito che troveremmo io e voi numerosi punti di similitudine.
C’è un finale che più di ogni altro mi piace inserire a questo punto del racconto o dell’articolo o di quello che vi pare. Dobbiamo aspettare qualche secolo anzi molti secoli per rendere giustizia a Palamede e a tutti gli eroi dimenticati. Ci ha pensato Dante, il sommo poeta, quando s’ingegnò nel popolare i gironi dell’inferno. Il Canto XXVI è certamente uno dei più conosciuti, spesso viene citato come il Canto di Ulisse e proprio Ulisse lo troviamo imprigionato in una lingua di fuoco, nell’ottava bolgia dell’ottavo girone, quello che ospita i consiglieri di frode, coloro i quali hanno utilizzato l’inganno per arrecare male ad altri. Chi meglio di Ulisse incarnava quello stereotipo e quindi Dante lo colloca giustamente lì e cita un passaggio in cui lui non si fa scrupolo nemmeno dei suoi compagni e li spinge ad attraversare le colonne d’Ercole causandone la morte. Qualcuno ricorderà il famoso inciso “Fatti non foste a viver come bruti…!
Il tempo, spesso, aggiusta le cose, le colloca nella loro giusta dimensione e magari non sarà una consolazione ma aiuta a comprendere le situazioni, a farci un’idea di ciò che è reale da ciò che non lo è. La verità è che a volte a me prende la smania di voler mettere ordine alle cose, sistemarle secondo un schema che per quanto soggettivo aiuta a concentrarmi. E’ esattamente quello che è successo a questa storia, rimettere le tessere ognuna al suo posto. E’ un esercizio che dovremmo fare spesso mentre per lo più ci limitiamo a restare in superficie senza provare nemmeno a scendere nell’abisso di certe contraddizioni perché pensiamo sia pericoloso. Ma il vero pericolo è quello di rinchiudersi in una torre di certezze senza minimamente farsi sfiorare dalla carezza del dubbio. Pensare che l’astuzia sia un valore al pari dell’inganno e l’intelligenza degli altri un ostacolo da rimuovere nella corsa verso il successo.
P.S.: esistono diverse ricostruzioni della figura di Palamede, alcune sono molto romanzate, altre aggiungono particolari per rendere il racconto più avvincente in modo da far presa sul lettore. Per questo mi si perdoni qualche possibile imprecisione che a mio avviso non altera il senso della storia.
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