Soffrire di empatia è possibile.

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“Soffrire” di empatia è possibile. Ecco perché essere empatici stanca

Un limite inaspettato: quando empatizzare diventa pericoloso per la performance individuale e organizzativa.

di Valentina Murace

La capacità di sintonizzarsi emotivamente con gli altri costituisce, oggi, un requisito indispensabile per ogni professione, soprattutto per quelle fondate sulle relazioni interpersonali. 

I benefici connessi a questa dimensione dell’Intelligenza Emotiva (I.E.) sono innumerevoli e variano dalla possibilità di instaurare relazioni più autentiche al miglioramento del clima organizzativo. Tuttavia, se i vantaggi derivanti dall’empatia sono molteplici, altrettanto numerose possono essere le conseguenze negative che essa può generare per i soggetti particolarmente abili nel percepire le emozioni altrui.

In questo momento storico più che mai diventa evidente come un accentuato trascinamento emotivo possa condurre al rischio di precipitare nel cosiddetto status di angoscia da empatia, che si manifesta nell’essere eccessivamente turbati dai sentimenti negativi delle persone vicine.  Molte professioni, prime tra tutte quelle di natura assistenziale, comportano per chi le esercita un ricorso costante all’empatia, tanto da condurre a una vera e propria fatica da compassione. A causa dello stress e del conseguente esaurimento, a lungo andare ciò conduce a uno svuotamento di sé e delle proprie energie.

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L’eccessivo ricorso all’empatia, tanto durante l’esercizio dell’attività lavorativa quanto nella vita privata, dimostra quanto questa sia, di fatto, un gioco a somma zero. Sia il desiderio di essere empatici sia lo sforzo richiesto all’individuo per agire in tal senso sono delle risorse finite, alle quali non è possibile attingere perennemente. Per questa ragione, l’empatia tende a produrre inevitabilmente dei trade-off tali che quanto maggiore è l’attenzione emotiva impiegata sul lavoro, tanto minore sarà lo sforzo empatico che può essere investito nell’ambito personale. A causa del sovraccarico di empatia, le risorse possono sperimentare un calo delle loro prestazioni e/o un maggior desiderio di abbandonare una posizione lavorativa così emotivamente gravosa.

Non meno rara è la possibilità che l’elevato coinvolgimento emotivo sul luogo di lavoro possa tradursi in comportamenti poco etici. A causa della forte sinergia che si crea all’interno di un gruppo, il senso di lealtà e di comunità di sentimenti che ciascun membro prova nei confronti dell’altro, e del team in quanto tale, induce ad alterare il giudizio etico nei confronti di chi non ne é parte. Un simile comportamento è dovuto alla tendenza ad essere maggiormente inclini all’inganno quando ciò beneficia persone ritenute vicine, come i propri pari e/o collaboratori, consentendo al soggetto di razionalizzare e giustificare la loro disonestà. Quando i colleghi entrano profondamente in empatia tra loro, quindi, essi possono tendere a solidarizzare in maniera eccessiva, tanto da evitare di denunciare eventuali illeciti o maltrattamenti di cui essi si rendono responsabili.

Ricapitolando, i principali limiti dell’empatia conducono a:

  • un esaurimento delle energie e a un possibile aumento del turnover
  • un comportamento poco etico quando il gruppo è ben consolidato

Dal punto di vista manageriale, quindi, riuscire a identificare ed evitare tali limiti è fondamentale per ridurre il rischio di eccessivo turnover, illeciti e corruzione. Per tale ragione, sebbene in ogni contesto professionale sia desiderabile agire in modo empatico, è altrettanto fondamentale fare affidamento su un’ampia capacità di autocontrollo che consenta, da un lato, di essere emotivamente vicini al proprio interlocutore e, dall’altro, di tutelarsi dagli effetti potenzialmente negativi che un eccessivo coinvolgimento emozionale può avere sulla performance individuale e  organizzativa.   

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Valentina Murace
Consulente in Sviluppo di Carriera | Founder @morehuman.resources | Talent Management | Sustainable HR
Da sempre appassionata di accompagnare le persone nella scoperta del loro talento, ho fatto di questa missione il mio lavoro. Consulente in Sviluppo di Carriera e Talent Management presso una realtà internazionale. Oltre a svolgere questa attività a livello professionale, attraverso il mio progetto More Human Resources riesco a coltivare ogni giorno la mia mission, che è quella di migliorare il livello e la qualità dell'informazione dei giovani sul mondo del lavoro e della formazione, far conoscere le diverse opportunità a loro disposizione e accompagnarli in questo viaggio alla scoperta di se stessi e delle loro passioni.

 

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