Cogito Ergo Sum.
Umanisti in azienda
Una delle dicotomie più familiari in ambito formazione e lavoro è quella che contrappone tecnico-scientifico vs umanistico. Dalla scelta della scuola superiore alla facoltà universitaria fino all’enorme spartiacque dei profili professionali, la partita si gioca qui.
Avendo vissuto la fase della formazione accademica un istante prima del boom digitale, ben ricordo che un neolaureato in facoltà umanistiche era come un soldato mandato in guerra senz’armi. Specialmente messo da parte quel naturale sbocco, dalla foce deltizia, che era l’insegnamento. Se quindi ci si voleva avventurare nel moto ondoso dell’oceano del mercato del lavoro: aiuto, qui ci vuole un orientatore!
In effetti l’orientatore dell’ufficio di collocamento (arc.) mi aveva accolto con grande ottimismo e prontamente stampato un degnissimo elenco puntato di sbocchi professionali. E quale stupore leggere le mille possibilità da cogliere. Una più allettante dell’altra: dalla biblioteca civica al consolato, dalla guida museale al traduttore e interprete, dall’import export alla Commissione Europea. Entusiasmante! Non restava che inviare CV sperando che una prodiga realtà ci prendesse così, come caduti dal cielo, a darci fiducia e tanto training on the job.
Forte di queste premesse e messi da parte gli sbocchi più ‘ambiziosi’, provavo quindi a presentarmi ad aziende del settore produttivo. Non mi stupii affatto tuttavia, quando i selezionatori che avevo incontrato durante i primi colloqui, pur convenendo sulla validità del curriculum studiorum, avevano dovuto ammettere che, per ovvie necessità, preferivano candidati che conoscessero un po’ meno i canti di Leopardi e un po’ di più i documenti di trasporto di un container in Sud America. Come dar loro torto?
Oggi però è tutto diverso o almeno mi pare! Quell’elenco puntato del caro ufficio di collocamento era stato come il George Orwell di tanta nostra politica, folle e visionario allo stesso tempo, e in effetti la formazione umanistica oggi è ben presente nelle realtà aziendali.
Pensiero critico, autonomia, problem solving, creatività, empatia, apertura mentale, capacità di apprendimento, sono alcune delle abilità riconosciute e valorizzabili in ambito aziendale. La formazione specifica sarà di certo necessaria ma le potenzialità sono ottime.
E quindi non stupisce leggere tra le offerte di lavoro la richiesta di ‘formazione umanistica’ tout court: per le risorse umane, la comunicazione, il back office, commerciali persino, e si sviluppano tante notevoli carriere anche in inediti ruoli e funzioni aziendali. Carriere che rappresentano un modello per alcuni di noi e fonte di grande ottimismo!
E l’economia di internet ha dato ancora maggiore impulso a questa volata. La scrittura sul web è competenza umanistica più che mai perché, se altrove ci si può lasciare andare a ridondanze, iperboli e licenze poetiche, in un articolo sul web bisogna andare alla radice della buona scrittura, le regole sono sì, quelle delle tecniche SEO, dei Google Trends, ma un testo efficace lo è da tempi immemori, da quando il segnale ‘fumo’ ha iniziato a significare ‘fuoco’.
Forse allora queste nuove realtà professionali che spesso si sviluppano fuori dal tracciato del corso di studi, porteranno prima o poi a ripensare le formazioni superiori. Magari attuando una reale integrazione tra competenze tecnico-scientifiche e competenze umanistiche.
Perché, se è lo scenario aziendale a sottolineare la necessità di diventare lavoratori flessibili, autonomi, pronti a saper gestire la complessità di attività sempre meno rigide e prevedibili, in grado di prendere iniziative, dotati di capacità tecniche quanto di quelle soft skill che danno più efficacia ad attività e relazioni, non è corretto allora chiedere che la formazione vada in questo stesso verso? E dire che competenze tecnico-scientifiche e competenze umanistiche sono aspetti complementari di una sola identità che è l’uomo-il lavoratore-il cittadino?
Tecnico-scientifico vs umanistico non una dicotomia allora, ma un amichevole derby.
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